Rea: "Se il rap al femminile imita i maschi può solo fallire"

"Chimera" è il titolo del suo ultimo singolo, che dà libero sfogo alla sua metrica fuori dal comune (mixata dalle sapienti mani di Dj Myke). Le abbiamo fatto qualche domanda

Rea, foto stampa
Rea, foto stampa

Sara De Michele in arte Rea nasce a San Benedetto del Tronto, nelle Marche, con l'inizio del nuovo millennio. Nel 2018 esce in via indipendente il suo primo album Rea Scienza che segna anche l'incontro con Davide Grotta, il suo produttore abruzzese, con cui ha inziato a dare vita alle sue idee più originali che spaziano tra due mondi paralleli come il rap e il cantautorato. 

Chimera il suo ultimo singolo uscito lo scorso dicembre è il frutto di una collaborazione fondamentale per Sara, quella con Dj Myke.

Attivo dal 1997, DJ Myke è un protagonista indiscusso del turntablism italiano oltre che un rinomato producer nell’ambito urban/rap e non solo. Ha curato le produzioni, sia major che indipendenti, di artisti del calibro di: Fabri Fibra, Rancore, Max Zanotti, Diego Mancino, Tormento e collaborazioni internazionali come i Prodigy, Mattafix, Triky. Abbiamo fatto due chiacchiere con Rea, per farci raccontare qualcosa in più su sul conto e capire quale drezione sta prendendo.  

Copertina di
Copertina di
 

Chi sei, parlarci un po’ di te e che fai?

Mi chiamano Rea, in aula o fra amici, ai concerti o in casa, ma il mio nome è Sara De Michele. Vengo da San Benedetto del Tronto nelle Marche. Sono 2000, al secondo anno di studi. E da due anni vivo a Torino, l’unica città che mi abbia visto crescere davvero. La mia vita – fin da (quasi) sempre – si orchestra sui miei interessi, le mie grandi passioni: la filosofia e la musica. Ho iniziato a darmi da fare subito, incominciato il Liceo; si può dire che avevo due tre vite parallele a quella scolastica: la chitarra, il canto, il rap, la poesia. In ordine, dopo la poesia è venuto il rap. E come un sigillo di riconoscimento, non ho mai scritto in prosa, perché il rap non è prosa. Il verso, in un certo senso, dà respiro al concetto.

Come ti sei avvicinata alla musica?

È una storia piuttosto ordinaria, ma adoro raccontarla per essere onesta con me stessa. Ho iniziato in parrocchia. Da bambina ero solista del coro della chiesa, e la vivevo come un compito, come una preghiera – cantare era cantare per tutti, non solo per me. Poi sono diventata chitarrista del coro, e – conclusa la fase religiosa – ho avuto le prime esperienze di band, tanto rock e tanto rock progressivo italiano; ci divertivamo molto. Nel frattempo però nutrivo il mio lato esoterico, nel senso di privato, prezioso. Rea Scienza – uscito nel maggio 2018 con la Fenice Records – mi ha dato il via per abbracciare quella che è poi la mia attuale visione: sapevo di essere già oltre quello che scrivevo, ma è costitutivo della scrittura, perché vivere è inafferrabile.

Rea
Rea

Come hai conosciuto Myke? Come hai iniziato a fare “rap”?

Ai 15 ho iniziato ad ascoltare i dischi di Rancore e Dj Myke, partendo da S.U.N.S.H.I.N.E. EP e Silenzio. Vidi Rancore nel 2016, allo Sugar di San Benedetto; eravamo tutti lì sotto a sperare di vedere anche Myke, che invece quella volta non c’era. Diciamo che è stato un po’ la mia Chimera, per lungo tempo. Ma ora il sogno si è avverato, e certo non gratuitamente, ma non sono solita fare i convenevoli con me stessa. So cosa è mio. Come dicevo, il rap è venuto dopo la poesia. E dopo Rea Scienza, parallelamente al mondo di chitarra e voce, ho continuato a lavorare e a scrivere, componendo due album non ancora editi, i cui titoli non svelerò. Infine, con la vittoria dello #slidethatrhymecontest è nato Chimera prod. Dj Myke, ora su tutte le piattaforme digitali.

Artisti di riferimento? A chi vorresti assomigliare tra 10 anni artisticamente?

Il rap è solo una parte della mia vita musicale. Sono amante delle grandi cantanti italiane. Mina, Mia Martini, Ornella Vanoni, Gabriella Ferri. E di gran parte del cantautorato maschile, da Paolo Conte a Battisti, da Lucio Dalla a De André, da Modugno a Ciampi, e via così. Per il panorama estero, tutto il passato rock e simili, e anzitutto Amy Winehouse e la prima Alicia Keys; attualmente Nathy Peluso e Little Simz. Ma se c’è un artista a cui vorrei assomigliare un giorno è Björk, un’anima e una voce versatili, febbrili ma mostruosamente governate; la sua musica va nella direzione della liberazione, è una musica che non sta nella ripetizione, nel dolore: si sublima a ogni linea melodica, a ogni esplosione. Fa piangere perché è sublime, fa saltare perché è potente. Vorrei diventare qualcosa di simile a questo, fuori da ogni dinamica di consolazione: una musica liberata e liberantesi.

Chi ti piace del genere in Italia in campo femminile?

Più che parlare di chi, parlerei di cosa. È interessante il fenomeno femminile che vede emergere un’attitudine di rivalsa, di rabbia come di speculare e alle volte grottesca imitazione dell’attitudine maschile, che ormai si può definire storica, visto che il rap è ormai vent’anni che c’è e oggi troneggia nel panorama musicale. Io ci sono dentro fino al collo: anch’io Rea, anch’io colpevole, anch’io in tutto e per tutto negli “anni venti” di questo nuovo secolo e millennio. Tuttavia, credo nella valorizzazione della differenza, nella follia del dialogo: un buon cantante sa come attivare il virus, come contagiare anche i più recidivi. E un femminismo patriarcale fallisce, sempre. Fallisce nel suo obiettivo più lungimirante, ma si consola con frasi come “una rapper coi controcoglioni”. Sarà l’istituire nuove regole, il legittimarle più che altro – magari fuori dal dissing – che darà voce a quelle parti occultate della musica: un nuovo modo di parlare e cantare, un nuovo modo di rappare.

Prossimi passi nella musica?

Come detto, mi muovo da tempo tra rap e cantautorato, che sono mondi diversi ma non divisi. Da quando ho conosciuto Dj Myke, il mio modo di pensare la mia vita musicale è cambiato, certamente mi sento più grande, un po’ più consapevole della realtà della produzione. Non so cosa accadrà di certo di qui in poi; mi piace pensare di essere pronta a sconvolgere gli orizzonti di aspettativa, più di tutto perché so che da queste esperienze uscirò nuova. Nel frattempo sono a lavoro col mio produttore abruzzese Davide Grotta, alla ricerca di un linguaggio che concilii le mie due grandi passioni: filosofia e musica, forma e contenuto. È certo, allora, che non mi fermerò, perché credo che si tratti del mio destino, personale, incarnato, ma più di tutto sociale. La musica è entrambe queste cose, dentro-fuori.

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L'articolo Rea: "Se il rap al femminile imita i maschi può solo fallire" di Redazione è apparso su Rockit.it il 2020-01-08 17:26:00

COMMENTI (1)

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  • submarine74 4 anni fa Rispondi

    Rea sei una bomba ... lontana anni luce dai soliti schemi!!!