Il 2020 è una chitarra acustica che suona

Nell'anno della pandemia Taylor Swift ha fatto uscire il suo album più intimo, corredato da un documentario live emozionante. Un azzardo che potrebbero imparare anche gli artisti di casa nostra, invece di far finta che non sia successo nulla e che la corsa al Platino abbia ancora un senso

Di tutte le cose che non credevo di vivere in questo pazzo pazzo 2020, l'ultima in ordine di tempo è  stare due ore sintonizzato sull'app di Disney+ interessato, avvinto, commosso e sciolto dal documentario live folklore: the long pond studio sessions di Taylor Swift. Per chi non fosse avvezzo all'artista, ecco un pratico sunto: county e folk singer classe 1989, che negli anni '10 diventa famosissima negli USA e abbandona la chitarra e il banjo in favore del pop da classifica coi balletti.

Fidanzata d'America finché non apre bocca per dichiararsi femminista, contro l'omofobia e contro Trump, perdendo di fatto tutta la vasta fanbase conservatrice bianca golosa di country che l'acclamava, e al contempo conquistando quelli come noi. 

Di Taylor Swift conosco poco, di quel giro ho seguito più la carriera di Miley Cyrus, ma ho ascoltato parecchio l'album folklore, scritto insieme ad Aaron Dessner dei National e a Jack Antonoff dei Bleachers durante il lockdown, composto e registrato tutto in home studio a distanza, senza mai condividere la stessa stanza o suonare insieme e annunciato alla casa discografica una settimana prima della sua uscita, quando ormai era già finito.  

Un album intimista e folk, introspettivo al massimo, figlio del tempo in cui siamo rimasti chiusi in casa a farci un sacco di domande, malinconici, nostalgici, pieni di ansia per il futuro. Che un album così potesse uscire da una popstar invece che dalle retrovie dell'indipendenza dura e pura, non me lo sarei granché aspettato, ma il 2020 ha fatto saltare tutti gli schemi. 

Ora vi chiederete perché sto parlando di Taylor Swift su queste pagine e no, la risposta non è che ha preso cittadinanza italiana per godere le vastità molisane e scrivere un album mediterran country. Piuttosto perché, dopo aver visto il documentario in cui lei, Jack e Aaron si trovano per la prima volta a suonare insieme tutto l'album, ho capito cosa manca a molti dei nostri artisti: l'accettazione, la prospettiva.

A partire dai tormentoni estivi con la voglia di ballare il reggae in spiaggia per arrivare ai drammi per l'eliminazione prematura a X Factor, sembra che l'anno in cui un virus misterioso ha cominciato a decimare la popolazione mondiale e ridotto Governi e cittadini sul lastrico, non stia davvero avvenendo.

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Certo, ci sono state le canzoni sul covid, la maggior parte di esse imbarazzanti ai limiti della nausea, a partire dalla più grossa pestata di merda della discografia italiana recente, quell'Andrà tutto bene di Tommaso Paradiso e Elisa che scatena una sequela di giramenti di palle tale da generare energia pulita, se solo saputi sfruttare scientificamente. In redazione continuano ad arrivare decine e decine di nuovi singoli che tentano di sfruttare l'onda lunga dell'itpop da classifica, che parlano di storie d'amore adolescenziali e brand e città e frasi buone per un post su Facebook, senza alcuna attinenza con la realtà , col momento in cui viviamo.

Mentre la pasionaria Taylor Swift parla della propria insicurezza nello scrivere canzoni che facciano piangere e poi si trova contenta nel sapere che, nel mondo, molte persone le aspettavano per aprire i rubinetti, mentre sembra al settimo cielo per riuscire a suonare coi suoi due collaboratori per la prima volta, mentre parla in un prodotto Disney di malattia mentale, depressione, ansia sociale e non, dalle nostre parti si mette tutto sotto il tappeto aspettando che passi la donna delle pulizie. 

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Generalizzare sarebbe sbagliato, praticamente tutti gli artisti descritti in questo articolo stanno seguendo percorsi diversi, ma si tratta perlopiù di realtà che vengono dalla nicchia e incontrano il favore di un pubblico più grande, non di popstar di rilevanza mondiale. Taylor Swift che collabora con Aaron ei National e Justin Vernon di Bon Iver, è un po' come se Laura Pausini si facesse produrre l'album da Giovanni Truppi o Andrea Laszlo De Simone.

Francesco Bianconi quest'anno è uscito fuori con un album fenomenale, ricco di spunti non solo musicali ma anche filosofici. Giusto per dire che chi vuole fare un passo laterale, ce la fa. Ora, non che Taylor Swift sia diventata Manlio Sgalambro, chiariamo la cosa, ma il documentario live rivela quanto quel tipo di album, quel tipo di collaboratori, quel tipo di registrazione casalinga, siano la cosa più vicina all'umore di milioni di persone in tutto il mondo, che non stare a sognare amori all'Ikea, balli latino americani, e credere davvero che comunque andrà sarà un successo. 

Dopo il disastro dovremo ricostruire, e sarà più facile con una chitarra acustica e una voce, sarà più facile col computer di casa propria e le casse mezze sfondate, sarà più facile con un pianoforte e delle idee, dei sentimenti. Sarà più facile con la consapevolezza e la sincerità. Che poi questo monito venga dalla popstar internazionale pià seguita, è una normale aberrazione dei tempi.

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L'articolo Il 2020 è una chitarra acustica che suona di Simone Stefanini è apparso su Rockit.it il 2020-12-01 09:38:00

Tag: opinione

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