Oslo Tapes Oslo Tapes (un cuore in pasto a pesci con teste di cane) 2013 - Noise, New-Wave, Shoegaze

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Il freddo e il rumore: Marco Campitelli e Amaury Cambuzat raccontano di un mondo senza sole ma ricco di sfumature. Tante collaborazioni per un album che cattura.

Mi approccio come tra ghiacci polari a questo disco, così geometrico nei suoi spigoli sonori e freddo e oscuro nella ricerca sperimentale di un noise che è pure mille altre cose. Perché il suono asciutto e metallico quasi fosse violenza estratta dagli strumenti diventa di volta in volta il paesaggio lunare di un secco recitativo (“Attraversando”), la ballata di cosmica dolcezza (“Distanze”), il rumore e il riverbero assieme di un sentimento profondo nel brano migliore (“Imprinting”). Mi muovo tra le tracce sospinta da un umore variabile, che la musica asseconda e comprime in sensazioni da millesimi di secondo, e la musica è bella, tra esplosioni atomiche di chitarre in pieno fragore, e la voce che si fa sottile o lucida e si insinua mai invadente, e la percezione del nuovo nonostante i rimandi, e mi pare di osservare la corsa incessante delle nuvole meccanicamente accelerate o che sfumano lente grazie a mirabili tecniche di ripresa e montaggio.

Ci sono i cattivi tarli di “Impasse” e le stanze grigie della resa di “Marea”, i fiordi sussurrati di “Elogio” che è ipnosi che si fa soundtrack e vedrei bene in un film di Von Trier, fino alla chiusura di “Crocifissione Privée” che scioglie il giorno nelle prime ombre e sottende il dubbio come quando restiamo a fissare i titoli di coda per quella scena finale dalle valenze multiple, e c’è tutto un mondo che dietro il nome Oslo Tapes vive e respira: Marco Campitelli (già nei Marigold nonché boss della Deambula Records) e Amaury Cambuzat (cito gli Ulan Bator ma ha sempre in piedi diversi progetti tra collaborazioni e produzioni) si incontrano, si mescolano per capirsi e poi aprire a tanti musicisti in un ritratto corale magistralmente diretto dai due. Da Nicola Manzan a Gioele Valenti (Herself), e ancora Francesco D’Elia (King Of The Opera) e Stefano Venturini (Ka Mate Ka Ora) e molti altri ancora fino a creare un insieme di pennellate mutevoli e personali atte a definire un sound intenso e variegato. Assolutamente da ascoltare, tra ghiacci polari, sentimenti profondi e le ore che si dissolvono nelle prime ombre notturne.

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La recensione Oslo Tapes (un cuore in pasto a pesci con teste di cane) di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-03-29 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • deambula 11 anni fa Rispondi

    :)

  • iocero 11 anni fa Rispondi

    Motorpsycho a manetta, quindi molto bello!