Marco Parente La riproduzione dei fiori 2011 - Cantautoriale, Rock, Alternativo

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Dopo la neve, i fiori. C'è aria di primavera, di rinascita nel nuovo lavoro di Marco Parente, dopo i due episodi gemelli "Neve (ridens)" e "(Neve) ridens", esperimenti ambiziosi ma a volte troppo rarefatti e discontinui, la cui chiave (oscura) stava forse proprio in una frase che figura ad apertura di entrambi: "la meraviglia è la concentrazione". Si potrebbe dire che dalla concentrazione, con queste undici tracce si passa alla dissipazione/fecondazione, del corpo e del pensiero, ad una considerazione più ampia delle cose, in cui il singolo è parte armonica del quadro. Così Parente strizza l'occhio ai "Fleurs du mal" di Baudelaire e gioca a rovesciarli, in una ariosa rivoluzione, la seconda dopo il singolo che apriva "Trasparente" (2002), lavoro al quale questa nuova uscita si apparenta bene, nelle sfrigolature pop e nel cantato, più corposo e convinto.

Apre il disco "Il diavolaccio" - pezzo già noto dallo spettacolo teatrale omonimo del 2009 - con le sue avvolgenti suggestioni solo voce e chitarra, quasi un racconto in cadenza da nenia, profana e dolce, che non sfugge alla provocazione "forse il diavolo ha ragione perché sa quanto male ci vuole / per fare un solo bene" e ai rovesciamenti del senso comune schiavo dell'attualità "solo il bambino lo sa / il gioco è una cosa seria / sacra". La title-track invece è propulsiva e sfrontata, con un ritornello trascinante, "fatti il bene e fotti il male / perchè vivere bene ti fa bene", in forma di comandamento intimo tutt'altro che banale, quando il contorno vede "facce tristi / della moda del dolore / il dolore è fuori moda". Le scosse rock, che sono una delle anime del nostro, tornano nella sferzante "C'era una stessa volta". Lo sguardo qui si fa meno personale, e non c'è scampo al suo constatare "io somiglio a te tu a me anche se non ci conosciamo mai / questa è la storia che si ripete", mentre la successiva "Sempre" (una delle tracce migliori) raddolcisce le atmosfere con gli splendidi arrangiamenti d'archi di Robert Kirby (già collaboratore di Nick Drake, Elvis Costello e Paul Weller), e prosegue il discorso su una certa continuità e ciclicità felice del tempo, a dispetto delle paure. Vorrei usare la parola "umanesimo" per queste canzoni - e non si spaventi nessuno – ma, tocca dirlo, era un pezzo che il cantautorato italiano non ci regalava un lavoro così denso e compatto, ispirato e autentico.

L'infilata di perle prosegue con "La grande vacanza", forte di un testo che vira all'onirico rivolgendosi ad un tu ipotetico nella prima parte e una coda che fa il verso ai Radiohead, la rarefazione sognante di "Bad man", unica traccia in inglese che gioca con l'elettronica, e la cavalcata de "L'omino patologico", che flirta con "Simpathy for the devil" dei Rolling Stones. Finale in punta di piedi riservato a "Dare avere", quieta considerazione sul tutto che passa e scorre, punteggiata da tastiere e chitarre in crescendo che rimandano alle memorabili aperture elettriche dei Wilco.

Non si può fare a meno di notare la stretta continuità tematica delle liriche di questo lavoro, affratellate da vere e proprie parole chiave, immagini ricorrenti di una poetica che gioca sui paradossi, gli opposti e i ritorni per accendere l'intuizione in maniera ironica, obliqua e leggera. Impresa non facile, quando i concetti in campo sono il bene e il male, il tempo o l'amore, scivolosissimi per chiunque, per i song-writers in particolare. I riferimenti letterari poi si posano con apparente svagatezza, un precipitato che si solidifica in istantanee cinematografiche incisive e felici, semplici solo alla superficie. L'emozione che monta ascolto dopo ascolto, complici melodie sempre sghembe ma sperimentali in maniera più accorta e dosata, e una voce empaticamente accordata, ci fa affermare l'unicità di un autore che prosegue la sua ricerca, aliena alle mode e agli ammiccamenti facili, con risultati ora pienamente maturi e fecondi di promesse. Parafrasando la title-track, vedrete quanto vi è dolce naufragare in questo disco.

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La recensione La riproduzione dei fiori di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2011-03-21 00:00:00

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