Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam, la musica come un bloc-notes

"Vedremo", il nuovo disco del cantante sardo, già voce dei Quercia, è una delle prime impronte hip hop lo-fi in Italia. Ma c'è ben di più: le parole scorrono come un flusso notturno e i beat sono vari e assecondano gli stati d'animo

Luca Fois nella foto di Andrea Fenu (@aeffenne)
Luca Fois nella foto di Andrea Fenu (@aeffenne)

Vedremo. Semplicemente così si intitola il nuovo disco di Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam, progetto solista di Luca Fois, già voce della band post-hardcore Quercia. Il cantante sardo, con un passato da rapper con il nome di Kaizer, si mostra ora con un'altra veste, quella di artista hip hop lo-fi, un genere che lui ha a lungo studiato, di cui è tra i primi interpreti nel nostro Paese e che porta avanti anche con la sua etichetta buio presto. Ma con questo disco Luca fa molto di più, spaziando da sonorità trip hop a downtempo, dal post-rock al soul e alla spoken music. 

Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam - nome scelto come omaggio al post rock (Explosions in the Sky, God Is an Astronaut) - rimanda a chi ogni giorno affronta le proprie guerre inutili, di chi ha un Vietnam interiore. Un parallelismo efficace sin dal nome con il concetto di sindrome post traumatica dei militari americani reduci del Paese del sud-est asiatico.

Ascoltando questo disco ci si sente immersi in questa atmosfera di interiorità, con 14 canzoni che variano dai suoni più dilatati ad altre dai beat incalzanti. Le parole, semplici ma vere, sembrano quasi provenire da un diario di scuola, da appunti presi di notte, cercando di raccontare dei sentimenti, delle inquietudini. 

Esserci è la prima traccia del disco e descrive perfettamente uno stato di solitudine, dove il valore dell’esistenza di una persona accanto a noi risulta fondamentale, così tanto da inventare un qualche modo per essere connessi, anche se non si è fisicamente lì, parafrasando le parole di Luca. Insomma, molto attuali. Il peso di è un brano che troviamo nel mezzo di Vedremo, e mostra una serie di parole non dette, magari per mancanza di coraggio, e che si mostrano quindi come un peso che siam costretti a sopportare.

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Quattro e quindici e Se tu starai dormendo sono brani che rappresentano la mia idea di appunti presi di notte: sono parole che probabilmente sono state scritte di notte, che arrivano l’una dietro l’altra, mentre i pensieri scorrono veloci nella mente e mentre il mondo lentamente smetterà di esistere. Tutto questo male dovrà pure portare a qualcosa, che non sia per forza stare peggio: queste sono le parole del ritornello di Tutto questo male, traccia finale dell’album, e che vengono ripetute insistentemente, quasi per provare così a farsi scivolare il male di dosso. Perché magari dai sentimenti negativi si può ripartire, per cercare di iniziare un nuovo percorso.

Infine brani come Fukushima, Non cadere, ora e PQLSG, danno più spazio alle sonorità (sempre lo-fi, chiaramente) rispetto al testo, e questo ci permette a maggior ragione di farci comprendere e apprezzare questo, per alcuni, nuovo genere di musica. Guardare la realtà e raccontarla nelle canzoni, questo è quello che fa, con il suo stile, Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam.

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L'articolo Gli occhi di chi ha fatto il Vietnam, la musica come un bloc-notes di Enrica Barbieri è apparso su Rockit.it il 2020-03-23 10:26:00

Tag: album

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