"L'Anima Della Strada", il testamento rap di Emon Haze

Lo scorso luglio moriva a 28 anni il rapper napoletano di origini bosniache, che nelle rime aveva trovato il suo sfogo alle difficoltà quotidiane. Prima di andarsene ha lasciato 11 tracce sul computer di un amico, da lì è nato un disco postumo che è pugno nello stomaco

Emon Haze - foto da Facebook
Emon Haze - foto da Facebook

Se Emin ascoltasse l’Anima Della Strada, mi immagino un abbraccio e la gioia di essere riuscito a mettere a terra qualcosa che non ha mai avuto il coraggio di tirare fuori. Una parte di Emin vive e continuerà a farsi ascoltare con quest’album.

Avrei voluto che lui fosse stato in grado di crederci di più, sicuramente, ma su quello che non è stato è inutile pronunciare parole o dare spazio a inutili pensieri. Quest’amico è riuscito a lasciare qualcosa per la quale dare senso alle nostre vite a alla sua, di vita, anche se rimangono dei punti sospesi lunghissimi che nessuno completerà e comprenderà mai.

Ho voluto dedicarmi alla musica che ci ha lasciato perchè rimanesse il ricordo di un artista e di un fratello, ma soprattutto per consegnare agli altri il messaggio che avrebbe voluto. Un messaggio indelebile in grado di generare altra vita, altro movimento, per lui e per chi entrerà in contatto con questa storia e con questa musica: l’hip hop è movimento ed è stato grazie a questo flusso e grazie alla curiosità di chiederci chi siamo e cosa facciamo, che ci siamo incontrati. E grazie alla musica abbiamo messo insieme le nostre esistenze e abbiamo dato loro un senso.

Nonostante la difficoltà e il dolore, abbiamo lavorato sodo per continuare a dare respiro al suo progetto: L’Anima della Strada, che è totalmente il suo lavoro. Io non ho fatto altro che renderlo pubblico per dargli ufficialità.

(Vincenzo, Oyoshe, amico di Emin e produttore de L'Anima Della Strada di Emon Haze)

Con queste parole cominciamo a raccontarvi la storia di Emin, rapper napoletano per metà italiano per metà bosniaco, musicista e compositore introverso e insaziabile di musica. In arte Emon Haze, salutò improvvisamente la vita all’età di 28 anni, il 17 luglio del 2019. Un anno dopo, decine di giovani si sono ritrovati presso l’Ex Asilo Filangieri di Napoli per ricordarlo e lo stesso giorno è stato pubblicato e presentato il suo album, L’Anima Della Strada: undici tracce che sono il ritratto e le grida dell’ultima anima di Emin, quella festeggiata e assaporata per le piazze e i vicoli del centro storico di Napoli, a contatto con la gente e con la quotidianità di una città contraddittoria e passionale, che l’ha visto crescere e morire. E che gli ha ispirato l’arte e la musica, preziosi cimeli che esisteranno per sempre.

Emin è stato molto introverso nella vita, soprattutto durante gli anni dell’adolescenza: "Era uno che faceva musica e basta, non socializzava troppo, era molto timido", racconta Francesco aka Sigiu Bellettini, rapper napoletano e amico di vecchia data di Emin. Che con Joseph Troia (Apostoli), Marco Ilario (Mark Haven), Carmine Iacolare (Kolosforo) e Giovanni Esposito (Kosh Anade), negli anni del liceo aveva creato la Glitch Society. Un collettivo in cui Emin si faceva chiamare Emyn, che organizzava serate di musica dubstep a Napoli: "Era quando la dub cominciava ad andare forte, nel 2012, quando eravamo al liceo. È stato il nostro primo progetto musicale insieme, durato qualche anno. Facevamo serate, non abbiamo mai pubblicato nulla, ma è stato divertente", ricorda Joseph (Apostoli), altro amico di Emin.

Emin, foto da Facebook
Emin, foto da Facebook

"Quando eravamo più piccoli, durante le serate con gli amici, mi capitava spesso di vederlo isolarsi. Allora mi avvicinavo per chiedergli se fosse tutto okay, e lui mi rispondeva 'Sto ascoltando Chopin'", continua Joseph, e sorride: "Si prendeva 'ste capate qua incredibili: si andava ad ascoltare la sua musica e non diceva una parola a nessuno. Crescendo, però era cambiato e negli ultimi anni era diventato più espansivo e socievole rispetto al passato. Era diventato uno che stava sempre per strada, conosceva tutti e parlava con chiunque. L’Anima Della Strada rappresenta proprio questa parte estroversa e aggressiva della sua persona. È stato l’impatto più forte che è riuscito ad avere con la vita, un’espressione della sua ultima anima".

Rappata con una sincerità di scrittura e un’immediatezza così potente da spaventare. Senza filtri, Emin urla tutti gli angoli, le vie e le scorciatoie della sua vita degli ultimi anni. A volte in maniera ossessiva, ripetitiva, probabilmente per liberarsi e raccontare una fragilità psicologica che altrove non riusciva a esorcizzare. Ma che resisteva nel rapporto con gli altri, per strada. E L’Anima Della Strada è sicuramente il racconto di come Emin si guardava intorno, di come faceva gruppo con le persone, di come voleva aiutare gli altri: "Era molto empatico con le persone che avevano delle difficoltà, era amico di tutti i senza tetto che stanno vicino Piazza Cavour, vicino casa sua", racconta Joseph: "Ci parlava quando andava fuori con il cane. Nell’Anima della Strada si percepisce questa voglia di aiutare il prossimo in maniera disinteressata e in alcune barre Emin esplicita a parole questa volontà".

Le tracce erano tutte già pronte: le aveva scritte a inizio 2019 e registrate a casa di Sigiu, nella stanza dove, oltre alla BeatBox di Napoli, registra tutto il loro giro di amici. "Abbiamo registrato insieme queste tracce", afferma Sigiu, e continua: "Alle origini doveva essere un mixtape sulle basi di Gramatik. L’avevamo quasi finito e Emin aveva in progetto di pubblicarlo a breve. Il disco che si può ascoltare oggi è una raccolta di demo, non sono le registrazioni che avrebbe voluto pubblicare in maniera definitiva".

Lui che, poi, era un perfezionista. Ma che sicuramente sarebbe stato contento di ascoltare il modo in cui Vincenzo, altro amico di Emin, rapper e produttore noto come Oyoshe si è preso la responsabilità di produrre e pubblicare L’Anima Della Strada: "Se avessimo lavorato insieme alla produzione del disco, sicuramente i lavori sarebbero andati più lenti, ma sono sicuro che apprezzerebbe tutto lo scavaggio che mi sono fatto per i campioni. Sarebbe stato contento di vedermi cresciuto anche nel mio lavoro, in quello che oggi desidero fare per i miei amici e per i miei fratelli che ancora devono realizzarsi", dice Oyoshe. Che in un anno ha chiuso il lavoro di produzione delle undici tracce registrate da Emin, e le ha pubblicate.

Cover art de L'Anima della Strada - Emin Haze
Cover art de L'Anima della Strada - Emin Haze

Emin aveva già stabilito titolo dell’album edelle tracce: "Sono rimasto enormemente colpito dal primo ascolto delle demo", racconta Oyoshe, e continua: "L’Anima della Strada nasce su delle produzioni di Gramatik: dopo la scomparsa di Emin, alcuni della sua comitiva decisero di chiamarmi e subito ragionai sul fatto che non era davvero giusto rendere onore alla musica di un musicista vero, a un artista che ha sempre fatto da sè la sua musica, prendendo un type beat da YouTube o una base strumentale".

È stato per rendere onore e per conferire alla famiglia tutti i diritti della musica di Emin, che Oyoshe si è proposto di rifare le basi: "La cosa assurda è che la maggior parte di quei sample erano la musica che ascoltavamo da piccoli insieme, durante il nostro periodo di maggiore frequentazione. Una roba magica, che mi fa venire sempre i brividi", confida Oyosche. Cioè, musica campionata in gran parte da RZA, dal Wu-Tang, da Isaac Hayes, Al Green, Aretha Franklin, John Coltrane: tutta la musica che campionavano, intorno al 2005, i producer preferiti di Emin e Oyoshe (Pete Rock, 9th Wonder e altri).

"È stato un colpo al cuore lavorare alla sua musica e alla sua voce durante la sua assenza", dice Oyoshe. Lui che Emin l’aveva conosciuto intorno al 2002, ai tempi in cui erano ragazzi appassionati di cultura americana, urban, hip-hop. Condividevano una passione ancora non troppo scoperta e ci si individuava ad occhio per strada, ci si capiva in base a come si era vestiti o per il fatto che si girava con lo skate: "Così ho conosciuto Emin e Luca, suo migliore amico di infanzia. Da lì abbiamo intrapreso un percorso di amicizia insieme: Emin andava sui pattini e io e Luca andavamo in skate. Andavamo a skatare ogni domenica sul lungomare, poi abbiamo iniziato ad allargare le amicizie, formando un unico grande gruppo", racconta.

Giovanni Esposito (Kosh Anade), Emin e Sigiu - una serata a Napoli
Giovanni Esposito (Kosh Anade), Emin e Sigiu - una serata a Napoli

"Quando andavamo a casa sua, ci faceva ascoltare sempre la sua musica. Lui era un pianista eccezionale. Ai tempi utilizzavamo programmini come FL Studio, Qbase e altri: eravamo pargoli, avevamo 14 anni e condividevamo la conoscenza sui programmi e la passione per la musica. Una passione che ci ha legati e ci rendeva preziosi, quando la cultura della strada non era ancora per nessuno", continua Oyoshe.

Negli stessi anni, anche Joseph si interessa alla scena rap napoletana e comincia fare freestyle: "Emin faceva parte di una crew che stava di zona al Vomero, a Piazza Medaglie d’Oro. In quel gruppo di boys lui era il più colto a livello musicale, perché aveva studiato e studiava al conservatorio composizione. Suo padre era un musicista che suonava musica balcanica, e anche per questo Emin si portava appresso una tradizione musicale davvero colta", spiega Joseph, e continua: "Come personalità Emin mi colpì molto di più rispetto agli altri, perché mischiava una conoscenza hip-hop a una conoscenza di musica classica, a una balcanica, e via dicendo: aveva una cultura musicale davvero eterogenea e ricca. Lo presi subito come riferimento e qualche anno dopo gli chiesi di darmi lezioni di pianoforte, regalate per una cifra ridicola. È stato lui ad insegnarmi le basi dell’armonia".

Ed è stato lui a supportare sempre la musica e i progetti degli amici: "Era una persona davvero buona di cui ho sempre sentito di potermi fidare. Ci teneva molto ai rapporti di amicizia", dice Sigiu: "Con me, con Joseph e con gli altri esprimeva molto il suo lato creativo e ci teneva tantissimo a noi. Credo avesse una considerazione molto alta dell’amicizia, della fiducia, dello stare insieme, del donare agli altri. Nonostante la sua vita non fosse affatto facile – il padre morì quando aveva diciotto anni e da lì la rincorsa agli psicofarmaci e alle droghe –, è sempre stato attento al prossimo".

Emin, foto via Instagram
Emin, foto via Instagram

"Era circondato da tante persone che gli volevano bene. Può darsi che si sentisse solo, ma questo non lo possiamo sapere. Noi ci siamo sempre stati per passare una serata insieme, per registrare, per viaggiare con la musica", dice Joseph, e Sigiu si aggancia: "Ma nel momento in cui hai dei problemi psicologici, o parli con qualcuno che ha gli stessi problemi, o intraprendi una terapia, o è difficile farsi aiutare dagli amici. Qualche settimana prima della sua morte, avevo anche parlato con la famiglia per convincerli informarsi per un centro di riabilitazione, perché avevamo capito che negli ultimi tempi era entrato in un circolo vizioso, tra psicofarmaci e droga".

La musica è probabilmente stata l’unica vera dimensione in cui Emin è riuscito a confrontarsi con la sua personalità, ad affrontare i suoi problemi e a valutare chi fosse veramente: "Credo che con il rap lui fosse riuscito a capirsi. Come uno specchio riflesso, aveva utilizzato la musica come terapia con sé stesso", dice Oyoshe. "Purtroppo, non siamo riusciti a lavorare insieme, ma abbiamo sempre condiviso tutto. Cercavo sempre di trascinarlo, ma lui era spesso restio a definire completa la sua musica e la sua progettazione musicale. La sua visione della musica era molto umile e modesta. Io credo che si sentisse piccolo dinnanzi a qualcosa di molto grande e spirituale: esplorava la musica a livello di sensazioni e mi piace immaginarlo come un magico direttore d’orchestra".

"Emin aveva delle genialate musicali alle quali noi non saremmo mai potuti arrivare a quell’età", dice Oyoshe, e continua: "Nonostante la sua consapevolezza e le sue capacità, la sua troppa umiltà, la sua esagerata voglia di riuscire a superarsi, lo faceva volare molto molto basso. Sarebbe stato, forse, incisivo e determinante trovare un confronto con qualcuno davvero come lui, per riconoscersi e scoprirsi".

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Prima della sua scomparsa, Emin voleva pubblicare il suo disco di debutto e stava cominciando ad immergersi anche in un altro collettivo, Addolorata. Un progetto lol rap con cui sfottere i trapper che, poi, si è concretizzato in Sigiu, Joseph e Matteo (Demarino), tre dei quattro rapper di Hell On Mask: "Avrebbe dovuto esserci anche lui e la sua presenza avrebbe sicuramente cambiato le cose. Lui ci salutò a luglio, e Addolorata è nato effettivamente il dicembre successivo", spiega Sigiu, e continua, ridendo: "Sicuro si lamenterebbe! Direbbe che il lol rap si deve fare, non si deve sfottere. Però sarebbe anche molto orgoglioso di noi".

E del modo in cui i ragazzi hanno intrapreso il progetto: "Abbiamo portato avanti Addolorata fottendocene del giudizio degli altri e abbiamo cacciato una serie di pezzi senza la paura di lanciarli al mondo. Anche grazie a lui", afferma Joseph, e conclude: "Sono contento che questo disco esista, perché ha lasciato una traccia di un artista e di un amico unico, che potrò sempre recuperare. È una traccia sincera e disinteressata di sé, e quando ascolto quelle canzoni, sento Emin".

L’Anima Della Strada è un disco bellissimo, sincero, autentico, reale. Con un po’ di paura, forse, di uscire allo scoperto. Perché il coraggio di sbattere in faccia la realtà, nelle sue sfumature più opache, confuse e spesso ingiuste, non si trova sempre.

Ciò che rimane è l’amore e il ricordo di Emin e la bellezza della sua musica, che insegnerà la vita a molti: tutti coloro che entreranno in contatto con questa storia.

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L'articolo "L'Anima Della Strada", il testamento rap di Emon Haze di Claudia Mazziotta è apparso su Rockit.it il 2020-10-01 16:16:00

Tag: album

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