Tricarico: "La censura non serve più, oggi ci zittiamo da soli"

20 anni fa tutti usciva "Io sono Francesco" e ci trovavamo tutti a cantare "Puttana la maestra". L'occasione per una chiacchierata con un autore a tratti troppo avanti, che non sopporta l'omologazione regnante oggi e la trasformazione della musica in business

Tricarico in una foto promozionale
Tricarico in una foto promozionale

Sembrava ieri che cantavamo in coro "Puttana puttana, puttana la maestra", empatizzando col piccolo Francesco Tricarico a cui l'insegnante aveva chiesto il tema sul papà. Lui era un bambino che rideva sempre, ma quel giorno si adombrò, perché suo padre era morto presto e non ricordava quasi nulla. Io sono Francesco, il primo singolo di Tricarico, compie 20 anni e non ha perso un grammo della sua potenza evocativa e narrativa, vestita di synth pop sghembo e versi provocatori, poetici, assolutamente unici al tempo.

Milanese, classe 1971, già vent'anni fa si faceva chiamare per cognome, aveva una voce singolare, totalmente opposta al bel canto, suonava musica sintetica, vestiva tutto sdrucito, con l'aria di chi passava di lì per caso o di chi si fosse svegliato da poco e ancora non ha voglia di parlare con nessuno. Il suo primo singolo ha venduto un sacco (disco di platino): non vi ricorda il perfetto identikit del proto cantante del nuovo pop odierno? Da questo punto di vista, Tricarico potrebbe essere uno dei padri nobili dell'itpop.

Da vent'anni a questa parte, ne ha fatte tante: album, collaborazioni, è diventato autore per i divi del pop, da Celentano a Gianni Morandi, passando per Malika Ayane, poi ha fatto l'attore, il pittore, ha detto "stronzo" a Chiambretti in diretta a Sanremo, ed è una persona con cui è molto interessante parlare del tempo del covid, perché riesce a dire cose a cui te, di solito, non penseresti. Sta per uscire una sua canzone scritat a quattro mani con Leonardo Pieraccioni per lo Zecchino d'Oro e, quando mi saluta, mi dice che deve andare a prendere i figli a scuola. Quindi fate conto sia una chiacchierata al bar, di quelli belli però.

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Come va in questi tempi strani?

Tempi incomprensibili per alcune cose, comici per altre, drammatici per altre ancora. Si prestano a mille interpretazioni, questo non è bello. Dietro c'è un problema reale, un virus su scala mondiale, una roba da fantascienza, e tutta una drammaturgia sopra, un sacco di opinioni, di informazioni diverse e contrarie. È tutto immobile, non c'è più satira, e anche se ridere non è adatto a questi tempi, lo star bene aiuta a star bene. È un momento incomprensibile, forse tra anni si capirà quello che sta accadendo. Boh. Assisto come tutti con preoccupazione, soprattutto per i miei figli.

In questa assurdità, è arrivato il ventennale del tuo esordio...

Un romanzo di Urania, di Ballard. Non avrei mai pensato di compierlo così ,ma sono contento, è anche affascinante un momento così terribile. Sono molto contento di quell'esordio così importante e di tutto quello che è successo da allora: altri dischi, collaborazioni di cui ho un bellissimo ricordo, così come dello staff, Benetti, la Universal. Vivo questa ricorrenza con felicità e con tanti propositi buoni verso il futuro, nonostante tutto.

Il testo di Io sono Francesco ai tempi fece scalpore. Oggi come sarebbe accolto?

Non so se oggi farebbe scalpore; forse sì, forse è ancora attuale, l'argomento è talmente importante nella vita di ognuno: questo ragazzino vive il passaggio dal mondo interiore a quello esteriore, dall'infanzia all'adolescenza, in cui non ha modelli. Se ne parliamo ancora adesso, forse in quel tema c'è qualcosa che ci lega tutti. Un senso che si va a perdere, si banalizza o si ridicolizza, pensando sia legato all'infanzia, ma è la magia, l'immaginazione, la fantasia che poi ti permette di fare della tua vita un miracolo o un sogno o immaginarla come vorrebbero che tu la immaginassi. L'immaginazione ti fa cambiare la vita.

Col politicamente corretto come te la caveresti oggi?

Anche Verdone mi sembra abbia parlato in questo senso. Al momento è tutto molto politicamente corretto, anche chi sembra fuori dagli schemi è assolutamente inserito in questa logica, non vedo scintille d'imprevedibilità in quello che sento e neanche nei personaggi. Non c'è neanche più bisogno di censurare, c'è un'autocensura in questi anni che è catastrofica. Dovremmo essere più coraggiosi: dai giornalisti ai panettieri, supermercati, partite IVA che non riescono più a campare...

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Tu invece quando sei uscito eri imprevedibile, un precursore del nuovo pop di oggi. Molti di quelli che vanno forte in classifica ti devono qualcosa...

Mi fa piacere che la pensi così, forse ho lasciato dei germogli, più semplicemente ho dato una visione un po' diversa. I ragazzi che suonano oggi avranno sentito qualcosa quando erano veramente piccoli, sono passati 20 anni, quindi forse ho lasciato qualcosa nell'inconscio, che diventa immaginario. Fosse così (ma non ne sono certo), sarebbe una bella soddisfazione, vuol dire che ho fatto un buon lavoro. 

Conosci qualcuno dei nuovi?

Sinceramente non conosco bene il nuovo pop, sono un po' legato al passato, il nuovo un po' mi spaventa, sono anziano ormai (ride). Non è che non stimi nessuno, sono tutti molto bravi, ma mi sembra che la musica sia diventata un po' un lavoro: 'Cosa fai?' - 'Faccio l'indie, il rap, lo faccio bene, so scrivere una canzone...'. In questo senso, Sferaebbasta è una delle persone più reazionarie di questo mondo, è un piccolo industriale. Una volta la musica dava voce a chi non l'aveva, ora è più roba per imprenditori. A parte questo, non mi dispiace la ricerca delle parole che c'è nella trap, anche se è lontana dal mio mondo.

Forse c'era anche più spazio per la sperimentazione, oggi se sbagli una canzone ti tagliano le gambe...

Questo era già iniziato nei primi del 2000, perché il mio contratto era per due singoli con l'opzione album, per cui forse è stato l'inizio di un cambiamento radicale. Al tempo la casa discografica aveva i suoi bei dubbi, voleva stampare poche copie, poi Io sono Francesco vendette molto, ancora il formato fisico aveva la sua importanza. Cavolo, sembrano passati due secoli. Oggi sono cambiati il modo, la fruibilità, la ricerca, l'attenzione. La musica no, perché alla fine è sempre lei. Cambiano i supporti, l'economia che gira intorno, però la canzone c'era anche nel 300 e non c'era la discografia: arrivavano i musici nei paesi ed era la musica popolare.

L'album oggi sembra abbia meno potenza, vanno più le singole canzoni inserite nelle playlist. Ti piace ancora il disco?

Forse non c'è più l'esigenza di un album completo. Io sono affezionato alla canzone, che poi essa possa chiamarne altre è un bene, mi piace ancora l'album e prendo sempre i CD, mi piace ascoltare l'opera intera. Credo, al di là della fruibilità che è cambiata, che la canzone possa ancora entrare in profondità, sono affezionato alla possibilità che possa avere una canzone di cambiare le cose, di unire animi ed emozioni, un'alchimia che riesca a toccare corde attraverso la voce, le parole. Credo ancora che una canzone possa essere importante, indipendentemente dal supporto con cui l'ascolti, possa rimanere per vent'anni, altrimenti non ha senso farla.

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A proposito di canzoni, ho letto che ne hai scritta una con Leonardo Pieraccioni per il prossimo Zecchino d'Oro. Puoi parlarcene?

Sì, Mozart è stato gestito male. L'abbiamo scritto assieme, a distanza, parla delle molte informazioni e dei molti punti di vista e, in mezzo, di questo bambino che non viene ascoltato e che alla fine dice la sua. Parla di egoismo, presunzione, mancanza di attenzione, con un ritornello un po' surreale, che ha un senso all'interno del pezzo. Vorrei fartela ascoltare ma non posso, tra poco comunque uscirà. Negli anni '70 in cui ero bambino io, avevamo di più: più libertà, meno attenzioni ma più cultura. Essere giovani oggi è una grande responsabilità, intorno c'è il vecchiume, il moto reazionario, mancano i riferimenti, le menti illuminate. Mancano gli stimoli, ma se li devono inventare, che paradossalmete può essere anche più bello.

Sono molto curioso di sapere com'è nata la tua amicizia con Pieraccioni. Sai che la canzone preferita di Massimo Ceccherini è Vita tranquilla?

Io e Leonardo siamo lontani, come due compagni di classe messi lì, diversi, che però giocano assieme. L'amicizia è nata tanti anni fa, quando fece Ti amo in tutte le lingue del mondo e mi cercò per Musica, che voleva inserire nel film (in cui ho anche una particina). Da lì è nata l'amicizia, riconosco una parte di me in lui, che col passare del tempo non sono riuscito a portare avanti, la leggerezza e la comicità che ammiro molto.  Mi fa piacere che a Ceccherini piaccia Vita tranquilla, gli calza a pennello.

Mi sembra di aver capito che non sei un grande amante del rap, il tuo featuring ideale quale sarebbe ad oggi?

Ma in realtà, anche se non ascolto il rap, certi giochi con le parole non mi dispiacciono, da Fabri Fibra allo stesso Sferaebbasta, a Young Signorino o Anna, capisco che ci sia un lavoro dietro, anche se non è assolutamente il mio mondo. Ti direi Zucchero e Vasco, per quello che rappresentano, mi farebbe piacere, o anche con Mina. Anche i Ricchi e Poveri. Anche Al Bano. Al Bano alla fine è felice. Ci pensavo ieri, Felicità era deriso ma è un pezzone.

L'architrave del synth pop italiano!

C'erano grandi professionisti che venivano dalla dance, grandi autori che si divertivano a fare cose più pop. Ma quelli ci sono ancora.

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Torniamo seri: come si fa senza concerti?

Eh, manca la cosa più importante e mi auguro che tutto rientri, altrimenti chiude tutto: teatri, locali. Se tutto salta, non salta solo la musica, ma un intero sistema, dello spettacolo, del teatro, dell'opera, delle prove, degli spazi. Magari è un bene oh, diventa tutto musica da camera, piccoli set, piccole cose, gente più lontana che ascolta. A me preoccupa la paura del mostro invisibile, che va a condizionare tutto, ma per quanto, per la vita? Per salvarsi la vita, vale la pena? Meglio morire o vivere una non vita? Se vai avanti chiudendoti, non sarà solo un problema per i musicisti, ma realmente per tutti. La questione è apocalittica, forse faremo come nel Decamerone, ci chiuderemo da qualche parte, faremo quello che vogliamo e canteremo. Sono domande grosse, che però in qualche modo non molti si fanno, si continua a parlare del problema, che esiste, ma non si dice come lo stiamo affrontando, a cosa stiamo rinunciando. Non c'è pensiero, riflessione su cosa accade, su cosa stiamo trascurando, per salvarci la pelle. 

Insomma, questo tempo strano ci sta cambiando davvero?

Attenzione, sono sei mesi, aspettiamo a cambiare davvero. Se, come so, insegni al bambino di nove anni la poesia che dice "non ci diamo più la mano, non ci abbracciamo ma siamo vicini lo stesso" a memoria, è un imprinting sbagliato. Diglielo pure, è giusto, ma a memoria è meglio insegnare la grande poesia, non il bollettino sanitario. Se non sappiamo niente, pensiamo al meglio.

Risolleviamoci il morale: con la pittura come va? 

Mi fa piacere parlarne, espongo per Fabbrica Eos, una galleria di Milano. Io ho sempre disegnato, sei anni fa ho incontrato questo gallerista molto in gamba che mi ha detto "Fai cose più grandi, invece di fare pornografia e disegnini erotici" e ho iniziato a fare queste grandi tele, con molti colori, ed è una bellissima esperienza, che sta diventando una grande opportunità per usare la fantasia come ho sempre sperato di riuscire a fare. Cambiare la realtà per vivere un imprevisto bellissimo sempre. Il nostro mestiere, il mio e il tuo, è fatto di incontri con persone che vivono la propria fantasia, per cambiare il proprio mondo.

 

 

 

 

 

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L'articolo Tricarico: "La censura non serve più, oggi ci zittiamo da soli" di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-10-01 14:13:00

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