Gian Maria Accusani: "Con i Sick Tamburo tengo viva Elisabetta dentro di me"

Con "Un giorno nuovo" la band ritrova le parole (e il punk rock) dopo la morte della cofondatrice dei Prozac+. Perché continuare a fare musica è uno degli atti di amore più potenti che ci siano

Gian Maria Accusani in una foto di Paolo Degan
Gian Maria Accusani in una foto di Paolo Degan

Il 4 maggio 2020 è uscito il nuovo singolo dei Sick Tamburo. Si tratta della versione punk rock del loro singolo Un giorno nuovo, contenuto originariamente nell'album omonimo del 2017. È la prima cosa che Gian Maria Accusani pubblica dopo la morte di Elisabetta Imelio a causa di un tumore. I due hanno suonato insieme dal 1995, prima nei Prozac+ e poi nei Sick Tamburo, cementando un'amicizia e un'unione che sono rare nella musica. 

La nuova versione del pezzo fa parte di un album che si intitola Back To The Roots (Forse è l’amore), di prossima uscita. Sarebbe dovuto essere l'omaggio dei Sick Tamburo ai fan della prima ora, a quelli che li hanno conosciuti col punk rock, alla loro storia personale, e oggi, la sua pubblicazione è diventata un atto d'amore nei confronti di Elisabetta, un modo per portarla di nuovo sui palchi e nel cuore. 

Abbiamo chiamato Gian per parlare insieme di questa cosa, un po' in punta di piedi per non disturbare. Qui sotto trovate tutta la chiacchierata, in cui parliamo di memoria, sanità mentale, chitarre, concerti vietati, Pordenone e futuro, una parola che questo 2020 sta facendo di tutto per rendere fumosa. Gian Maria però è un grande scrittore di canzoni che infondono coraggio, una dote oggi indispensabile, e sa sempre trovare le parole giuste.

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Un giorno nuovo in versione punk rock gasa. Come ti è venuta la voglia di tornare ai pezzi vecchi con questo arrangiamento?

Guarda, è stato tipo un gioco. A gennaio avevamo appena finito il tour invernale dell'ultimo disco e stavano succedendo cose non belle, l'Elisabetta stava peggiorando e più volte mi sono chiesto: "Che faccio, continuo? Forse i Sick Tamburo devono finire qua". Suonicchiando con la chitarra che avevo davanti, mi è venuto spontaneo fare i pezzi nostri, che suoniamo di solito ai concerti, ma col mio vecchio stile chitarristico, quello che ho avuto quando ho iniziato a suonare lo strumento. Sorprendentemente, ho visto che i pezzi non solo stavano in piedi, ma mi divertivano e mi portavano una sorta di entusiasmo. Parlando con l'Elisabetta ci è sembrata una figata, allora ho provato a svilupparli un po' di più e ne ho registrati due o tre in maniera demotape. Questo entusiasmo continuava a crescere e ci siamo detti: "Facciamo 'sta roba qua, facciamo un disco di soli pezzi riarrangiati, lo chiamiamo Back to the Roots, perché è un chiaro ritorno alle origini". Sarebbe dovuto uscire ad aprile e d'estate sarebbe partito il tour, che è saltato per ovvi motivi. È iniziato tutto da un gioco che mi ha messo della carica che stavo perdendo, perché come sai, quello era un momento di difficoltà.

Tra l'altro, oggi è un bel casino suonare il punk rock, dal momento che non puoi fare i concerti dal vivo e di certo non puoi suonarlo in un drive-in...

Eh lo so. Quella roba è nata a gennaio quando mai avremmo pensato di arrivare a una situazione del genere. Il progetto Back to the Roots, di cui l'Elisabetta è stata una spinta enorme, è stato fatto senza uno scopo redditizio, semplicemente ci è venuta l'idea e l'abbiamo portata avanti. Una cosa potente, di carica e d'entusiasmo. Ci siamo detti: "È una parentesi che durerà l'estate, è un regalo ai fan, è una cosa diversa anche per noi, mettiamola su e poi riprendiamo il nostro percorso solito". Ora ci troviamo a fare i conti con un'altra prospettiva, so che per un po' non potremo suonare, ma credo che neanche un normale concerto dei ST si potrebbe fare.

Il punk è un genere che ha bisogno di contatto fisico...

Eh sì, è inverosimile. Se qualche altro concerto potrebbe essere contemplato con la gente seduta un posto sì e un posto no, certo non un concerto di questo genere.

Foto di Paolo Degan
Foto di Paolo Degan

Nel tuo tornare alle origini, quanto c'entra la recente reunion estemporanea dei Prozac+?

Non so. Io arrivo da altri strumenti, la prima cosa che ho suonato è la batteria, ho preso la chitarra (che non avevo mai suonato prima) per formare i Prozac+, per comporre i miei pezzi, perché dietro la batteria dovevo sottostare soprattutto alle idee degli altri. Lì è nato quello stile, mi piaceva e sono andato in quella direzione, quindi c'entra, ma l'aggancio vero coi Prozac è che ho iniziato a suonare la chitarra in quel modo lì.

In Un giorno nuovo canti: "Scienziati studiano cose, tra queste cose ci siamo anche noi, sconfiggeremo quei mali, quelli più brutti, quelli più neri". 

Il motivo per cui siamo usciti con questo pezzo per primo, guarda caso il giorno dell'inizio della famosa riapertura, è proprio legato a quello che dici. È stato il primo pezzo che avevo scritto per l'Elisabetta che affrontava quel male, e ora si trova a essere una cosa ancor più grande.

"Pensa a quello che siamo, pensa a quello che saremo". Bella domanda: cosa saremo dopo questa pandemia?

Onestamente all'inizio pensavo che questa fosse una delle più grandi lezioni che l'essere umano può prendere. Mi sono detto: "Ok, questa è devastazione, ma se abbiamo anche solo un briciolo d'intelligenza, saremo in grado di fare una pulizia all'interno del nostro cervello, che sarà epocale quanto lo è stata la situazione di per sé". In questo momento però devo dire che sono un po' meno fiducioso, ho visto un sacco di gente che se ne sbatte altamente, ma questa è un'occasione probabilmente unica. In una vita, quante occasioni del genere puoi avere? Una è giù qualcosa di enorme, seppur legata a un evento disastroso. Se ci pensi, dal niente si è ripulito tutto: cieli, acque, pensa che potremmo pulire il nostro cervello, buttare via la fognatura che ci portiamo dietro da sempre, partendo dagli avi che ce l'hanno tramandata. Spero di tornare ad avere fiducia che qualcosa possa davvero cambiare.

Ci stiamo trasformando un po' in carabinieri...

Eh, ma infatti se fai pulizia da una parte e butti dentro merda dall'altra, che pulizia è? È una situazione complicata che potrebbe davvero aiutarci a fare un salto di qualità enorme, ma che ci può pure far tornare indietro. È tutto aperto.

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Hai avuto un anno terribile fino a oggi. Come hai conservato l'equilibrio?

Ti dico la verità, non con facilità. Ho avuto momenti abbastanza difficili, per un mese non ho risposto neanche al telefono. Sono riuscito a stare a galla anche cercando aiuto. Ho imparato che quando le persone sono in difficoltà possono e devono cercare aiuto. Non considero neanche passato tutto, onestamente. Ogni giorno ci lavoro. 

Oggi per te cosa sono i Sick Tamburo?

Dal momento in cui stavo per mollare a oggi, mi sono reso conto che i Sick Tamburo sono nati per un'idea mia e di Elisabetta, che ha fortemente voluto la band. Mi "rompeva le scatole" ogni giorno per creare qualcosa di nuovo dopo i Prozac+, ed ero io a dire no. Ha insistito talmente tanto che abbiamo messo in piedi questa cosa. Da gennaio a oggi, ho capito che continuare coi Sick Tamburo vuol dire continuare ad avere vicino l'Elisabetta, per me. Smettere sarebbe come voler distaccarmi da lei in un modo che non voglio fare. C'è già stato un distacco che è quello fisico, inevitabile, quindi perché devo distaccarmi da quella cosa forte che c'è stata con lei? Continuando posso tenerla viva dentro di me. Questa è stata la forza che mi ha fatto continuare, il proseguimento di una relazione con la persona con cui ho fatto musica per tanto, tanto tempo.

La sua scomparsa ha avuto un'eco davvero impressionante.

Sì, non avevo neanche mai pensato a cosa sarebbe successo, ma per il bene, la stima e la considerazione elevata che ho sempre avuto dell'Elisabetta, non posso stupirmi. Credo sia stato un tributo alla grandezza e all'eleganza di una persona che io vedo ancora più grande di quel tributo. Mi sarebbe piaciuto, lo dico con rammarico, che non si fosse dovuti arrivare alla morte per riconoscere il valore di una persona, però siamo fatti così, non mi stupisce neanche questo.

Siete sempre stati alternativi a tutto. Che fine ha fatto l'alternatività oggi nella musica?

Me lo chiedo anch'io, perché ad esempio le chitarre le vedo scomparire sempre di più. È vero che tutto è in continua trasformazione e le cose vanno e vengono. Questa cosa che ci sta succedendo potrebbe anche rompere dei meccanismi e far tornare la voglia di usare cose che sembravano in disuso. Adesso ha preso piede questa ondata di musica leggera, che occupa i media in senso quasi totale, che è una cosa abbastanza naturale, essendo pop. Lo strano era avere risultati piuttosto importanti con cose che avevano un suono diverso. Quando mi chiedono cos'è la musica alternativa, ho un'idea molto chiara: come dice la parola stessa, è l'alternativa a ciò che è popolare, a ciò che tutti hanno nelle orecchie con facilità. Non solo le chitarre, ma i suoni un po' marci, le idee diverse, fanno parte della musica alternativa, mentre di solito quella che funziona di più tra la gente non lo è. Non è un giudizio, è una constatazione tecnica.

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Dei concerti nel futuro cosa accadrà?

È difficile riuscire a capire. Senza andare in giro a suonare diventerebbe dura dal punto di vista lavorativo. La finalizzazione di un disco, di un pezzo che esce è portarlo dal vivo, perché oggi non è che con la vendita dei dischi ci vivi,  o almeno, non noi. Forse ci vive Vasco Rossi, ma i gruppi di medio calibro devono assolutamente fare i concerti. Senza quelli, il mestiere andrebbe a finire, in più io è da quando son nato che salgo sui palchi, se non potessi più farlo sarebbe un problema non indifferente, anche a livello personale. Bisogna sperare che esca il vaccino e che si possa piano piano tornare a una discreta sorta di normalità.

E che arrivi qualche forma di sostegno...

Voglio sperare che arrivino anche degli aiuti dall'alto, perché c'è un'intera categoria a rischio. Se tutti, con grande difficoltà, possono riprendere a fare il loro lavoro, anche se molti purtroppo non riapriranno, i nostri di cosa vivono? Non parlo neanche dei musicisti, quanto degli addetti ai lavori. Senza concerti non viviamo e saranno di sicuro l'ultima cosa che sarà possibile fare; anche giustamente, non fraintendermi. Però siamo l'ultima ruota del carro e per arrivare a quel giorno, dobbiamo essere aiutati in qualche modo. Sono cazzi amari, veramente.

"Andrà tutto bene"?

"Andrà tutto bene" funziona per i bambini. Oggi dall'alto si devono capire i problemi di quelle persone che stanno più in basso, devon darsi una mossa per aiutarci tutti, altrimenti non se ne viene fuori. Aiutarne due e non aiutare gli altri due, alla fine porta male a tutti e quattro. In questo momento, non si può lasciare la gente da sola. Serve darsi da fare, eliminare tanti iter che hanno rovinato l'Italia dai tempi dei tempi: la burocrazia italiana è nota per essere la peggior pattumiera che esista sulla faccia della Terra. Dovremmo usare questo tempo per capire che le cose a volte sono più semplici di quello che si pensa, che aiutare può essere più facile, basta togliere di mezzo un sacco di inutilità. Ben venga "Andrà tutti bene", non è una critica, ma dobbiamo sveltire tutti i processi. Io ho abitato fuori dall'Italia per un po' di tempo e lì per fare le cose c'è una facilità che qui ce la sogniamo. Ho parlato con dei parenti che stanno a Berlino e mi hanno detto che il giorno dopo il lockdown, avevano sul conto 5-10.000 euro. 

Cazzo...

Mi hanno detto "Non possiamo spenderli per comprarci un'auto"... beh, vorrei vedere! A parte gli aiuti, pensa a quanti passaggi devi fare per vendere una cosa. In America, un'auto la vendi in dieci minuti. Pensa se devi aprire una Società, a tutti gli sbattimenti burocratici: di nuovo la fognatura da spazzare via. Se non prendiamo questa occasione per ripulire, non lo faremo mai.

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Perché stai sempre a Pordenone?

Andando sempre in giro, Pordenone è sempre la mia tana finale, una piccola città di provincia in cui succedono le stesse cose che succedono in tutte le province italiane. Ci sono affezionato perché sono nato qui non solo fisicamente, ma anche con la musica. Da ragazzino son stato tirato dentro a quel movimento tra i primi in Italia, The Great Complotto, suonando nelle prime band (tra cui Futuritmi con Davide Toffolo, altro pordenonese DOC, ndr). Ho un legame molto forte con la città.

Non siamo proprio di primo pelo, quindi ti chiedo: come si rinnova la magia dello scrivere canzoni?

Scrivere in qualche modo è liberarsi, e quella non è una cosa legata all'età, ciò che cambia è che a ogni età lo fai in modo diverso. È come vestirsi, non è che mi vesto solo quando sono adolescente, lo faccio anche adesso, però con altri vestiti. La creatività è l'apertura più grossa che abbiamo, non può essere legata all'età, anche a 100 anni uno può creare arte, è una costante della vita. Finché c'è, sei vivo, e finché sei vivo, ti senti di poter continuare a farlo.

Guardandoti indietro, la reunion dei Prozac+ ti ha aiutato a non avere rimpianti? 

Guarda, io non l'avrei fatta, per me i Prozac+ erano di fatto chiusi, ma in senso buono. I Prozac + sono il mio primo figlio, metaforicamente parlando, quindi posso solo amarli, però ho sempre ritenuto la cosa finita, e a me le riprese non sono mai piaciute. Quei due episodi del 2018 (MI AMI Festival e Home Festival)  sono nati perché, come ho spiegato spesso a Carlo Pastore che da anni mi seguiva per chiedermi questa cosa, quell'anno lì... hmm...

...l'Elisabetta cinque anni fa si è ammalata e, per quanto in certi momenti sembrava poter andare avanti, dentro di me sapevo che non era una roba facile, che purtroppo sarebbe finita così. Ce l'avevano detto. Prima che fosse troppo tardi, volevo che l'Elisabetta avesse l'opportunità di ricoprire di nuovo quel ruolo, perché è stato quello che ci ha uniti per la prima volta, un'unione che poi è durata per 30 anni. Entrambi eravamo legati a quei momenti, ma lei forse, sapendo in che situazione era... Glielo leggevo, non è che me lo diceva, sapevo che sarebbe stata una roba che avrebbe potuto portarle una gioia in più, e come tutte le gioie, avrebbe potuto aiutarla nel calvario che stava affrontando. Di sicuro lo ha fatto, ma alla fine ha fatto bene a tutti noi tre. Per quanto io inizialmente non volessi, quando l'ho fatto è stato magico per me, è stata una cosa bella e son contento che sia andata così, che in qualche modo abbiamo chiuso quel cerchio che era rimasto vagamente aperto, e che l'abbiamo chiuso nel modo migliore. 

  

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L'articolo Gian Maria Accusani: "Con i Sick Tamburo tengo viva Elisabetta dentro di me" di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-05-06 10:06:00

Tag: singolo

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