Nayt: "Oggi il rap guarda al profitto, mentre la vita delle persone va sempre peggio"

La rabbia e l'orgoglio di chi viene dal nulla, le ansie e la psicoterapia, l'hip hop che ormai è solo pop, Roma e le roots molisane. Alla scoperta di un artista con le idee molto chiare (e condivisibili), alla vigilia dell'uscita del suo nuovo disco "Mood"

Nayt, in una delle immagine di lancio di "Mood"
Nayt, in una delle immagine di lancio di "Mood"
03/12/2020 - 10:22 Scritto da Dario Falcini Nayt 4

Qualche tempo fa ero andato in fissa con il fatto che il primo disco hip hop che fosse uscito senza nemmeno un featuring avrebbe ricevuto lodi sperticate da parte mia, senza nemmeno che lo ascoltassi una volta. Poi è uscito un disco hip hop senza featuring, l'ho ascoltato e proprio non mi è piaciuto, così ho messo da parte l'idea (e l'ideologia). È passato un altro po' di tempo e ho ascoltato il nuovo disco di Nayt, in uscita il 4 dicembre, e ho pensato che la mia provocazione aveva senso, solo ero stato sfortunato. 

Mood è il suo quinto album in studio, ad appena 26 anni, e pone fine alla fortunata saga di Raptus, la serie di tre volumi cui ha lavorato dal 2015 al 2019. In realtà ha un feat. ce l'ha, quello con Mezzosangue, che però caso mai rafforza l'impianto del ragionamento prima espresso. Perché in un mondo, quello dell'hip hop odierno, in cui basta essere un po' sgamati e seguire un'ampia manualistica su come fare successo, William Mezzanotte – questo il vero nome del rapper – ha deciso in questi anni di usare ingredienti molto diversi dalla maggioranza dei suoi colleghi. Lo stress sulla tecnica, un'attitudine sempre adulta, la scelta dei contenuti, un progetto sul lungo periodo – addirittura una trilogia in un'epoca in cui tutto arde nell'istante in cui è consumato –, le poche collaborazioni mirate. Eppure i suoi numeri sono stati impressionanti.

Ora Nayt ha deciso di spingere l'anomalia più in là, con un disco in cui tira fuori se stesso e il casino che ha nella testa. Sulla copertina di Mood appare William semiliquefatto: è rosso su sfondo blu, due colori che rappresentano un dualismo con cui cerca di combattere e convivere allo stesso tempo. Le 13 tracce riprendono la suggestione sin dall'esordio, Musica Ovunque, in cui la natura binaria dell'artista è messa in scena con un passaggio molto marcato da una prima parte accelerata a una seconda metà più riflessiva sia nel beat (di Davide D'Onofrio, in arte 3D) sia nelle rime. 

Ne Il blocco dello scrittore Nayt canta così: "Ho passato una vita infame ad aver fame ma mo' ho visto il dietro le quinte di uno spettacolo strano, e non so bene il senso o che cosa ho dimostrato e non sono soddisfatto ma intanto gridano bravo". È uno dei passaggi in cui racconta in maniera più esplicita il momento non semplice che sta vivendo, i problemi psicologici, la terapia e i benefici che ne sta traendo. Ne aveva già avuto un assaggio chi negli scorsi mesi ha letto Non voglio fare cose normali, il libro in cui racconta la sua storia breve ma intensa: le turbolenze familiari, i frequenti cambi di casa e la convivenza forzata con le persone più diverse del mondo per riuscire a pagare l'affitto, l'epifania rappresentata da Eminem e l'innamoramento per l'hip hop, il successo e le riflessione su di esso.

Ed è a quel punto che scopro che Nayt è molisano. O meglio, è nato ad Isernia – le sue radici sono a Sant'Elena, paese di 300 abitanti in cui senza che io possa afferrare il perché è situato un ambizioso museo del profumo – e lì ha vissuto fino ai sei mesi, prima di trasferirsi a Roma (città cui nell'ultimo disco è dedicato il pezzo Rollin Roma). Quindi dire che Nayt è un artista molisano è un po' come dire che Italo Calvino è uno scrittore cubano o Franco Califano è di Tripoli. Eppure – sarà la mia passione per il Molise, scoperta in una lunga estate di paste trafilate al bronzo e giri in bici lungo il Biferno – decido lo stesso di partire da qui per la nostra chiacchierata. 

La cover di "Mood"
La cover di "Mood"

Potresti essere il più famoso artista molisano oppure uno dei tanti artisti della scena romana: pensaci bene. 

Io sono di Roma: vivo qui da quando ho sei mesi, parlo dialetto e mi identifico in questa città, pur non essendone particolarmente "patriottico". Però il "sangue" molisano lo sento: ho avuto una parte di vita legata a quella zona, dove sono sempre tornato. In qualche modo credo che rispecchi anche chi sono come persona e come artista: mi sento un ibrido, che appartiene al mondo e a nessuno o niente in senso assoluto. 

Cosa rappresentano esattamente il rosso e il blu della copertina?

Il mio dualismo e la mia ambivalenza: il rosso è la rabbia, la mia aggressività che si riversa in tutto, dai contenuti alla tecnica; poi arriva il blu, che è un’altra parte della crisi, la tristezza, la mia depressione artistica e personale, il flow che si distende e diventa piu chill, piu cantato. 

Non ne so molto di analisi, immagino dirò delle cazzate e me ne scuso in anticipo perché so quanto la questione sia seria e importante. Ma questo non mi fermerà dal fare una battuta stupida: se la terapia serve a placare la rabbia ti conviene chiedere indietro i soldi, perché nel disco se ne avverte ancora parecchia...

Il fatto è che la terapia non l’ho finita: è un percorso di crescita, di scoperta e di studio, che mi serve a fare ordine nella mia testa e nella mia storia. E poi non arrabbiarsi non significa essere sano, anzi a volte è vero proprio il contrario. Io oggi non reprimo nulla, però cerco di dare il giusto peso alle cose. Di questi tempi, oltretutto, mi pare l'unico modo per tirare avanti senza abbattersi. 

Da quanto frequenti uno psicologo?

Da un po' di tempo. Spesso la psicoterapia è vista come un'attività per la gente che ha dei problemi, invece è una palestra per la mente fondamentale e troppo spesso sottovalutata: per me dovrebbero andarci tutti. Molti dedicano tempo ed energie ad esercizi fisici e diete, per me allenare la mente è altrettanto importante. 

Sei soddisfatto dei risultati ottenuti fin qua? 

Tutto è sempre parziale, ma io mi sento più centrato. Ho molta piu capacita di progettare, di non farmi influenzare dall'esterno o sopraffare da problemi tutt'altro che insuperabili. Non è che ora sia diventato invincibile: di cadute ce ne sono sempre, ma affrontarle con consapevolezza è un progresso notevole. 

Nayt, foto stampa
Nayt, foto stampa

Da un lato immagino che il tuo "lavoro" ti abbia permesso di esprimerti in maniera creativa e dato gratificazioni e riconoscimenti, ma dall'altro ti costringere a convivere con la fama e le aspettative altrui. Questo percorso sarebbe stato più semplice se tu fossi un'altra persona nella vita?

Ho iniziato a fare rap a 14 anni e pian piano è diventato un lavoro, in cui ho investito sempre più energie. Sono convinto che fosse la mia strada, e condividere tante cose con un pubblico vasto e con artisti amici è una cosa preziosa. Ma penso che nessuno, soprattutto da giovane e soprattutto in questi tempi in cui tutto è amplificato, abbia davvero la forza per reggere le pressioni che un certo grado di popolarità porta con sé. Stare sotto i riflettori non è una cosa semplice, per me non lo è mai stato. 

Gli "attacchi" ai social e alle dinamiche che instaurano non si contano nel disco. Tu hai dei profili personali, ma ne fai un uso decisamente morigerato rispetto a tanti colleghi. Pensi che abbiano peggiorato la tua vita? 

Non ho gran rapporto con i social perchè non sono una persona che si espone facilmente e in maniera superficiale. Penso che diano dipendenza alle persone tramite degli appagamenti istantanei, molto superficiali e pieni di niente e che, per come sono stati concepiti, i social portino all'omologazione. Io non potrei mai fare un videoselfie e dire cose per me importanti, sapendo che trenta secondi dopo chi mi ha ascoltato sta guardando un balletto divertente. Penso che siano un ambiente che ha grandi potenzialità di connessione e condivisione, ma bisogna imparare a gestirli bene e cercare di usarli quando si ha davvero qualcosa da comunicare. 

Ti senti rappresentato dal rap italiano di oggi? Ne sei ancora un rappresentante?

Sono in una fase della mia vita in cui non è solo una questione di rap, che oltretutto ormai non è piu nemmeno un genere, ma solo un modo di approcciarsi alla musica, ai quattro quarti. Io non voglio fare proclami, non ho risposte e ho tante domande. Però crescendo uno si rende conto che il sistema in cui viviamo, il capitalismo, ci sta portando a una serie di problemi infiniti, che non è più sostenibile per la nostra società, per l'ambiente, per la salute mentale delle persone. Quando arrivi a questo tipo di consapevolezza non puoi non parlarne. Quando vedo che nell’ambiente del rap si strizza l’occhio di continuo a questo modello e al profitto e non si affrontano mai le cose che contano, mentre la qualità della vita di tutti noi precipita, ecco a me fa stare male. 

Hai detto la parola maledetta: capitalismo. Hai già perso 800 follower su Instagram, e il pezzo non è ancora stato pubblicato...

(ride)

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Quando dico ai tuoi colleghi rapper, alla luce di discorsi infinitamente meno impegnati e impegnativi di questo, che la loro musica ha un carattere "politico", di solito inorridiscono e si precipitano a prendere le distanze dal termine. Vuoi farlo anche tu?

Quando si dice politica, uno pensa a degli uomini in giacca e cravatta che secondo il pensiero comune ci pigliano per il culo. E in molti casi lo fanno davvero. Ma la politica è più di questo, è l'indirizzo verso cui va la società. Da ragazzino ero il primo a disinteressarmi a certe cose, ma crescendo ho capito che è proprio questo il modo in cui ci fottiamo. E uso la quarta persona, non dicono "ci fottono" perché è troppo facile pensare che ci sia sempre qualcuno che sceglie al posto nostro. Magari Mood non è proprio un disco politico, ma di certo è un disco che parla anche di queste cose qua. Interessarmi a questi temi è qualcosa di imprescindibile.

Dopo questa domanda ne faccio sempre una sull'album, se no sembra che non l'ho ascoltato o non mi interessa. E l'artista si risente. Che "mood" avete cercato tu e il tuo producer, 3D, da un punto di vista sonoro?

La lavorazione è stata come sempre molto istintiva. Il processo creativo parte di solito da un testo, gli arrangiamenti non sono studiati a tavolino, ma arrivano dal confronto. 3D ha la sua visione di come ritmicamente debbano andare le cose, io so che atmosfera combacia con i miei pensieri. Non seguiamo alcun paletto di genere, sono categorie ormai prive di senso. 

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Eppure il rap continua a parlare di se stesso come di una specie di movimento e ad autogiustificarsi appellandosi a un presunto "codice" che prevede dei membri e degli esclusi. A me, così, pare un po' troppo facile: diciamo che l'idea della tribù di miliardari mi convince il giusto...

Se arrivi in cima alle classifiche, allora a livello di percezione collettiva tu sei pop, perché sei di tutti. Ci sono generazioni che non lo capiscono perché non fa parte della loro cultura, e ci sta. Ma che artisti diametralmente opposti possano essere messi sotto lo stesso cappello secondo me non aiuta in alcun modo la compresione del fenomeno. Io faccio musica in un certo modo e con un certo aproccio, non giudico e non critico chi fa rap come intrattenimento. Il problema, secondo me, è quando viene mandato un messaggio deformato della realtà.

Nayt, foto stampa
Nayt, foto stampa

Hai fatto i soldi con il rap?

Sono in una situazione economica più tranquilla rispetto a... sempre, e non posso lamentarmi soprattutto considerando come vivevo prima. Ma la mia ambizione non è fare i soldi quanto sentirmi bene grazie a quello che faccio e provare a fare sentire bene gli altri. 

Cosa stai ascoltando ultimamente?

Roddy Ricch mi piace sempre, così come Bon Iver. E poi sto abbastanza in fissa con le vibes che emana Nils Frahm. In qualche modo sono tutti ascolti che rientrano nell'ultimo disco. 

Sei un 26enne felice?

Non ancora. Non so cosa manchi davvero, devo ancora scoprirlo. Di certo devo imparare a vivermi maggiormente il presente, dobbiamo imparare a farlo tutti quanti. 

Cerchi rivincite sul tuo passato?

Se un giorno riuscirò a stare bene, a farcela negli obiettivi della mia vita e a riequilibrarmi un po' in tutte mancanze che io e la mia famiglia abbiamo avuto, potrò finalmente considerare quegli anni solo come una grande esperienza che mi ha formato. Di certo non guardo alle diffcoltà di quando ero giovane con tristezza, ma con orgoglio. 

Facciamo così: il primo che va in Molise lo saluta a quell'altro. 

Ci sto, cerchiamo di ricordarci. 

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L'articolo Nayt: "Oggi il rap guarda al profitto, mentre la vita delle persone va sempre peggio" di Dario Falcini è apparso su Rockit.it il 2020-12-03 10:22:00

COMMENTI (1)

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  • facchin.alberto60 4 anni fa Rispondi

    C...o mi piace ed è bravo. La parolaccia auto censurata al l'inizio è scritta solo per darmi un tono, ho fatto 60 anni 5giorni fa e cristo se ne avrei di cose da raccontare.