Cosa è rimasto delle fanzine oggi in Italia

Dai ciclostilati punk (in dialetto) a prodotti esteticamente sempre più raffinati, fino al mutamento genetico e alle versioni digitale. Breve storia (recente) di un fenomeno editoriale, che è anzitutto un'attitudine

Tratto da una cover di "Porrozine"
Tratto da una cover di "Porrozine"

Mettiamolo subito in chiaro, scrivo questo articolo da appassionato; non da esperto ne tanto meno da intaccato. Lo scrivo conscio dei miei palesi limiti e consapevole che qualcuno, di sicuro, potrà trovarvi delle lacune. Del resto, al di là del prodotto, il variegato mondo delle fanzine rappresenta un universo tanto ampio e così radicato nella storia dell'editoria moderna che pretendere di parlarne evitando l'accuratezza e la completezza del saggio è – già di per sé – una scelta fallace e irrispettosa nei confronti dell'argomento stesso. Quindi faccio mea culpa e proviamoci.

Abbiate comprensione se non troverete nominata la fanza che cercate, magari fotocopiata in 19 copie, partorita da una qualche mente geniale in quel sottobosco di scrittori e illustratori che animano febbrilmente questo piccolo grande mondo. Non c'è proprio la voglia di darvi un elenco o una Top Qualcosa. Essenziale è, innanzitutto, comprendere che, per ovvie ragioni storiche e più prosaicamente di spazio, ho deciso di fermarmi agli ultimi vent'anni (risparmiandovi così anche l'arcinota filippica intellettuale su srapbook e art-brut che tra-s-mutandosi han dato vita a una “nuova scuola”).

Lo so: la stessa idea di fanzine, intesa nella sua portata più istintiva e amatoriale, è più da rapportarsi al passato, al dinamismo di scene musicali di mezzo secolo fa, ma di quel periodo è già stato detto e scritto fino alla nausea. Sarebbe stato anche più facile, diciamolo. Abbiamo però preferito dare spazio ai contemporanei, soprattutto da quando ci siamo accorti che, salvo qualche raro e fulmineo interesse, l'argomento langue di una sua complessiva disamina.

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L'elemento d'analisi che più mi affascina, nelle righe che da qui seguiranno, al di là che poi si tratti di banalissimi fogli di stampante riempiti di scritte e figure a malapena intellegibili per chi sguazza nell'era digitale o di fogli di carta colorata che tradiscono una tecnica e un gusto del dettaglio finto vintage che tutto è tranne che dilettantesca, è la passione quasi maniacale nei confronti del formato ancora da sfogliare, specie se questo si presta a ospitare le proprie Idee nella misura più immediata, concreta e perdurante possibile.

Il conservarsi intonso del concetto-fanzine, sempre meglio quando fotocopiata e distribuita a macchia di leopardo e non nel formato “d'arte” per pochi selezionati, è in tal senso l'ultimo baluardo (r)esistente d'ideale romantico su carta e a portata di tutti. Che così siano nati storici mensili che ora costano quanto un libro o carta straccia incredibilmente agiografica o – in eguale misura – insostenibilmente claustrale e snob, non ha poi molta importanza.

“Non so perché ma l'Italia è uno dei paesi di gran lunga più attaccato al collezionismo fanzinaro. Ho contatti che mi chiedono di ristampare numeri oramai logori e andati. Quindi, o avete una voracità pazzesca o non avete cosa leggere!”. Così commentava i miei propositi Will Butler, dell'altro capo dell'oceano e dall'alto della ventennale storia della 'zine Short, Fast & Loud, considerata a ragione la bibbia del powerviolence. In realtà il nostro Paese non occupa affatto una posizione marginale nel panorama preso in esame, e questo nonostante molte firme, a un esame severo ma giusto, rifiutino di parlare a un pubblico internazionale, rintanandosi spesso nell'utilizzo della sola lingua italiana o persino del dialetto, che sarà pure “simpatico” da leggere, ma di sicuro ostico da esportare.

Dello stesso avviso Gianluca Umiliacchi, esperto e curatore di Fanzinoteca.it, che mi conferma: “Sebbene di degne di nota sia sempre più spesso un'impresa trovarne, posso citare quelle che ho apprezzato, come Dusk, e altre che hanno concluso il loro ciclo, Andromeda, ItSelf, Trippa Shake, Beautiful Freaks, Eddie’s, per citarne solo alcune, mentre altre come Ascension, Porrozine o Sottoterra non le ritengo fanzine perché col tempo sono mutate in riviste semi-ufficiali”.

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Basta quest'ultimo appunto per accendere i fari su una delle contraddizioni e dei lati odiosi che riguardano questo mondo, e che l'evidente sbandierata e abbondante buona fede di tutti i nomi coinvolti cancella solo in parte. Se da un lato possiamo dire che i nomi non mancano, e dall'altro che uno spirito di condivisione, di fronte comune e di scena persiste, nonostante l'amatissimo provincialismo abbia permesso ad altre realtà di emergere fino a traguardi inimmaginabili alle nostre latitudini (si pensi alle collaborazioni tra Shoboshobo, autore di Decapitron, e H&M o tra Flavor e ancora prima Bikini Kill e il MoMA di New York), il punto da approfondire è un altro.

Soprattutto in Italia, dove in ogni contesto non si fa spesso niente per niente, per qualcuno anche l'agire fanzinaro sottintende un divieto categorico di sporcarsi le mani, o farlo il meno possibile, di lavorare dal basso, insomma di compromettersi con realtà che non siano in qualche misura già affermate o quanto meno portatrici di una certa coolness. Così, nel corso degli anni, il concetto di fanzine si è ampliato tantissimo e a fanzinari-in-potenza, come quelli di Salad.Days, sembra non dar fastidio sponsorizzare Vans o Quiksilver, per poi poter intervistare Bologna Violenta o Noyz Narcos. “Il concetto legato all’universo Fanzine in Italia non è mai stato chiaro", così ancora Gianluca. "A partire del termine stesso che lo si pronuncia senza la E finale, mentre dall’inizio degli anni ‘90 il termine è stato italianizzato e inserito nel Dizionario della lingua italiana; si pronuncia come si scrive. Perciò, tolto che col termine 'fanzine' non si abbraccia tutto lo stampato autoprodotto, che venga usato e presentato come mera proposta modaiola a questo dovremmo esserci abituati. Il mondo dell’auto-edizione italiana ha una sola logica, ossia 'non esiste alcuna logica', basta che i contenuti abbiano una valenza nel contesto generale”.

L'unica concreta involuzione possibile sembrerebbe quindi essere, per assurdo, proprio l'evoluzione da 'zine a rivista. Come sagantiana perdita dell'innocenza. Marco Soellner, voce e chitarra dei Klimt 1918 e da anni collaboratore della rassegna Funzilla, in cui si dà voce a fanzine di taglio fotografico/artistico, come Flow Photozine e Bolo Paper, aggiunge sul concetto del candore: “Non mi spaventa che creativi DIY siano finiti con multinazionali. Come che altri usino sponsorizzazioni per finanziarsi. Quello che mi deprime è la solita, sfiancante ruminazione di contenuti masticati migliaia di volte. Perciò trovo che si debba mantenere inalterata la dimensione ludica del Do It Yourself. Ci si può divertire collaborando con i grandi nomi? O è proprio la mancanza di libertà assoluta a creare terreno fertile dove attuare nuove riqualificazioni?”.

Forse sono possibili entrambe le strade. Eppure l'ostinazione del “fallo-da-solo” di Notturno e Punk Tank, la costante ricerca di anime affini di Unknown Pleasures e Pelo Magazine, la solida pratica dello scambio e della collaborazione di persone come Silvia Sicks aka Tunonna, sono concetti che appaiono del tutto estranei ad alcune conventicole, abbagliate a quanto pare dal miraggio di una qualificazione personale in una testata piuttosto che in qualche galleria di tendenza. Così se molti autori con un passato da fanzinari si sono trovati firme di contesti più che blasonati, da Stefano I. Bianchi a Zerocalcare, viene da domandarsi se una firma quotata avrebbe senso all'interno di una fanzine o peccherebbe (in qualche modo), dovendo supportare il piccolo e pretendere dal grosso, e non viceversa.

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Se si pensa che altrove la legittimazione dall'alto è arrivata proprio perché, a rendere il fenomeno degno di nota, c'era – oltre al valore del prodotto – l'ideale stesso di refrattaria e utopica autenticità, capite da voi, in proporzione, quant'è grande il cortocircuito che separa la nostra realtà, in termini di attitudine, col resto del mondo. Gianluca resta romantico e mi corregge, come è anche giusto che sia: “Tutti i 'veri' fanzinari, di qualsiasi ambito, sono divenuti professionisti. Giornalisti musicali sì ma anche editori, scrittori, fumettisti, fotografi, direttori, eccetera, perché la passione è un consolidamento in grado di generare un futuro professionale. Questa scelta, però, non evidenzia un atteggiamento di presunzione. Altresì, Gianni Della Cioppa di Andromeda, mi spiegò che pure essendo un giornalista professionista, non avendo mai realizzato fanzine, si trovò spronato a creare la sua testata auto-edita ripercorrendo al contrario il suo percorso”.

Gianluca però ignora che il suo discorso sfuma nel momento in cui Andromeda finì per essere prima un supplemento di Psycho (un supplemento-feticcio) e poi base per la nascita di una rivista a tutti gli effetti. Più cauto nel suo possibilismo è  Marco: “Penso che dipenda molto dalla natura del messaggio. Ma tant'è. Vogliamo subire uno 'stupro', vogliamo che qualcuno ci racconti qualcosa di utile, di non banale o di semplicemente affascinante. Se una firma quotata ha veramente qualcosa da dire è la benvenuta”.

Ma non di sola attitudine e stoici ideali si nutre il mondo delle fanzine. Oltre che come divulgatori di informazioni, il loro aspetto negli anni ha subito enormi evoluzioni per sopravvivere, più o meno a discapito del contenuto stesso. Se un tempo infatti facevano notizia era soprattutto grazie al passaparola, o venivano pubblicizzate negli annunci dei giornali, oppure si palesavano una sorta di bombing (come ora fanno i ragazzi di Boosta) e venivano smollate ai concerti o alle fermate della metro o nei negozi di dischi, ora le fanzine sono tutt'altro che patrimonio unico delle fotocopisterie più scoppiate, arrivando anzi a coprire un ruolo anche meramente estetico, anche da incorniciare e piazzare in salotto. Non sono più solo oggetti che provengono dagli scantinati, da un manipolo di maniaci del patchwork, dell'abbozzo, dello storto, della cancellatura e del collage fatto in casa.

Ora si parla di “fanzine d'autore”, anche se dell'autore a volte viene da chiedersi se ne sia al corrente. Come nel caso di una copia di una testata realizzata in fotocopie che, da anni, viene messa all'asta perché il disegno di copertina, fotocopiato, è stato realizzato da Leo Ortolani: esempio manifesto di quando il gusto estetico possa essere frutto di mode e il collezionismo fare rima con demenza. Di certo più affidabile Marco mi assicura : “L'estetica è il nuovo terreno di sperimentazione del self-publishing. La zine oggi può essere oggetto da collezione, rilegato, illustrato a mano e serigrafato. Penso ad Akina di Valentina Abenavoli e Alex Bocchetto che sviluppa 'zine e libri fotografici interamente auto-prodotti mettendo in campo oltre a un preciso contenuto intellettuale, ossia le foto, un'abilità artigianale unica. Anche Origini Edizioni è partita dallo stesso presupposto: self-publishing e DIY per fare libri d'artista realizzati a mano che rappresentino un ideale punto di contatto tra letteratura, fotografia e illustrazione. Alla fine il come è detto è inscindibile dal ciò che è detto”.

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Internet, però, gioca un ruolo chiave, così Luca riflette: “Non condivido pienamente l'idea del feticcio carta. Già da oltre vent'anni non è uno stimolo e in alcuni ambiti non lo è mai stato. Senza dubbio la carta e i suoi infiniti utilizzi è stata una soluzione più adeguata per le risorse fanzinare: grazie ai circa 11 mila documenti raccolti posso affermare che il formato della fanzine va da 3,5 x 3,5 cm fino ad oltre 100 x 150 cm, senza contare le elaborazioni in stravaganti formati, così anche in relazione al discorso pagine, da una ad oltre 100, e tanti altri aspetti che, propri della libertà di stampa-fai-da-te, non si ricollegano a nulla se non al gusto personale degli stessi fanzinari. Oggi se digiti fanzine musicali, solo per l’Italia, sai quanti milioni di pagine ti escono? Le fanzine circolano liberamente in formato file e non credo che ciò sia dovuto da alcun feticcio. Credo che nessuno se le stampi. Per essere più concreti, non esiste un formato fanzinaro”.

E così ritorniamo a monte: esiste se mai un'attitudine, o esisteva. Quella che fino a qualche tempo fa si poteva trovare in rete su Bastonate e in cartaceo su Solar Ipse e Amoeba. Quella di chi non era un carrierista che aspirava a essere ottimo e oggi si ritrova su The Unknown, Sabbra Cadabra, Psyko Vision, nei lavori di Canedicoda, impegnato sia sul versante visivo che su quello musicale, come poi Jukka Reverberi dei Giardini di Mirò e la sua Persone Che Non (ho il coraggio di fotografare), già sold-out e le Allun di Stefania Pedretti di On It Sed, disco dal packaging fanzinaro, Rock & Metropoli, Karaoki e tutte le altre che purtroppo sono rimaste fuori da questa analisi. Vi avevamo avvertito che non era nostra intenzione fare un elenco.

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L'articolo Cosa è rimasto delle fanzine oggi in Italia di giorgiomoltisanti è apparso su Rockit.it il 2020-04-20 12:50:00

COMMENTI (1)

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  • linoferrara78 4 anni fa Rispondi

    "... mentre altre come Ascension, Porrozine o Sottoterra non le ritengo fanzine perché col tempo sono mutate in riviste semi-ufficiali”
    In che senso? xD