La Niña e il misterioso cuore pulsante di Napoli

Torna la cantautrice napoletana con "Fortuna", un pezzo atipico nel suo percorso, che preferisce all'urban la chitarra classica e la malinconia degli archi, per una storia cantata al mare e ai suoi migranti. È il suo debutto per Sony Music

La Niña e la sua Napoli, in una foto di Maria Clara Macrì
La Niña e la sua Napoli, in una foto di Maria Clara Macrì

Quando è uscito il nuovo singolo Fortuna, tutto mi sarei aspettato da La Niña, tranne un pezzo che si regge su un arpeggio di chitarra classica e la profusione malinconica degli archi, che mi si è appiccicato in testa e non è più riuscito a uscire. Immaginavo i beat, la commistione tra il napoletano e l'urban contemporaneo, che finora è stato il marchio di fabbrica di Carola Moccia, ex Yombe, in questa sua nuova pelle, nei singoli Croce, Salomè e Niente Cchiù, invece stavolta la sirena cantastorie è spogliata di ogni orpello, come nel video di KWSK NINJA.

Questa canzone atipica, quasi tradizionale, segna anche il debutto de La Niña con Sony Music dopo l'esperienza con La Tempesta, per una collaborazione che porterà di sicuro un sacco di soprese e forse qualche featuring, di cui però ancora non ci può dire niente. Partiamo da Fortuna per chiacchierare con Carola, che ha le idee molto chiare sul percorso da seguire.

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Fortuna è il tuo debutto con Sony Music. Di che parla il pezzo?

Fortuna è la storia di una donna immigrata che ho conosciuto personalmente. La canzone racconta la sua traversata via mare durante la quale ha visto annegare amici e famiglia, portando in grembo la bambina che io ho metaforicamente chiamato Fortuna. Cinque anni fa mia cugina, che al tempo lavorava pro bono allo sportello immigrati, mi propone di andare a trovare una famiglia che stava aiutando ad ottenere i permessi di soggiorno, così ho conosciuto Lei. Ricordo come se fosse ieri quell’odore di thè alla menta e quel pane dolce fatto in casa nonostante le dimensioni ridicole del forno in quel minuscolo monolocale. Lei ci serviva a tavola mentre il padre giocava con questa bellissima bambina (di cui non ricordo il vero nome) e ad un certo punto, una volta rotto il ghiaccio, inizia con commozione a raccontarmi la sua storia.

Immagino una storia molto forte...

Quella storia non l’ho più dimenticata, e sapevo che meritava una canzone, perché non fa figo cantare queste cose, perché la tristezza vera e senza via d’uscita è e sarà per sempre un non dichiarato tabù. Sono felicissima che il mio debutto con Sony sia proprio Fortuna, qualche anno fa è una cosa che non avrei creduto possibile. La verità è che dietro a questa major ci sono innanzitutto persone che molto semplicemente hanno ascoltato la mia musica ed hanno scelto di credere in me. 

Dopo un bel po’ di influenze urban, stavolta una canzone acustica di grande respiro e pathos. In questo progetto stai riportando tutto a casa, intesa anche metaforicamente. Ti senti più a tuo agio che in Yombe, la tua esperienza passata?

Diciamo che io sono una grande fan dell’eclettismo. La ragioni che sono dietro le mie scelte stilistiche sono prima di tutto narrative, ogni storia che racconto è diversa dall’altra, per questo non posso e non voglio ripetermi. Mi annoierei terribilmente. Il mio è un processo di trasformazione continuo, divento ogni giorno “me stessa” ma appunto, non mi basta essere, voglio divenire. Fare musica è per me un processo di liberazione, assecondo le mie sensazioni senza auto censurarmi, mi stupisco di ciò che scrivo ed amo stupire chi mi ascolta con canzoni sempre diverse eppure anche così simili tra loro. La mia voce e la mia sincerità sono il filo rosso che tiene insieme il tutto. Per quanto riguarda la mia esperienza passata nel duo Yombe ti dico che si, è stata una tappa importante che mi ha insegnato moltissimo, tuttavia adesso ho completamente azzerato le distanze tra quello che sono, che vivo e quello che canto, cosa che non ero ancora riuscita a fare nei miei progetti precedenti.

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Come ti ho già detto, hai anche un’invidiabile mano per la chitarra: suoni altri strumenti?

Grazie mille intanto. Beh, per adesso suono solo la chitarra, ma ormai sono tre mesi che prendo lezioni di piano e sembra che io stia bruciando molte tappe.

Che si prova a uscire  nel mezzo della seconda ondata di pandemia? Come te la stai vivendo?

Non bene a dire il vero, la situazione mi mette estremamente a disagio e da brava ipocondriaca sono per lo più di malumore. Sono anche molto felice di avere la possibilità di lavorare alla mia musica sostenuta da un team di persone incredibili, ma mentirei se dicessi di stare bene. Sono una persona molto carnale ed in questo momento mi sento davvero una tigre in gabbia. Mi manca abbracciare i miei amici e poter condividere con loro il mio percorso artistico di persona e non solo sui social. Già vivevamo in una realtà virtualizzata prima, ma almeno potevamo scegliere di uscirne in ogni istante, adesso invece il mondo lì fuori non è più un’opzione e la cosa sta iniziando a stancarmi.

Foto di Maria Clara Macrì
Foto di Maria Clara Macrì
 

Sei riuscita (o riuscirai) a suonare in giro nonostante i coprifuoco e i dpcm?

Non ancora, proprio nel momento in cui stavo pianificando i primi concerti è scoppiata la pandemia che ha cambiato un bel po' di cose. Poco male però, ho scritto ancora più canzoni e quando inizierò a suonare sarà davvero un’esperienza completa.

Oltre a Teresa De Sio e ad altre influenze partenopee, quando si parla di te, esce fuori il nome di Rosalìa. Quanto ha cambiato il gioco del pop mondiale e quanto ha influenzato il tuo percorso?

Un onore essere paragonata a queste grandi donne e artiste. Da qualche anno a questa parte noto una tendenza nella gente a interessarsi a più lingue e culture spingendo la curiosità oltre i confini dettati dall’egemonia del mercato angloamericano. La musica latina, sebbene lo spagnolo sia tra le lingue più parlate al mondo, fino a qualche anno fa aveva la sua fetta (seppur gigantesca) di mercato. Il Latin pop era una sorta di filone parallelo e “antagonista” del pop internazionale. Con Rosalìa è crollata questa distinzione dal momento in cui è riuscita a rileggere la tradizione e portarla nel pop contemporaneo, ed io questo pop lo vedo sempre più contaminato, non necessariamente anglofono come quello a cui siamo abituati dal dopoguerra ad oggi. Credo che eventuali riferimenti a Rosalìa non siano tanto per una questione musicale in sé, infatti, quello che di lei ammiro e di più è la sua attitudine a mischiare il passato culturale del suo paese con il suono globale del futuro.

Io sono toscano, quindi posso intuirlo ma non capirlo fino in fondo: che significa essere napoletani, perché un partenopeo sente così forte l’attaccamento alla propria terra e alla propria musica?

Napoli è una città che non ho ancora capito e chissà se la capirò mai. Viene spesso estetizzata, semplificata, stigmatizzata e a volte impacchettata come un souvenir eppure c’è sempre qualcosa che sfugge agli occhi di chi la osserva e la racconta. Per rispondere alla tua domanda direi che nessun’altra città italiana può vantare una tradizione musicale dialettale (anche se si parla di una lingua a tutti gli effetti) così antica e famosa nel mondo e alla fine questo background te lo porti dentro e non sai neanche perché. È qualcosa che non ti scegli, come una madre, te la tieni così com’è.

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Di fronte alla domanda ipotetica “Vieni a Sanremo, facciamo il botto, ma devi cantare un pezzo assolutamente in italiano", che rispondi?

Imparate voi il napoletano! Ho sempre visto Sanremo come una grande opportunità a patto che il coglierla non preveda forzature e non porti l’artista a snaturarsi. Se vai a Sanremo a cantare ciò che sei il problema non si pone. Non so se canterò mai in italiano, l’unica cosa che so con certezza è che se arriverò su quel palco lo farò con la mia voce e non con quella di qualcun altro.

La tua musica è molto evocativa e starebbe molto bene in un film o in una serie tv. Se tu dovessi scegliere, quale sarebbe?

Sono felice che tu lo creda. Beh, direi che il mio compaesano Sorrentino sarebbe la mia prima scelta. Adoro le musiche dei suoi film e delle sue serie, penso che faccia una ricerca bellissima e sarei davvero onorata di far parte della colonna sonora di una sua opera (oltre che perfetta, Paolo mi leggi?).

Sei riuscita (o riuscirai) a suonare in giro nonostante i coprifuoco e i dpcm?

Non ancora, proprio nel momento in cui stavo pianificando i primi concerti è scoppiata la pandemia che ha cambiato un bel po' di cose. Poco male però, ho scritto ancora più canzoni e quando inizierò a suonare sarà davvero un’esperienza completa.

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L'articolo La Niña e il misterioso cuore pulsante di Napoli di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-10-21 10:01:00

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