Bluestones Born in a Different Cloud 2013 - Stoner, Grunge, Post-Rock

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Un disco potenzialmente buono, rovinato da idee ingombranti e a tratti imbarazzanti

Io un po' me li immagino i Bluestones mentre pensano a come strutturare il loro disco e si danno grandi cinque alti. “Immaginiamo che il nostro disco sia trasmesso tutto da una radio...” - “Bellissimo! E che un dj commenti le tracce!” - “Geniale! Diamogli una voce da grande reduce del rock!”. Me li immagino mentre danno vita a questo personaggio (Noise without voice, si chiama), che sulle prime a dire il vero ricorda un po' il protagonista con le velleità da parrucchiere degli stacchi di Elio e le storie tese, mentre si rivolge a Chicca, sua assistente alla radio, e afferma che il grunge gli ha strappato i pantaloni sin dalla culla. Ogni tanto emette dei versi non meglio identificati, ride e dice cose di cui mi sfugge il significato (la storia della scala in “Dove muore il suono” o dei reggicalze al vento di “Intercoassiale in rame”), urla e maltratta la povera Chicca, tesse le lodi del grunge e degli Bluestones. Sigh. Lo trovate in diverse tracce, sintonizzato dalla fantomatica Radio Delirio, e di delirio ce n'è tanto, diciamo in bilico tra l'assurdo e l'imbarazzante.
Le scelte sono due: o la prendete con la dovuta dose di sarcasmo e cercate di non fuggire inorriditi, oppure vi abbandonate ad abbondanti facepalm e cambiate disco.
Che poi il disco non è nemmeno malaccio.

Un condensato di grunge sempre lì tra Alice in Chains (“Embrace”), Soundgarden (“Plonk”), e alcuni brani più strutturati in quei riffoni circolari e dalle ritmiche irregolari à la Tool (“Scissors”).
Il sound è tutto rivolto verso Seattle, la terra promessa, gli arrangiamenti sono solidi e sebbene il tutto suoni già sentito e fuori tempo massimo, sicuramente c'è dell'energia che può interessare agli appassionati irriducibili del genere.
Ultimo appunto la durata: 23 tracce (in realtà tolti gli interventi dell'amico Noise without voice rimangono una quindicina di canzoni), 75 minuti di riff tutti simili, timbri poco vari e quattro idee prese e rivoltate in quindici declinazioni diverse, ma sono pur sempre quattro. Gli interventi dalla finta radio sono lunghi e superata la dose di curioso imbarazzo iniziale, annoiano irrimediabilmente, distogliendo anche l'attenzione dalle cose buone di questo album. Tutto troppo, e si sa, il troppo stroppia.

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La recensione Born in a Different Cloud di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-02-13 00:00:00

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