Gregorio Sanchez, il futuro dell'itpop passa ancora da Bologna

Qui è nato il cantautore firmato da Garrincha, che dai portici ha però preso a vagabondare parecchio. Fino a comporre un pezzo come "Dall'altra parte del mondo", nato con un ukulele in mezzo alla giungla

Gregorio Sanchez in azione
Gregorio Sanchez in azione - Stefano Bazzano

Bolognese di nascita, milanese d’adozione, della nuova scommessa in casa Garrincha si conosce ancora poco. Gregorio Sanchez, appena adolescente, scappa dal Conservatorio, scopre OK Computerdei Radiohead, l’home recording spericolato e tutto ciò che lo scenario emiliano degli anni 00 ha da offrire, subendone irreparabilmente le conseguenze, ma l’idea di un progetto solista iniziare ad affacciarsi nella testa dell’autore solo in seguito alle scoperta di uno dei più grandi poeti della canzone italiana: Lucio Dalla. Le canzoni di Gregorio sono un interessante ibrido che mischia le sonorità nordiche e rarefatte di artisti come Kings of Convenience e Bon Iver, con l’evocatività del cantautorato nazionale.

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Dall’altra parte del mondo è il singolo che darà il nome al suo album di debutto, con una manciata di brani (San Giuliano, Pesce Lesso, Vulcani) Greg è riuscito a ritagliarsi il suo piccolo spazio all’interno della scena, ricevendo attestati di stima da parte di artisti come Francesca Michielin e, soprattutto, Calcutta, reuccio del nuovo cantautorato indipendente, che lo contatterà per aprire una delle sue prime date del tour europeo.

Tendo a rimuovere gli eventi eccessivamente emozionanti dalla mia testa, siano essi positivi o negativi. Di quell’esibizione non ricordo nulla, era veramente troppo teso. In pratica, l’apertura a Calcutta a San Marino è stata il mio secondo concerto ufficiale. Un salto nel vuoto mica da ridere. E, anche se non glielo chiederò mai, mi rimarrà sempre il dubbio "Edoardo mi hai chiamato perché mi rispetti artisticamente o ho avuto solo la fortuna di starti simpatico?"

In attesa del suo primo longform ufficiale, la nostra intervista a Gregorio Sanchez.

Sanchez è il tuo vero cognome?

Non è il mio cognome vero, però è quello giusto.

Sei nato a Bologna, risiedi a Milano, sei passato per l’Austria. Di te però, si sa ancora poco.

In Austria, anche se non è esattamente la Spagna, sono stato in Erasmus. Poi la mia professione mi ha portato sulle montagne. Mi piacciono gli ambienti di montagna, ci sto bene, ma, lavorativamente parlando, non solo per quanto riguarda la musica, Milano è una città che offre molte più possibilità. Avevo voglia di spostarmi, pur amando Bologna, dopo 30 anni ci si stanca. Ci si stanca di qualsiasi posto.

Quest’aspetto del vagabondare è parte integrante delle tue canzoni?

In realtà non mi reputo un grande viaggiatore. Allo stesso tempo, quando sono in viaggio, spesso sono più ispirato. Un viaggio non dev’essere solo fisico, e non deve nemmeno prevedere necessariamente delle distanze continentali. Ecco, empiricamente, ciò che nutre le mie canzoni penso sia lo spostarsi. Stare in un altro posto. Non sono mai stato capace di visitare le città, non sono mai stato a New York e l’idea mi terrorizza. Tutto quelle cose da fare, da vedere, non saprei da dove iniziare. Mi sento più a mio agio a interagire con un ambiente naturale.

La storia della genesi di Dall’altra parte del mondo è vera?

Sì. Ero in America Centrale. Quello era proprio un viaggio, un viaggio senza un vero fine pragmatico. Avevo perso la valigia ed ero rimasto con il bagaglio a mano. Grazie a Dio non ero perso, ero solamente sperduto. In pratica mi sono ritrovato in mezzo alla giungla da solo con un ukulele. Mi sono messo a cantare.

È così che componi le tue canzoni di solito?

Parto dalla chitarra, il mio strumento principale. Improvviso una melodia e le parole fluiscono naturali. All’inizio era un calvario, pensavo le canzoni non avessero significato. A comporre in italiano ho iniziato tardi, nel 2017, Dall’altra parte del mondo, scritta due anni prima, era l’unico mio pezzo in italiano. Ora sto imparando a padroneggiare il mio metodo e dopo una decina di versi tutto acquista senso. Così nascono le prime strofe delle canzoni, le lascio fermentare mesi e, quando mi sento pronto, quando mi è chiaro quel che volevo dire, rimetto mano al brano, magari continuandolo al pianoforte e trasponendo tutto in Do maggiore, l’unica maniera in cui so suonare questo strumento.

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Hai studiato musica?

In realtà no, o meglio, il mio babbo era musicista. I miei genitori mi hanno inscritto a un corso di pianoforte, un po’ per imposizione, un po’ per osmosi un po’ per una sorte di attrazione fisica naturale verso certi strumenti, sono finito alle medie musicali e, in seguito, ho intrapreso il percorso del conservatorio. Ma l’oboe non era proprio il mio strumento. Tuttavia, i corsi complementari di armonia e solfeggio, corsi che ho sempre cercato di evitare, mi sono serviti, e mi servono tutt’oggi. Non so più leggere la musica, ma ho mantenuto l’orecchio.

Se Dall’altra parte del mondo è stata scritta nel 2015, perché è uscita solo ora?

Avevo un progetto in inglese in cui non ero nemmeno il cantante, si chiamavano Oak. Ci siamo lentamente spenti come band. All’inizio scrivevo in inglese perché non davo molto peso alle parole, come fanno tutti quello che scrivono in un idioma che non è la loro lingua madre. Il 2017 è stato un anno in cui, per motivi di studio e varie vicissitudini, sono rimasto molto tempo chiuso in casa. Suonare la chitarra dopo 12 ore di studio era una vera liberazione. I testi fluivano spontanei, per la prima volta ho pensato un mio progetto solista potesse aver senso.

La svolta con l’italiano com’è avvenuta?

A parte i Perturbazione - non so perché - non ho mai ascoltato musica italiana. Dal 2015, con l’uscita di Mainstream e di Endkadenz dei Verdena - altra band che fino a quel momento avevo sempre ignorato - il mio rapporto con la musica italiana, almeno con quella contemporanea, è molto cambiato. Ma la vera svolta, l’epifania, è rappresentata da uno dei momenti più assurdi della mia vita. In quel periodo lavoravo al Passo del Tonale, in alta montagna. Ho conosciuto un ex soldato che faceva il soccorritore di pista, “Belin tu sei di Bologna e non conosci Dalla?“. Era genovese, da grande esperto del cantautorato, si propose di farmi la guida all’ascolto. Una guida alpina alla guida dell’ascolto di Lucio Dalla. Ho ancora quella playlist salvata su Spotify, s’intitola “Il Lorenzo che verrà”. Con Dalla ho recuperato tutto quel che avevo perso nel panorama nazionale, per almeno cinque mesi non ho ascoltato altro (leggi il nostro approfondimento "Quando avevo vent'anni Lucio Dalla mi ha cambiato la vita" ndr). Tuttora lo ascolto moltissimo. E, quando mi blocco, spesso mi viene in soccorso.

Per il resto cosa ascoltavi?

Nei miei confronti si citano spesso i King of Convinence. I KoC hanno portato alla ribalta uno stile, certi tipi di alterazione negli accordi, certi tipi di arpeggio, che in realtà esisteva da tempo. Mi piacciono molto, ma non credo siano tra le band più importanti della mia vita. Sicuramente, per quando riguarda i miei riferimenti, preferirei citare Nick Drake e Sufjan Stevens.

La cover del nuovo singolo di Gregorio Sanchez
La cover del nuovo singolo di Gregorio Sanchez

Tornando al singolo, cito un tuo verso: "so solo scrivere canzoni tristi ma in generale tendo ad essere felice con la gente". Non pensi di alimentare lo stereotipo del nuovo cantautorato “ostentatamente” depresso?

Socialmente sono abbastanza funzionale. Non sono quello che alle feste si siede in disparte, d’altra parte, le canzoni mi escono tutte così. Ho sempre scritto canzoni tristi, non ti saprei spiegare il perché. Hai presente la saudade. Quando ricordi un momento, per quando felice possa esser stato, essendo questo momento passato, questa sensazione diventa automaticamente un po’ triste. Ma la malinconia non è per forza un sentimento negativo. Credo, spero, il mio album non sia un album “triste”.

Del video, girato durante il lockdown, cosa ci racconti?

Sembra un’idea figlia del lockdown, in realtà stavo in fissa con la 3D art già da tempo. Con la quarantena, e le inevitabili quanto spiacevoli conseguenze, non potevano più dirmi di no. Ho avuto la fortuna di conoscere questo bravissimo artista, Mattia Geraci, l’etichetta invece mi aveva proposto di lavorare con il regista Marco Santi. Perché non metterli insieme? Si sono suddivisi il lavoro curando la regia e la parte grafica, io ho cercato di mettere il naso un po’ ovunque, come sempre, contribuendo in particolar modo a scrivere il soggetto.

Presti molta attenzione alla componente visiva delle tue canzoni?

Non avendo un grande rapporto con i social è importante dare rilevanza all’art-work, al video in particolare. Le facce sono molto interessanti, specialmente su Instagram, ma è un retaggio che dura nei secoli, sennò non esisterebbero i modelli. È un concetto da boomer, non che non siano legittimi i progetti incentrati su una figura istrionica, ma vorrei che il mio vertesse principalmente sulla musica. Non mi piace prestare il mio viso, veicolare un messaggio con delle immagini diventa necessità.

Sei bolognese di nascita e hai debuttato con un’etichetta cittadina. La città rimane un punto di riferimento musicale enorme.

Da solista ho debuttato tardi, ma ho sempre suonato, i miei amici hanno sempre suonato. E insomma, l’ambiente poi è quello. Bologna è un po’ così, un enorme paesone, ci si conosce tutti. Questo spirito aggregativo non credo bypassi un certo criterio di giusta selezione. Mettiamola così, se ci sei cresciuto, e hai qualcosa di carino da far sentire, a Bologna conoscerai qualcuno cui farlo ascoltare. Molti musicisti vengono da fuori perché percepiscono la situazione, un po’ come gli studenti, questo meccanismo autoalimenta la scena tenendola sempre aggiornata. Sì dai, se vuoi fare il musicista, a Bologna si sta ancora molto bene.

Posso darti un consiglio? Il miele non si conserva nel frigo.

Il disordine che vige da sempre nel mio frigorifero rispecchia il mio disordine mentale. Credo esistano dei mieli antichissimi, dicono siano ancora commestibili, ma nessuno in realtà li ha mai assaggiati. Spesso le strofe migliori sono generate in momenti di totale abbandono, momenti in cui non riesci nemmeno a concederti piccoli gratificazioni quali una spesa accurata. Cosa che, tra l’altro, non ho mai saputo fare. Diciamo che il miele nel frigo è un’immagine più ampia del semplice barattolo riposto nel posto sbagliato. Non credevo così tanta gente potesse soffermarsi su questo verso contenuto in Vulcani, non sai in quanti hanno già sottolineato il mio errore.

Cosa dobbiamo aspettarci dal tuo primo album ufficiale?

Nel disco ci sarà San Giuliano, ad esempio, che è stata prodotta da Carota ed è partita da una mia visione sonora molto diversa. La prima volta che ho sentito una mia canzone suonare come si deve, effettivamente, ho cambiato un po’ idea. Ci sarà un altro produttore romano, ma il resto è stato tutto registrato dal sottoscritto. La Garrincha, di seguito, mi ha messo a disposizione uno studio e dei musicisti bravissimi con cui eseguirlo. A parte qualche fortunato esperimento di collaborazione, preferisco che nessuno metta mano ai miei pezzi. Diciamo che non riesco ad abituarmi a una visione non mia dei miei brani. In fondo Dall’altra parte del mondo è un home album registrato per bene in studio. Non è un disco costruito, ma un disco cui ho lavorato parecchio. Sono un testone, ci sono delle cose che volevo mettere a tutti i costi, anche se suonavano zoppe, stanche, non mainstream ma neanche sperimentali. Sempre casalinghe.

Insomma, DIY?

Sì, sono un grande fan del termine. Il mio è un album DIY, un album in cui c’è del bricolage.

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L'articolo Gregorio Sanchez, il futuro dell'itpop passa ancora da Bologna di Marco Beltramelli è apparso su Rockit.it il 2020-07-09 01:44:00

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