I figli d'arte più sottovalutati della musica italiana

Nell'arte c'è chi viene schiacciato dal peso del proprio cognome e chi rinuncia in partenza a seguire le orme del padre. E poi c'è chi trova da solo la strada e rinnova a modo proprio la magia

Cristiano e Fabrizio De André assieme sul palco del teatro Brancaccio, 1998
Cristiano e Fabrizio De André assieme sul palco del teatro Brancaccio, 1998

In Italia sappiamo quanto conti essere "figli di". Per molti aspetti, il nepotismo è un tratto distintivo del nostro Paese, una caratteristica su cui ha eretto le sue fortune anche la serie tv Boris, che ormai da parecchi anni è il miglior riferimento possibile quando si vuole spiegare l'anima profonda di questa nazione. In musica può valere lo stesso discorso: a volte ci sono nomi che già segnano un’eventuale carriera artistica. Che magari arriva anni dopo, in forme non usuali, ma che sembra sia sempre stata scritta. Di recente, dopo anni di silenzio, si è tornati a parlare di Paolo Jannacci, figlio di Enzo e fresco "targato" al premio Tenco.

Essere figlio d'arte non implica, e ci mancherebbe, né essere bravi né essere incapaci, però porta con sé la questione di come affrontare un percorso già tracciato. C’è chi ha deciso di non nascondere il proprio ingombrante nome per omaggiare in maniera dignitosa il lavoro del padre, chi ha cambiato completamente genere e chi si è costruito la sua discografia di pregio senza fare troppo rumore. In un mondo che pullula di Facchinetti Jr., abbiamo deciso di scavare nella musica italiana per trovare i cinque figli d’arte più sottovalutati della nostra storia patria. 

Stefano Cerri

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Bassista e session man, Stefano Cerri è stato il figlio del leggendario Franco, uno dei più importanti chitarristi jazz del nostro Paese e noto al grande pubblico per essere il famoso "uomo in ammollo" della Bio Presto, su Carosello. Stefano inizia a suonare accanto al padre, salvo poi farsi affascinare dalla musica rock: fonda nel 1976, gruppo di spalla di Eugenio Finardi, e suona nella Rock & Roll Exhibition di Demetrio Stratos e Mauro Pagani.

Nel corso degli anni lavora con, tra gli altri, Edoardo Bennato, Tullio De Piscopo, Faust’O e Alice . In campo internazionale, accompagna il cantante degli Yes Jon Anderson nel suo disco da solista Animation. La sua brillante carriera viene bruscamente interrotta nel 2000, quando scompare all’età di 48 anni in seguito a una malattia.

Cristiano De André

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Il cognome più difficile da portare sulle spalle di questa lista. Più che un cantautore, per molti Faber è stato il cantautorato nel nostro Paese: percorrere la via del padre non sarebbe stato semplicemente possibile per il giovane Cristiano De André. Dopo gli studi in chitarra e violino al Conservatorio, Cristiano accompagna in tour Fabrizio e prende parte all’ultima parte della sua produzione artistica.

Pur cercando di trovare una propria strada nella musica italiana e ottenendo anche qualche riconoscimento – giusto quest’anno ha vinto il Premio Ciampi con il brano Tu No –, il pubblico lo ricorda principalmente per le sue tournée in cui suona la musica di Fabrizio, grazie anche alla somiglianza fisica al timbro vocale quasi identico. Ha avuto sempre dovuto convivere, oltre che con l'ombra del più grande, con problemi caratteriali che fanno di lui un personaggio vagamente "larger than life", ma è giusto venga ricordato come un signor musicista. 

Filippo Graziani

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Filippo Graziani è il secondogenito di Ivan, il chitarrista dagli occhialoni con la montatura rossa e la voce acutissima. Ivan scompare nel 1997, quando Filippo ha 15 anni: solo dopo qualche anno il ragazzo si avvicina allo strumento, seguendo la passione del padre. Dopo l’esperienza con il gruppo stoner rock Carnera e il trasferimento per qualche anno a New York, Filippo riprende in mano il repertorio di Ivan, omaggiando la discografia di un musicista talvolta troppo dimenticato nel panorama italiano. 

Viaggi e intemperie è il progetto che ormai da anni Filippo porta in tour per l’Italia, in cui interpreta le canzoni del padre, mentre nel 2012 ha curato la direzione artistica della compilation Tributo a Ivan Graziani, a cui hanno preso parte diversi nomi della scena alternativa.

Pino Presti

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Non tutti conosceranno la famiglia Prestipino Giarritta, ma tra i suoi discendenti c’è un nome ingiustamente trascurato per la musica leggera italiana: si tratta di Giuseppe Prestipino Giarritta, bassista, arrangiatore, direttore d’orchestra, figlio del violinista jazz Arturo e meglio noto con lo pseudonimo di Pino Presti. Se ancora questo nome non dovesse dirvi niente, è opportuno citare alcuni dei nomi con cui ha collaborato: Quincy Jones, Wilson Pickett, Shirley Bassey, Astor Piazzolla – la linea di basso di Libertango è sua – e Mina.

Proprio con la "tigre di Cremona" Presti ha la sua collaborazione più duratura, partendo dalle registrazioni a inizio anni ’60 con l’orchestra di Augusto Martelli e finendo per diventare arrangiatore di gran parte della discografia della cantante tra il 1971 e il 1978. Un vero e proprio mostro sacro.

Francesco Leali

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Se Fausto Leali è il cantante italiano che ha cercato di portare nel nostro Paese la tradizione del soul americano – colonizzando le vette delle classifiche per anni –, il figlio Francesco ha preso tutta un’altra direzione. Il suo progetto musicale si chiama Clockwork, è nato nel 2010 a Londra per poi svilupparsi a Berlino. Con Clockwork, Francesco si è esibito in giro per il mondo all’interno di vari club e festival di rilievo per la scena elettronica internazionale.

Sua è l’etichetta Parachute Records, con sede a Milano, che si concentra sul filone techno, ma ha anche collaborato con Gloria Campaner e Ludovico Einaudi. Nel 2019 ha pubblicato a suo nome il disco Undergoddess, a cui seguirà un secondo album tra il 2020 e il 2021 e ha preso parte alla realizzazione di Quarantine Scenario dei Casino Royale durante il lockdown.

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L'articolo I figli d'arte più sottovalutati della musica italiana di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2020-07-04 09:34:00

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