Colombre: "È musica, non fa paura"

Sono le parole con cui il musicista si è dato forza prima di salire sul palco del tour di Calcutta, dove ha suonato la chitarra. E valgono il doppio ora, che esce con il nuovo disco "Corallo"

Colombre, foto di Guido Gazzilli
Colombre, foto di Guido Gazzilli

Il secondo disco di Giovanni Imparato, aka Colombre, esce il 20 marzo, davvero in un periodo strano, in piena pandemia. Si intitola Corallo ed è prodotto da lui stesso, insieme a Fabio Grande e Pietro Paroletti. È un gran bel disco, arricchito dalla batteria di Fabio Rondanini (Calibro 35, Afterhours) ed esce dopo 3 anni dall'esordio solista Pulviscolo, che contiene Blatte, canzone eccezionale fatta con Iosonouncane. In questi anni di certo Giovanni non è stato fermo, anzi: nel 2018 ha prodotto l'album Deluderti di Maria Antonietta, con cui è anche legato sentimentalmente, e nel 2019 ha suonato la chitarra nel tour Evergreen di Calcutta.

 

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Sono passati tre anni dal tuo debutto, e se non sbaglio anche Pulviscolo era uscito in questo periodo. C’è una ragione particolare?

È una piccola scaramanzia, forse inconscia… ho il mio studiolo al Casale Primavera, un'associazione dove la mattina fanno varie attività ragazzi con problemi psichici. È un posto a cui sono molto legato, una specie di tana, dove vado a scrivere, suonare, deprimermi, esaltarmi, ascoltare e parlare coi ragazzi, perdere tempo e tenere il volume a stecca anche alle 3 di notte visto che è sulla collina; è una specie di piccolo omaggio portafortuna visto che marzo, il 21, incontra sempre la primavera.

Con Corallo riprendi un po’ il discorso musicale dove l’hai lasciato, ma nel frattempo hai fatto varie esperienze, dalla produzione per Maria Antonietta al tour con Calcutta. In che modo hanno influito sulla scrittura di questo album?

Dopo Pulviscolo non ho pubblicato più nulla. Un po' per scelta, perché sono dell'idea di voler lasciare il giusto respiro alle canzoni e farle, per così dire, maturare lentamente, senza ansie di dover stare per forza "sul pezzo". Un po' perché nei momenti liberi del tour del 2017 e dei primi mesi del 2018 sono stato a casa con Letizia (Maria Antonietta) a co-arrangiare, co-produrre e poi registrare il suo disco Deluderti. Quella è stata un'esperienza molto profonda e delicata, perché lavorare su canzoni bellissime non tue e soprattutto della persona che ami non è facile per niente, devi serrare il tuo ego in un cassetto e metterti continuamente in gioco fin quando il risultato non convince entrambi. Nel frattempo avevo ovviamente continuato a scrivere le mie cose… 

Con Calcutta com'è andata?

La sera dell'Arena di Verona Edoardo (Calcutta, ndr) mi chiese di prendere il posto di Giorgio Poi alla chitarra nel suo tour del 2019. Ero lusingato e spiazzato, ci ho pensato bene, ma era un'occasione troppo affascinante per rinunciarvi. Ho imparato tanto, sia musicalmente che umanamente. Suonare con 11 persone piene di talento ti fa ridimensionare e capire in fase di arrangiamento cosa sia importante e cosa sia, invece, superfluo. Nell'esecuzione ognuno ha il proprio spazio che va rispettato e ti metti al servizio per esaltarlo. Stare a contatto con le cose belle aiuta e influisce, ecco.

Cosa provi a far uscire un album in piena emergenza Coronavirus, con il business dello spettacolo paralizzato fino a data da destinarsi?

Eh, far uscire un disco in una situazione del genere è oggettivamente difficile e per alcuni è un rischio. Non ti nego che mi sono fatto molti scrupoli. Ti senti stupido e un po' fuori luogo a spingere le tue cose, com'è sacrosanto che sia, dato il lavoro e l'entusiasmo che c'è stato nel farle, in un momento così delicato dove la mente è da un'altra parte. Però mi son anche detto che accettare il rischio, senza rimandare l'uscita, è una sfida nuova da affrontare in maniera onesta e sincera, senza stratagemmi. Il fiume continua a scorrere del resto, no? Questa condizione di rischio magari ci insegnerà a recuperare in qualche modo la consapevolezza, che il rischio fa parte della nostra vita, mentre la nostra civiltà spesso lo relega a tabù, a qualcosa che spaventa e di cui è meglio non parlare, invece che affrontarlo. Come del resto fa con la morte o la malattia. 

Cambierà qualcosa in noi?

Se penso alle civiltà che sono venute prima della nostra, credo fossero molto più consapevoli e mature da questo punto di vista, spietate se vuoi, nella gestione di queste categorie che non possiamo escludere dalla vita, perché pensare di poter vivere senza correre mai un rischio, cioè nella totale sicurezza, è impossibile. Va affrontato con coraggio, come del resto stanno facendo i medici, gli infermieri, il personale sanitario, le forze dell'ordine, i camionisti, i riders e chi sta lavorando ora fuori di casa. Si stanno facendo il culo per gli altri. Chiaramente l'uscita di un disco non è minimamente paragonabile a lavori del genere, ma questi fatti così apocalittici mi fanno riflettere sul fatto che, per quanto possiamo essere ricchi, pieni di comfort, in una confezione asettica, alla fine restiamo quello che siamo sempre stati: soggetti incapaci di eludere la morte, la paura, il fallimento e appunto il rischio.

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Torniamo a cose più serene: l’album ha un gran tiro, connubio perfetto tra il cantautorato alla Mac De Marco e quello alla Alan Sorrenti (o il Battisti anni ’70), ma anche il glam pop (Anche tu cambierai). Questo tipo di influenze le calcoli in fase di scrittura o ci fai caso solo a composizione avvenuta?

Credo che la scrittura sia un processo che ha a che fare con la libertà, non con la strategia o il calcolo. Il disco, per quel che mi riguarda, è spesso un processo abbastanza lungo ed è chiaro che si è influenzati da parecchie cose che accompagnano le varie fasi. Sconsiglio sempre a me stesso di legarmi a qualcosa di preciso e di unico, non sono grande fan dei dischi dove tutte le canzoni si somigliano. Più che altro mi diverte, e trovo stimolante, mischiare i generi che mi piacciono e cercare di farli miei risputandoli nel mio modo. Quelli che hai citato mi piacciono molto, ma se pensi, che ne so, a Corallo, ecco, lì c'è la mia attrazione per la Paisley Underground o la new wave, poi però in Per un secondo sbuca l'ossessione per The Village Green Preservation Society dei Kinks. Oppure Crudele, dove c'è qualcosa che mi fa pensare ai miei nonni o a qualche Sanremo lontano, a Mille e una notte che, quando l'ho scritta ascoltavo ripetutamente Walk on By, la cover rifatta da Isaac Hayes (che mi ha fatto scoprire Ceri). E ancora Terrore, perché mi son ascoltato Steve Lacy e Prince, o in Anche tu cambierai c'è il mio amore per i crooner.

Poi come metti assieme questi riferimenti?

Ovviamente la sfida interessante è proprio quella di far suonare omogenee delle canzoni con stili differenti.  E allora sì, in questa fase, occorre avere idee chiare sul suono, con una precisa scelta delle persone e degli strumenti da utilizzare, su come calibrare gli arrangiamenti. Spero di esserci riuscito, anche con il contributo di Fabio e Pietro, e se così non fosse almeno non ho rinunciato alla mia libertà di giocare. 

Sembri più sicuro di te, in canzoni come Per un secondo sei sfrontato, la tua voce si nasconde meno, è in primo piano e va dritta al punto. Come hai lavorato su di te per questo disco? E sulle canzoni?

Non so dirti se sono più sicuro o meno. Di sicuro la musica per me è un esercizio continuo nel cercare di tirare fuori le cose nel modo più vero possibile, che sia la voce, un giro di accordi o una melodia, e più ti eserciti e sbagli, meglio ti viene. Poi uno cresce e ovviamente accumula un po' di esperienza in più, impara a gestire anche le emozioni, a dosarle e spingerle fuori al momento giusto. Riguardo le canzoni ne ho scritte parecchie, complete e non, e alla fine ho scelto quelle che stavano bene insieme, che avessero un filo conduttore soprattutto testuale. Ho fatto le pre produzioni e quasi tutti gli arrangiamenti al casale con calma, da solo, tranne qualche volta che è venuto a trovarmi Fausto (che suona con me), per confrontarmi e finire di arrangiare qualcosa di cui non ero ancora soddisfatto. Questa è una fase di lavoro molto importante per me. Ad esempio in Per un secondo ho lasciato tutta la pre produzione di casa, tranne la voce, e la batteria, che ha suonato Fabio Rondanini in studio. 

Appari sereno, ma le tue canzoni descrivono spesso rapporti sociali non semplici, addirittura velenosi. Scrivere per te è un esorcismo?

Non scomoderei la parola esorcismo, più che altro quello che mi interessa è focalizzarmi sui rapporti che hanno le persone tra loro, che siano miei personali e non. È un processo lungo, a volte anche doloroso, di osservazione, introspezione e meditazione se vuoi, che culmina nel risputare le cose quasi per liberarmene e fare pace con me stesso e con l'altro. Il corallo lo associo, appunto, a questi rapporti che racconto nel disco; misteriosi, profondi, difficili da avvicinare e da capire ma soprattutto, una volta scovati, da trattare e preservare con cura e più delicatezza possibile, data la loro complessità e bellezza. Capire bene un rapporto che hai con qualcuno necessita di un processo lento, simile a quello di crescita del corallo, che poi è collegato alla crescita lenta del disco, di cui ti parlavo prima. Non è sempre semplice e vedo questo disco come un piccolo elogio alla lentezza e al mettersi ancora di più in gioco, dove non è facile cantare la parola "amore" quando non l'hai mai cantata prima. 

Il protagonista del racconto Il Colombre, dopo aver avuto paura per tutta la vita scopre che il nemico in realtà non era davvero tale. Hai avuto esperienze di questo tipo, con paure che si sono rivelate alleate?

Il Colombre di Buzzati è il simbolo della paura, come dici tu, di affrontare le cose, dell'immobilità che ne consegue, delle rinunce, delle scelte e del coraggio nel prenderle. L'ho affrontata quando ho deciso di andare da solo e non più in band, o ultimamente, quando dovevo suonare la prima volta in un palazzetto con Calcutta. Ero abbastanza teso in camerino, ma appena ho suonato la prima nota mi è sceso tutto e mi son detto: "È musica, non fa paura". Ovviamente sono solo esempi perché quello con il Colombre è un rapporto sempre in evoluzione… 

Foto di Guido Gazzilli
Foto di Guido Gazzilli

Se dovessi consigliare un pezzo di Corallo a chi non ti conosce, quale sarebbe e perché?

Perdonami, ma non riesco a risponderti. Forse ti dico Corallo, così magari uno capisce male e si ascolta tutto il disco e non solo la titletrack…

Cinque album italiani che consiglieresti ai tuoi ascoltatori?

Te ne dico sei: Franco Battiato, Come un cammello in una grondaia; Alan Sorrenti, L.A & N.Y; Massimo Ranieri, Erba di casa mia (la versione originale del 1972, che è una raccolta dai suoi primi dischi e singoli); Fabri Fibra, Turbe giovanili; Giorgio Gaber, E pensare che c'era il pensiero; Ornella Vanoni, Vinicius de Moraes e Toquinho, La voglia la pazzia l'incoscienza l'allegria.  

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L'articolo Colombre: "È musica, non fa paura" di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-03-19 09:42:00

Tag: album

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