Willie Peyote a Sanremo così, de botto, senza senso

Il rapper torinese, in gara all'Ariston con "Mai dire mai (la locura)", racconta il nostro "Paese di musichette mentre fuori c'è la morte" usando le parole della serie cult Boris. Il tutto ispirandosi a Billie Eilish, Ricky Gervais, Elio e continuando a chiedersi dove sia Bugo

Willie Peyote - foto di Chiara Mirelli
Willie Peyote - foto di Chiara Mirelli

"Io parlo della locura René, la locura. La pazzia, che cazzo René, la cerveza, la tradizione, o merda come la chiami tu, ma con una bella spruzzata di pazzia! Il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore, di paillettes. In una parola: Platinette. Perché Platinette, hai capito, ci assolve da tutti i nostri mali, dalle nostre malefatte. Sono cattolico, ma sono giovane e vitale perché mi divertono le minchiate del sabato sera. È vero o no?! Ci fa sentire la coscienza a posto Platinette! Questa è l’Italia del futuro: un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte. È questo che devi fare tu: Occhi del Cuore sì, ma con le sue pappardelle, con le sue tirate contro la droga, contro l’aborto, ma con una strana, colorata, luccicante frociaggine. Smaliziata e allegra come ‘na cazzo di lambada. È la locura René! È la cazzo de locura! Se l’acchiappi, hai vinto”.

Chiunque abbia visto la serie tv Boris ricorderà benissimo l’allucinato monologo che fa Valerio Aprea, nei panni di uno dei tre sceneggiatori della fiction Gli occhi del cuore, nell’ultima puntata della terza stagione. Si tratta di poche righe che danno una fotografia perfetta non solo della tv italiana, ma dell’Italia stessa: "Un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte". Musichette come quelle che, ogni anno, prendono d’assalto il pubblico italiano dal palco del Festival di Sanremo. Nell’enorme rincorsa tra realtà e finzione che rende Boris il capolavoro che è, il rapper torinese Willie Peyote ha deciso di rendere la sua partecipazione una sorta di metaesibizione: il suo brano, intitolato Mai dire mai (La locura), si apre proprio su quelle iconiche parole.

"Il 'Paese di musichette mentre fuori c’è la morte' è una triste verità, soprattutto nel 2021, è da un anno che sentiamo parlare di 400 morti al giorno. E vale anche il discorso sullo svecchiare Sanremo, che è davvero 'il peggior conservatorismo che però si tinge di simpatia, di colore, di paillettes'", mi ha raccontato Willie qualche giorno fa. Già saperlo in gara mi aveva sorpreso, tanto più quando ho letto la parola locura nel titolo del suo brano, per non parlare della scelta di portare Giudizi universali nella serata delle cover, assieme a Samuele Bersani stesso.

Mai dire mai è una canzone orgogliosamente anti-sanremese, con una trascinante cassa in quattro, su cui Willie racconta tutte le contraddizioni con cui siamo quotidianamente a contatto, amplificate ulteriormente dall’infame situazione a cui ci ha costretto il Covid: i teatri sono chiusi, gli stadi aperti (ma non ci si può entrare), conta più l’hype che la sostanza e, a nel nome del trash, continuiamo sempre più spazzatura. Tutto questo, detto dal palco di Sanremo, diventa ancora più surreale, un continuo gioco di scambi tra quella che è la canzone, quello che è meme e quella che è la realtà.

Il tuo rapporto con Sanremo parte da lontano: ti ci senti dentro, ora che sei dall’altra parte?

Adesso è strano esserci, perché la nostra è una storia non corrisposta: io lo guardavo, ma lui non guardava me. Sanremo è una messa laica, un momento di tradizione, è come guardare la nazionale. Nel ’92 fu la prima edizione del festival che guardai perché c’era un amico di famiglia in gara con gli Statuto. Oggi è diverso, dall’interno è più difficile guardarlo con l’occhio buffo con cui lo guardavo prima, non ho ancora capito dove mi colloco.

Io mi aspettavo qualche sterile polemica sulla tua partecipazione, invece ancora niente.

Non è ancora successo ma Mai dire mai, per autocitarmi. Anzi, sono fiducioso che qualcosa succederà.

Mahmood ha detto da Fazio che quest’anno Sanremo sembra il MI AMI. Tu che ci sei passato, sei d’accordo?

Quando ero al MI AMI c’erano i Coma Cose, per esempio, e pure loro sono in gara. Mahmood ha ragione, già lui ha partecipato quando le quote indie – anche se adesso vuol dire tutto e niente – erano già sdoganate. Penso che indichi che il pubblico in Italia è cambiato ufficialmente, le classifiche sono comandate da diciottenni ed era naturale che anche Sanremo si adattasse.

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Anch’io, come te, sono un grande fan di Boris. Che ti aspetti dalla nuova stagione?

Mi sento titubante, è passato tanto tempo ed è un po’ un rischio tornare così. Loro stessi hanno detto che non si va mai oltre la terza stagione nella serie, quindi penso siano i primi loro ad avere un po’ di ansia. Detto questo, sono molto curioso di vedere come riusciranno a declinare Boris in un mondo che è totalmente cambiato da quando esisteva la serie.

Boris prendeva in giro la televisione nella televisione, tu prenderai in giro Sanremo da Sanremo?

A me fa molto ridere che Sanremo abbia accettato di farsi perculare da me sul suo palco. Io l’ho detto chiaramente pure ad Amadeus, ma a loro piaceva così.

Un po’ come hanno fatto Elio e Le Storie Tese con La terra dei cachi nel ’96.

Il mio obiettivo era esattamente quello, anche se la mia poetica ovviamente è molto diversa da quella degli Elii. Io vado a Sanremo in primis per prendere in giro me, perché è strano immaginarmi all’Ariston, ma ci vado facendo quello che so fare, e poi tutto il resto. Anche Ricky Gervais ai Golden Globe mi ha ispirato: lui è lì a presentare, ma non ne risparmia uno. La differenza è che io non vado a insultare ai miei colleghi, io voglio puntare l’attenzione sull’elefante gigantesco che c’è nella stanza.

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Ed è una situazione che non sembra cambiare. Tu come la stai vivendo?

Io non voglio neanche fare il vecchio trombone che fa: “Eh, però, voi giovani e la movida…”. Io lo dico chiaramente, sono tra quelli stanchi di ‘sta situazione, non ce la faccio più, non suono da un anno, non voglio cazziare la gente o fare come Pucci, che prima fa le campagne anti assembramento e poi finisce in piazza a volto scoperto a festeggiare per il derby. Io volevo solo dire che è sacrosanto divertirsi, abbiamo bisogno di svago, ma dobbiamo farlo in maniera consapevole, sapendo che non possiamo dimenticarci quello che succede intorno a noi.

Stesso discorso per il calcio.

Quello è un argomento che affronto proprio da tifoso: riaprono gli stadi e io non ci posso andare, mi sembra un’ulteriore presa in giro, dimostra che quello che deve andare avanti è l’industria, non lo sport.

E per la cultura?

Nessuno investe davvero in ciò che fa cultura, mentre l’intrattenimento duro e puro sulle coste della Sardegna o del Salento che porta tanto grano a non sa bene chi lo permettiamo. Questo dà una bella idea del Paese di musichette.

Nel testo sei anche stato profetico verso Marilyn Manson, visto che l’hai citato prima di tutte le accuse di violenza che sono uscite nelle ultime settimane.

La questione di Marilyn Manson ha dato un nuovo significato a quel passaggio. Quello volevo dire io è che si tende a gridare allo scandalo per dei personaggi che conosciamo da trent’anni e che rappresentava anche una forma di emancipazione, ora che è venuto fuori il mostro che è dimostra come a volte scegliamo male i nostri simboli.

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"Non ho capito in che modo twerkare vuol dire lottare contro il patriarcato". Cosa intendevi con questo verso?

Io non ce l’ho mica col twerk, ci mancherebbe altro, mi viene il dubbio che farlo sul palco di Sanremo non sia davvero questo simbolo di lotta al patriarcato. Ha senso sentire Diletta Leotta parlare di body shaming e dire: “Amati per quello che sei”? Ma tra tutte le persone che potevi chiamare, proprio lei? Se facciamo il carnevale, per quanto tu possa avere delle buone intenzioni, viene fuori un’accozzaglia di cose a caso. Nell’ultimo anno, gli omicidi sono scesi del 30% e i femminicidi sono rimasti stabili, perché non portiamo questo discorso, che dovremmo affrontare una volta per tutte?

Come arrangiamento, ho trovato il tuo pezzo non da Sanremo nel miglior senso possibile. Com’è nato?

L’idea vagamente parte dal basso di Bad Guy di Billie Eilish, perché vabbè, quello è un pezzo clamoroso, ma soprattutto mi divertiva molto l’idea di andare a Sanremo con la cassa dritta. Io poi, che mi davano già vincente per il premio della critica prima ancora di sentire il pezzo, a cazzo proprio. “Così, de botto, senza senso”. L’ho fatto perché la gente si chiedesse: “Ma questo che cazzo ha nel cervello?”. A me interessa questo, far venire sempre una domanda in più a quella che il pubblico è abituato a farsi.

Evochi anche il famoso "Dov’è Bugo" di Morgan con un sample. Portarlo all’Ariston è una bella furbata, come ti è venuta in mente?

Il tormentone virale mi fa ridere: quando un meme gira così tanto su internet diventa parte della cultura nazional popolare. E poi mi fa ridere metterlo a Sanremo, quando c’è Bugo e non c’è Morgan. E poi c’è un retroscena: l’anno scorso, Morgan mi scrisse (e non sarò stato l’unico, immagino): “Ti va di venire a fare un due rime su un pezzo di Endrigo?”. Io ho rischiato di essere lì, quando è uscito il casino l’anno scorso non riuscivo a crederci, ho rischiato di far parte di quella storia.

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Hai scelto di eseguire Giudizi universali come cover. L’avresti cantata con qualcuno che non fosse Samuele Bersani?

Quel pezzo o lo fai con Samuele o non ha senso. È una delle mie canzoni preferite, anche adesso che la provo 100 volte al giorno non mi stanca mai. Lui ha questa capacità incredibile di essere leggero e profondo allo stesso tempo e quello è un esempio lampante. Quando mi hanno detto che potevo portare qualsiasi canzone volessi, ho contattato Samuele, lui ha detto di sì e io mi sono pisciato addosso (ride, ndr). Mi sento molto responsabile, mi terrorizzava un po’ prima delle prove, poi abbiamo trovato una quadra. Ho comunque un po’ paura perché ho grande rispetto di quella canzone e di Samuele, non volevo assolutamente rovinare un capolavoro. Qualcuno mi ha chiesto se l’avrei cambiata come Il bombarolo. No, quel pezzo si canta così, con Samuele che dice quando puoi cantare e quando no.

Preferiresti vincere Sanremo o vedere il Torino vincere lo scudetto?

Non c’è bisogno di rispondere a questa domanda: non volevo vincere Sanremo prima, tanto meno se c’è in ballo lo scudetto per il Toro. Anzi, mi basterebbe la salvezza.

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L'articolo Willie Peyote a Sanremo così, de botto, senza senso di Vittorio Comand è apparso su Rockit.it il 2021-02-26 15:41:00

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