Kety Fusco, la mia arpa è un'ossessione pop

Nelle sue mani lo strumento assume mille forme diverse, come dimostrano il disco "Dazed" e il feat. con Clap! Clap!. E pensare che all'inizio suonava solo per non picchiare gli altri bimbi

Kety Fusco, foto di Adriana Tedeschi
Kety Fusco, foto di Adriana Tedeschi

Quando pensiamo all’arpa, la nostra mente dipinge scenari angelici, distese naturali in mezzo al verde, paesaggi dominati dalla pace e dalla tranquillità. Ci è difficile immaginare della musica diversa provenire dall’arpa, uno strumento poco sfruttato nella musica pop per la sua scarsa attrattiva e apparente mancanza di versatilità. Per fortuna esiste chi, invece, è riuscito a trovare un proprio stile di espressione per esprimersi a pieno e a cercare nuovi modi di fare musica con l’arpa elettrica: stiamo parlando di Kety Fusco, musicista toscana trapiantata da sette anni in Svizzera che ha da poco pubblicato il suo primo album, Dazed, per la Sugar Music.

Ce ne aveva parlato in tempi molto recenti Clap! Clap!, nel corso della nostra ultima intervista, sottolineando quanto il suo disco fosse meritevole: Kety aveva partecipato al suo ultimo album, Liquid Portraits, e Cristiano aveva ricambiato il favore con una comparsata in Dazed. Incuriositi, abbiamo seguito il consiglio di Clap! Clap! e ne abbiamo recuperato l’ascolto.

Ciò che colpisce sin dal primo ascolto di Dazed come spesso l’arpa non sembri lo strumento che è. Tutti gli effetti e i pedali che vanno a giocare sulle corde distorcono il suono al punto da sembrare di sentire a volte una Stratocaster, a volte un sitar, a volte una chitarra acustica, a volte addirittura niente di riconoscibile: è una sorprendente immersione in territori sconosciuti e suggestivi, dove l’elettronica incontra la tradizione classica e traccia un percorso nuovo e originale. Abbiamo contattato Kety Fusco per farci dire come sia arrivata a ottenere questo suono così particolare e unico.

Come ti sei avvicinata all’arpa?

Quand’ero piccola soffrivo di iperattività, la cosa è degenerata quando ho rotto tutti i denti a una mia coetanea, avevo circa 6 anni, non mi ricordo questo momento. I miei mi portarono dallo psicologo e lui disse che avrei dovuto iniziare a suonare uno strumento. La scelta cadde sull’arpa perché la vidi quando ero in vacanza con i miei in montagna dalle parti di Lucca, mi innamorai istantaneamente.

Qual è il miglior modo per approcciarsi all’arpa?

Di solito agli adulti non affascina come strumento, anzi, le uniche due persone che conosco che hanno voluto iniziare hanno mollato dopo pochi mesi. Io di solito quando insegno alle bambine uso un metodo che non è quello canonico, faccio subito vedere l’arpa elettrica e alcuni pedali, così vedono subito quante potenzialità abbia questo strumento, lo rende più vivo e coinvolgente.

Cosa intendi quando parli di autismo dell’arpa?

Quando ho iniziato veramente a prendermi dello strumento passavo anche 8-9 ore al giorno a studiare, senza fermarmi, era quasi una necessità fisica. Più mi venivano i calli nelle mani, più ero contenta e non volevo smettere, era ai limiti dell’ossessione. Mi ricordo che mi si rompevano le corde di continuo, soprattutto quelle più sottili: è una cosa fastidiosissima, fanno un rumore insopportabile quando si spezzano. Poi col tempo ho imparato a regolarmi, adesso passo circa 2 ore al giorno a suonare.

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Durante la quarantena come hai evitato di ricascarci?

In Svizzera non ha colpito così forte il virus, però all’inizio il rischio di ritrovarmi succube dell’arpa c’è stato. Quando me ne sono accorta ho deciso di spostarmi in montagna, a 2000 metri in una roulotte. Non che passassi comunque del tempo a suonare, ma lì avevo anche la possibilità di immergermi nella natura e camminare nel verde, mi è servito per non farmi prendere dall’ossessione per lo strumento. Comunque è stato un periodo anche stimolante, adesso ho dei progetti in ballo di cui ancora non posso dire niente ma sono molto contenta di come si stanno evolvendo le cose.

Da quanto vivi in Svizzera?

Mi sono trasferita qua 7 anni fa: dopo il liceo sono stata due anni a Brescia e poi mi sono spostata in Svizzera perché mi avevano preso al conservatorio, ma io all’inizio la vedevo come un luogo di passaggio. Poi mi sono innamorata del posto e non sono più andata via.

Come ti trovi?

Molto bene. Ci sono alcune cose che mi mancano dell’Italia, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto storico culturale, però non tornerei indietro. In Svizzera sono riuscita a trovare una stabilità, è qui che sto davvero bene.

Come sei arrivata alla nascita di Dazed?

Il disco ha iniziato a prendere forma quando sono entrata in contatto con i Peter Kernel, un paio di anni fa: loro sono un gruppo svizzero che stava cercando musicisti per riarrangiare i loro brani con strumenti classici, quindi ci siamo conosciuti così. Io arrivo dalla classica e solo da pochi anni ho iniziato a sperimentare di più, soprattutto quando ho iniziato con l’improvvisazione mi si è aperto un mondo musicale. Con Aris Bassetti dei Peter Kernel abbiamo iniziato a pensare a un disco in cui potessi esprimere la mia identità sonora, che in realtà sto ancora costruendo. Abbiamo iniziato aggiungendo man mano effetti, pedali e ad allontanarci il più possibile da quello che è il suono canonico dell’arpa. Ad Aris l’arpa fa schifo, per cui è lui che ha distrutto tutto quel mondo di fatine e unicorni da cui ci immaginiamo provenire l’arpa per arrivare a quello che poi è diventato Dazed.

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Dazed significa stordito: a chi si riferisce?

Lo stordimento è sia mio che per l’ascoltatore: quella che si sente nel disco è un’arpa che non sembra quasi mai un’arpa, per cui l’effetto è questo, la mia idea era quella di dare una sorta di schiaffo virtuale per confondere chi si trovi ad ascoltare il disco. Per me, invece, lo stordimento è quello che provo quando mi trovo ad affrontare la realtà, quindi l'obiettivo di questi miei brani è anche quello di combattere questa sensazione.

Di te ci ha parlato benissimo Clap! Clap!: come siete entrati in contatto?

Con Cristiano la collaborazione è nata per caso, anche perché non ci siamo mai conosciuti di persona! Io sapevo chi era perché avevamo suonato nello stesso festival l’anno scorso e il suo nome mi aveva incuriosito. Qualche mese fa mi ha contattato chiedendomi di partecipare al suo Liquid Portraits e io ho partecipato molto volentieri, al che ne ho approfittato per chiedergli se aveva voglia di contribuire a Dazed: così è nata Dive.

In Italia non suoni spesso, come mai?

In effetti suono molto più all’estero, non capito spesso in Italia perché nel resto d’Europa mi sembra che sia più facile esibirmi, ho l’impressione che siano più aperti e curiosi a sentire uno strumento come l’arpa anche in situazioni inaspettate: per esempio, una volta mi sono trovata a suonare a un festival metal. Non voglio dire con questo che in Italia siano più chiusi, semplicemente mi sono trovata in più occasioni in altre località che nel nostro Paese.

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L'articolo Kety Fusco, la mia arpa è un'ossessione pop di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-06-26 15:10:00

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