L'anno in cui i festival scomparivano nel nulla

Domenica, dopo la pubblicazione del nuovo DPCM, la rassegna JazzMi, iniziata il giovedì, era costretta da un giorno con l'altro a chiudere. La fotografia dell'incertezza assoluta che il 2020 ha portato all'intero comparto musicale

Un momento di JazzMi 2020
Un momento di JazzMi 2020

Sabato mattina, mentre mi lasciavo alle spalle il parco Solari contando i soldi che avrei dovuto dare alla baby sitter a fine mese, avevo più che lucida la percezione che quello cui mi stavo recando sarebbe stato per me l'ultimo concerto per un bel po' di tempo. Non potevo però sapere che quello che Tommaso Cappellato – bravissimo innovatore del jazz nostrano – avrebbe da lì a poco tenuto con il suo Collettivo Immaginario al teatro della Triennale di Milano sarebbe stato uno degli ultimi concerti per un bel po' di tempo un po' per tutti

Ventiquattro ore dopo lo show – cui avevo assistito assieme a un'altra cinquantina di persone o poco più, parecchio distanziate e davvero integerrime, di certo più di me, nell'utilizzo della mascherina – ero davanti al televisore di casa, ad assistere a un altro set, quello del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che illustrava il terzo DPCM varato in pochi giorni dal suo governo per tentare di arginare la pandemia da Covid-19. Un nuovo semi-lockdown, dopo quello della scorsa primavera, che va di fatto a proibire ogni momento di socialità extralavorativa e impone la chiusura serale a bar e ristoranti e un mese – per lo meno – di stop totale a concerti, film, teatri e altre attività culturali

Il concerto di Cappellato faceva parte di JazzMi, la rassegna jazzistica organizzata da Triennale e Ponderosa in collaborazione con il Blue Note, che da cinque anni porta a Milano i migliori nomi della scena italiana e internazionale. La storia di questa edizione del festival, le sue peripezie e il suo epilogo, ci raccontano in maniera perfetta cos'è stato fin qui questo assurdo 2020 per chi vive di musica e fa della sua organizzazione il proprio lavoro.

In questa stagione assurda e incerta, iniziata con gli ultimi geli di febbraio, chi aveva la "fortuna" di organizzare un evento in autunno aveva qualche speranza in più di altri di portare a compimento la propria missione. Non era un esercizio di sano ma irragionevole ottimismo organizzare JazzMi, anzi fino a poche settimane fa nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe successo il contrario. Invece domenica, dopo il boccone amaro della conferenza del presidente Conte, la manifestazione jazzistica ha completato con compostezza e orgoglio il suo programma quotidiano e si è congedata senza dare l'arriverderci al giorno dopo. Lunedì mattina è arrivato il comunicato stampa di chiusura dell'attività, inevitabile e senza recriminazioni

"Non è stato un periodo semplice", esordisce Luciano Linzi, direttore con Titti Santini di JazzMi. "Il lavoro su un festival del genere dura molti mesi. A gennaio avevamo immaginato un programma, che da marzo abbiamo stravolto in corso d'opera. L'estate aveva dato dei buoni segnali, visti i tanti eventi che erano stati organizzati con successo e le statistiche che dicevano che i contagi erano stati molto pochi, pare uno solo".

JazzMi – come tutti gli appuntamenti con la musica live in questi mesi, e a maggior ragione dopo che l'autunno aveva migrato i concerti al chiuso – aveva investito parecchio sui sistemi di tutela del pubblico. La sensazione, per lo meno stando all'unico appuntamento della rassegna cui ho potuto assistere, era di totale sicurezza. Nemmeno più così straniante, visto che l'uomo si abitua a tutto e sentire la musica di un rhodes con addosso una mascherina chirurgica stava diventando una sorta di nuova normalità per molti di noi. 

L'inaugurazione di JazzMi con il sindaco di Milano Sala - foto Federica Cicuttini
L'inaugurazione di JazzMi con il sindaco di Milano Sala - foto Federica Cicuttini

"Avevamo ridotto molto le capienze e organizzato i flussi, anche a scapito della redditività dell'evento. Questa edizione era fin dall'inizio particolarmente poco fruttuosa da un punto di vista economico, per tutte incertezze cui andavamo a incontrare. Un salto nel vuoto fatto per non rinunciare al nostro intento di sempre: portare la musica nei grandi centri culturali e porta a porta alle persone, visto che molte delle iniziative di JazzMI sono nei quartieri, in periferia".

Le difficoltà sono aumentate nelle ultime settimane, quando la famigerata seconda ondata ha smesso di essere un presagio di sventura ed è diventata grafici impennati, ambulanze in piena notte e decessi. "Lo scorso weekend avevamo ricevuto diverse defezioni da parte di musicisti britannici, perché il governo aveva stabilito la quarantena obbligatoria per chi rientrava dall'Italia. Pochi giorni fa, inoltre, avevamo rivisto gli orari e anticipato dei set, visto che in città si parlava di coprifuoco".

James Senese live al Teatro Dal Verme - foto Federica Cicuttini
James Senese live al Teatro Dal Verme - foto Federica Cicuttini

A questo punto Linzi usa la parola "nutrimento". "Eravamo, e siamo tuttora convinti che in questa fase storica la musica dal vivo possa rasserenare gli animi, sia un elemento benefico e questo ha prevalso su ogni altro conteggio da parte nostra. Personalmente sono un po' smarrito, credo che i pericoli più grandi siano altrove in questo momento e si sia colpito settore che ha dato prove responsabilità e sicurezza. Ma non ho rimostranze da fare: chi governa oggi è chiamato a prendere decisioni gravi e impopolari, ed è subissato di dati e di pressioni. Il momento è questo e ci siamo dentro tutti".

In altre parti del mondo, spiega, la situazione è ancora peggiore. Quando racconta ai suoi colleghi americani che in estate la struttura che dirige, la Casa del Jazz di Roma, ha organizzato oltre 70 concerti, senza riscontrare alcun problema, loro quasi non ci credono. "Negli Stati Uniti è tutto bloccato da mesi", dice Linzi. "Più di uno mi ha confessato il suo desiderio di spostarsi in Europa per proseguire un'attività che da quelle parti risulta sempre più complicata, un po' come avveniva negli anni '60 e '70, quando centinaia di musicisti attraversarono l'oceano e si stabilirono in Italia, Francia o Scandinavia per vivere di musica. Oggi siamo più sicuri e tutelati di altri, dobbiamo un po' uscire dal nostro guscio". 

JazzMi tra le strade di Milano - foto Federica Cicuttini
JazzMi tra le strade di Milano - foto Federica Cicuttini

Lunedì mattina è arrivato il comunicato che annunciava la repentina chiusura di JazzMi, che si chiudeva con "10.000 spettatori e oltre 90 eventi annullati dal 26 ottobre al 1 novembre". Tra i live saltati quelli di Vinicio Capossela, Bollani, Fresu, Enrico Intra, Omar Sosa. Mentre il testo arrivava sulle nostre caselle mail, Linzi era già su un treno per tornare a Roma. Una settimana prima del previsto. "Il lavoro non si ferma, il primo obiettivo è capire se e quando riusciremo a recuperare i concerti perduti. Non vogliamo buttare via il lavoro fatto e vogliamo tenere saldo quel filo che ci lega con il nostro caloroso pubblico, che ci è stato molto vicino anche in queste ore".

Paradossalmente, la "buona notizia" è che un festival nato in tempi di pandemia e senza grandi garanzie aveva già in partenza costi contenuti. E quindi lo stop forzato, per quanto molto gravoso, non dovrebbe causare danni incalcolabili da un punto di vista economico. "Nei prossimi giorni andremo a fare i conti", dice il condirettore di JazzMi. "Ci vorrà un po’ di tempo per capire l'ordine di grandezza di quanto si è perso, considerando che già lavoravamo con capienze dimezzate e che tutti i musicisti ci erano venuti incontro. I costi di produzione, però, rimangono e vedremo i bilanci cosa ci diranno. A preoccuparci di più è la situazione dei lavoratori del settore, che con questa chiusura ripiombano in un regime di incertezza assoluta e vanno perciò aiutati". 

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L'articolo L'anno in cui i festival scomparivano nel nulla di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-10-27 09:33:00

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