Egokid Troppa gente su questo pianeta 2014 - Cantautoriale, Rock, Pop

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La vita, l'amore, la malattia. Grande disco.

Sarebbe ora di accorgersi sul serio degli Egokid : “Troppa gente su questo pianeta”, loro terzo album in italiano e quinto in assoluto, è uno di quelli che riconcilia con la musica italiana. Fruibilità assoluta, almeno tre grandi singoli dall’airplay vincente, profondità di messaggi e di concetti che mai diventa pesantezza e che invece è da catalogare sotto la voce “intensità”.

L’album sviscera certamente tematiche consuete alla band milanese, come l’anaffettività che torna in “L’alieno” e che era già stata protagonista di “Anaffettivo” (da “Minima storia curativa” del 2008), ma, ancora di più che nel precedente “Ecce homo” (2011), si sposa a tematiche universali. Se si dovesse indicare un tema comune ai brani di questo nuovo lavoro, non si sbaglierebbe di molto a individuarlo nella malattia: quella personale, soggettiva (l’anaffettività di cui sopra, certo, ma anche quella suggerita in “In un’altra dimensione”), quella delle persone care (“La madre”), quella derivante dalle delusioni d’amore (“Frasi fatte”), quella esistenziale e collettiva (“La malattia”) e quella ideologico-politica (“Il mio orgoglio”, in cui forse c’è una presa di distanza da alcune recenti aperture della Chiesa cattolica a mondi per secoli stigmatizzati come il male; “Non balliamo più”, dal ritornello arioso su cui si innestano parole importanti che parlano di come la promessa di felicità nel privato e nel neoliberismo abbia prodotto il massimo dell’infelicità umana mai prodotta nella Storia, a parte, forse, l’epoca dello schiavismo).

Sarà un caso, dato che le scalette degli album di solito si decidono in base a come suona l’alternanza dei brani, ma, se lo è, funziona: gli Egokid finiscono per piazzare le possibili vie d’uscita alla mefitica situazione in cui gli umani, il mondo e ancor più l’Italia sono precipitati nei punti chiave del disco. Apertura colossale di un disco importante, “Il re muore”, scritta a sei mani con Samuele Bersani (che l’ha incluso nel suo ultimo “Nuvola numero nove”) racconta sì la fine di una relazione, ma più in generale la conquista fiera dell’indipendenza e della maturità: grande singolo, dalle aperture epiche che possono ricordare gli Editors nel ritornello, ha le tutte le caratteristiche per divenire un anthem, ed essere cantato nelle piazze con significato politico, come è accaduto a diverse tra le migliori canzoni (nate) d’amore. Piazzata in sesta posizione, subito dopo quell’“Alieno” che è un po’ il cuore tematico del disco e che si immagina facilmente cantata da Rachele Bastreghi, di quei Baustelle di cui da tempo Diego Palazzo è chitarrista, “Solo io e te” rappresenta la via d’uscita privata, l’amore travolgente, la fuga dal mondo dimentica del mondo, sottolineata da epiche ed essenziali note di piano che gli Ultravox di “Vienna” o “Reap The Wild Wind” farebbero carte false per avere scritto loro. In chiusura il quasi reggae di “La malattia”, dichiaratamente ispirato alla pagina finale di “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo (non l’unica suggestione letteraria del disco: basti pensare ai pirandellianipersonaggi in cerca d’autore” di “Frasi fatte”), suggerisce l’esito catastrofico del nostro sistema di vita. Un suggello che è un monito e spinge a riflettere.

Si sarebbe in errore a pensare che la tematica del disco si rifletta in una musica dolente e ripiegata su stessa: al contrario, pure nei momenti di malinconia, la parte musicale suggerisce sempre, a contrasto o a rinforzo del testo, una voglia di vivere e di affrontare a testa alta le difficoltà, con un piglio eroico nel guardare a testa alta il proprio destino che raramente si sente nella musica italiana, così spesso facile a crogiolarsi nel proprio dolore o all’autoironia sminuente. E il tutto, a partire dal cantato che ha metabolizzato e fatto proprio quello il piglio autorevole nel porgere la voce della miglior Mina anni 60, in maniera credibile, non presuntuosa, poetica (i testi hanno più di qualche volta dei guizzi notevoli e si mantengono sempre su medie elevate): in una parola, umana. Grande disco, altro che Camerettistan.

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La recensione Troppa gente su questo pianeta di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2014-01-31 00:00:00

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