I Gatti Mezzi Vestiti Leggeri 2013 - Cantautoriale

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Un album maturo, ironico ma anche sofferto, di cantautorato attualissimo. Molto consigliato.

Due gatti, inzuppati da apparire davvero brutti, tenacemente passeggiano sotto la pioggia di questa primavera che stenta ad arrivare. Da un bar del vicolo escono due omaccioni in sovrappeso, bestemmiando, prendendosi a manrovesci. Si intuisce che c'è di mezzo la moglie, di chi non si sa. Uno si volta, vede un gatto, lo brandisce e lo tira in faccia all'altro. Il felino zuppo ne guadagna in peso e mentre vola, in pericolo, esibisce gli artigli. Diventa un'arma tale che se ne fosse a conoscenza il nord coreano matto, ci bombarderebbe coi gatti mézzi. Mézzi si pronuncia come tazza e vuol dire, appunto, fradici. Questa è una delle possibili interpretazioni di quel modo di dire trasversale pisano: "Roba da gatti mézzi". E' un modo per toccare il fondo. Soffermandoci sulla prima parte, sui due rain cats che vagano nei vicoli, mangiando gli avanzi ed ascoltando le storie, capiremo qualcosa in più su questa band.

Tommaso Novi e Francesco Bottai, entrambi cantautori, (ma il Novi è anche un pianista d'eccezione e un fischiatore da orchestra Rai, mentre il Bottai schitarra col gusto di Marc Ribot) da qualche anno sono il nucleo e l'anima di questo gruppo fortemente pisano che rinnova la canzone d'autore, ironica e dissacrante quindi per definizione "colta" ma insieme parecchio popolare. Che si ispira a Paolo Conte e a Tom Waits, al jazz manouche e sembra, apparentemente, cugina della scrittura di Bobo Rondelli. I gatti cantano in vernacolo (stavolta un po' meno), hanno nostalgia di un mondo che esiste solo nei racconti e in quei posti che ostinatamente non vogliono globalizzarsi, grazie a dio. Dal vivo sono degli eroi, in grado d'incantare le platee di tutta Italia e di esportare la loro musica persino oltreoceano, facendosi capire. "Vestiti Leggeri" è il loro quinto disco, ma la maturità l'avevano già ampiamente conseguita con i loro precedenti album, quindi possiamo parlare di ottima conferma. E' un disco però diverso, intimo e disilluso, di segreti da confidare un po' sbronzo al tuo migliore amico, di temi universalmente difficili da trattare. Di noi, più che degli altri.

Inizia con "Piscio ar muro", tanto per mettere subito le carte in tavola. La gioia con la quale questo antico gesto viene enfatizzato è coinvolgente a tal punto da farti uscire in preda all'ebrezza con la voglia di taggare (come si dice ora) i proprio luoghi col "pennello all'aria". Una piccola rivoluzione, che spazza via anni di internet 2.0. La melodia liquida e salata di "Marina" è al tempo stesso malinconica e sognante, nel parlare di Marina di Pisa, cantiere di storie di mare gonfiate nei bar. "Soltanto i tuoi baffi" è quello che rimane, quando si pensa a chi non c'è più e fa venire un tale nodo in gola che ti viene da abbracciarli, per l'onestà e quel filo d'ironia con la quale hanno saputo scrivere di un tema così doloroso. Ascoltatela e poi ditemi se non vi siete emozionati. Il beat di "Ti c'ho beccato" a fare da contrappunto, contro l'ipocrisia di chi non ha problemi a buttà un divano dentro ar fiume e poi gli basta di guardà Santoro per non sentirsi un sudiciume. "Pepe" e "Furio su 'na rota" sono due deliziose e toccanti canzoni dedicate alle paure e alle promesse d'esser due padri "ganzissimi", che ti riviene voglia di abbracciarli. Oh, poi magari è una cosa mia, ma si sanno far volere bene. Fin qui tutto liscio, poi arriva come un pugno allo stomaco l'amarezza. Come hai fatto a non vedere quelle cose da aggiustare, che non ero tutto intero si canta in "Delirio (tittitti)", che con la sua melodia sinistra narra di un uomo in preda alla propria inaspettata solitudine. Oppure "Lacrima meccanica" tra un Capossela ed un Lucio Dalla, a parlare di una sfibrante fidanzata che piange per nulla. Lo swing sonnolento di "L'amore 'un lo faccio più" e la smania di vita del protagonista che non trova sfogo dentro una relazione fatta di routine e di abbrutimenti. No, l'amore 'un lo faccio più, morirò coi semi dentro 'ome i poponi (meloni), no, a casa un ci torno più, non potrò trovarti a letto coi calzettoni. La voce si fa melodiosa, quasi ispirata da Ivan Graziani, "Fame" è un dialogo tra Tommi e Dario Brunori, special guest perfettamente a fuoco nel descrivere un racconto di disillusione ai massimi livelli. I sogni di gioventù acremente ridimensionati da una vita che non è andata come ci si aspettava. La barca e la casa sul mare si tramutano per disincanto in pasti alla mensa e scarpe bucate come allora ma non per moda, per miseria. In riva al fiume, la musica si fa dissonante, Waitsiana, aspra, come un fosse il blues malato della vita vera. La conclusione è affidata a "Noi", un brano jazzato che tratta la fine di una relazione come la fine di un'epoca. Il cinema chiude e con esso questo disco.

Arrangiamenti importanti, orchestrali, la Picicca Dischi come garanzia di produzione per un album sofferto ma al contempo dolce come i migliori classici della commedia all'italiana, attualissimo, pieno di paure profonde e di speranze sottovoce, consapevole delle proprie inconsapevolezze. Non offre alcuna soluzione, ma ti lascia più leggero, come promette il titolo. Consigliatissimo.

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La recensione Vestiti Leggeri di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2013-04-29 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • ciaporak 11 anni fa Rispondi

    grazie per le immagini la musica le parole, a volte basta una canzone per sentirsi più soli che mai nell'universo, cosicchè la solitudine ci avvicina agli altri
    veramente grazie ciao ragazzi

  • Tomaka 11 anni fa Rispondi

    Simone, grazie davvero per la grande attenzione.
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