Per il sistema musica è giunta l'ora dell'autoanalisi

Mentre si lancia il sacrosanto hashtag #IoLavoroConLaMusica, un sondaggio dice che per la gente l'artista non è "un lavoro essenziale". È ora di pensare a cosa è andato storto nel sistema culturale italiano, e come cambiarlo

In questi giorni, gli artisti e tutte le figure professionali dietro le quinte del settore musica stanno spingendo l'hashtag #iolavoroconlamusica sui social. È un'iniziativa collegata alla festa della musica del prossimo 21 giugno, affinché non sia una giornata #senzamusica. Da Brunori a Vasco Rossi, tutti col cartello in mano, per mostrare al Paese la difficoltà di un settore che, se non riparte, rischia seriamente di capitolare al covid. Gli artisti e i lavoratori dello spettacolo chiedono aiuto, dal momento che il comparto cultura fa il 16% del PIL italiano ed è quello messo più in ginocchio dalle misure anti-assembramento per fronteggiare il coronavirus.

Sempre in questi giorni ha iniziato a circolare sui social lo screenshot di un sondaggio del britannico Sunday Times, dove viene chiesto a un campione di 1000 persone quali siano i mestieri essenziali e quali non nel contesto della pandemia. È stato eseguito da Milieu Insight, una società di ricerca sui consumatori con sede a Singapore. Qui sotto i risultati:

L'artista sempre in pole position
L'artista sempre in pole position

Come potete vedere, nella top 5 dei mestieri essenziali durante il covid a occupare il primo posto c'è chi lavora nel settore sanitario, seguito dagli operatori di pulizia, dai venditori e da chi effettua consegne porta a porta. In quelli non essenziali, l'artista guadagna l'ambito primato, seguito dai centralinisti che accollano inutilità, dai PR e social media manager, dai consulenti in affari e dal capo della sezione risorse umane. In questo caso, gli artisti si sono arrabbiati tantissimo e hanno intasato i feed dei social con frasi come "Provate a stare in quarantena senza libri, film, musica, serie tv, streaming ecceteraaaaaaa". Che è un pensiero sacrosanto, se non fosse assolutamente fuori contesto.

Essenziale: agg. Costitutivo dell'essenza, quindi sostanziale, indispensabile [fonte Treccani]. I mille che hanno risposto all'annosa questione hanno semplicemente seguito il filo logico della domanda: se di covid si va al creatore, i cinque mestieri più importanti saranno quelli che mi impediscono di morire, quindi sanitari, pulizia, spesa, delivery per non uscire di casa. L'artista è accessorio alla questione di vita o di morte: lavora per esprimersi in primis, e poi per rendere la vita migliore a chi lo segue.

Ammetto candidamente che senza la musica, i libri o i film anche la mia vita sarebbe un errore, ma durante un'apocalisse virale la prima cosa a cui pensare è stata la sopravvivenza fisica, mia e dei miei cari. Penso che gli intervistati abbiano fatto questo tipo di ragionamento, e poi che è 'sta storia di prendersi male se qualcuno dice che gli artisti non sono essenziali? Qui c'è un po' di confusione, che ci fa tornare al volo all'hashtag di cui sopra: lavorare con la musica e la top 5 dei mestieri potrebbero essere più collegati di quanto di voglia ammettere

Nessuno può dare la patente di artista a nessuno altro perché l'arte è espressione prima ancora che business e, a volte, dalle parti del business neanche c'arriva, mentre sulla questione lavorativa ci sarebbe da fare un discorso a priori: in Italia, come nella maggior parte dei Paesi del mondo, il lavoro è regolamentato da leggi e contratti. Sappiamo bene che qui fare impresa è difficilissimo, le tasse sono un cappio al collo e se i locali dovessero mettere in regola ogni singolo dj per la serata, dopo aver pagato la SIAE ci andrebbero sempre in rimessa, ma se non contribuisci con le tue tasse all'economia del Paese non puoi considerarti lavoratore con diritti. E questo vale sia per il grande boss dell'industria con le società off-shore nei paradisi fiscali, sia per lo stronzo come me che mette gli mp3 a una festa in un pub con 30 persone. 

Lavorare nella musica è una cosa seria, e non basta suonare la chitarra a casa o avere un'etichetta su Bandcamp con gli amici per chiedere sovvenzioni allo Stato, perché in questo modo non si giova alla causa. I professionisti del settore hanno tutto il diritto di protestare e chiedere lumi a uno Stato che si è completamente dimenticato di loro, gli amatori è giusto che appoggino la protesta senza volerci mettere la faccia coattamente, alla ricerca di like. Non tutto è risolvibile a colpi di popolarità, e questo è un caso dannatamente grave. Il sistema musica, a causa dell'irregolarità e della cecità selettiva delle istituzioni, stava a pezzi già prima del Covid. C'è bisogno di una grossa autoanalisi, che vada di pari passo con la pretesa.

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 L'arte è importantissima, io ne vivo, ma non essenziale in un contesto di pandemia.  Quindi va creata ancora di più, perché la bellezza non sfama, ma fa vivere meglio. Sul fatto di ritenersi tutti proposte essenziali, aventi diritto di aiuti statali anche se il nostro progetto artistico o di lavoro nell'ambito è poco più che un hobby amatoriale, senza pagare il minimo contributo, be', su quello farei un bel passo laterale. Negli ultimi (10?) anni c'è stata un'offerta ridicolmente più grande rispetto alla domanda effettiva di musica, si sono moltiplicati i lavoratori del settore: promoter, manager, band, booking che si sono immessi sul mercato per provare a seguire la scia di quelli che stavano diventando pro, senza riuscire a farcela. Capita, come uno sceglie di comprare un sugo di pomodoro invece di un altro, allo stesso modo sceglie di ascoltare o andare al concerto di un artista invece che di un altro. 

Mettiamoci anche la fotta degli artisti di avere successo istantaneo senza gavetta, di voler suonare nei posti grossi a cachet alto solo per aver indovinato una canzone, alla fine il sistema e chi ci lavora sono stati pompati di un'energia supersonica che non ha alcuna attinenza coi numeri reali, con l'indotto prodotto e con la sostenibilità dell'operazione. Non mi sono svegliato col piede sinistro, ma dobbiamo guardarci negli occhi quando si parla di lavorare nella musica, perché chi lo fa davvero si prende il rischio d'impresa e si fa un culo che sembra uno Zeppelin, a volte con la stessa sorte toccata al dirigibile.

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Quindi: l'artista non è essenziale ma è importantissimo. Artista può essere chiunque, lavoratore nella cultura solo chi ci lavora davvero. Dobbiamo batterci perché sia un ambiente più inclusivo, riconosciuto, sostenibile, meno tassato, dal momento che crea un indotto considerevole. Contemporaneamente, dobbiamo batterci anche per debellare i vizi che hanno soffocato il sistema cultura fino a oggi, altrimenti, farcela stavolta potrebbe servire solo a rimandare la caduta.

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L'articolo Per il sistema musica è giunta l'ora dell'autoanalisi di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-06-16 10:59:00

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