Nitro Suicidol 2015 - Rap

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Nitro parla della morte in un disco di una potenza inestimabile, dialogo con se stesso e con gli altri necessario per scendere agli inferi e tornare vivo per raccontarlo

La morte è sempre argomento di dibattito: c'è chi la rispetta, chi la beffeggia, chi la teme, chi la attende, chi la esorcizza. Una cosa è certa, parlare di morte, oggi come ieri, avvicina le persone a quella che è la loro vera natura: esseri viventi destinati a un inizio e a una fine. E visto che nessuno è mai tornato per raccontarlo, la condivisione, l'esternare il proprio pensiero su questo avvenimento è veramente qualcosa di comunitario e in qualche modo democratico.

Nitro ha definito "Suicidol" un album che parla di morte e come tale dovrebbe far discutere. Come la famiglia Bundren, in "As I Lay Dying" di Faulkner, che sconvolta dalla morte di Addie (moglie e madre) intraprende un lungo viaggio per seppellire la donna nel posto da lei desiderato, così Nitro invita il suo ascoltatore a scendere giù, insieme a lui, in quel luogo dove il buio è affascinante e il lato oscuro ti sembra più interessante. È un viaggio meno concreto di quello dei Bundren che con la morte ci viaggiano di fianco, ma non per questo meno edificante. Dopotutto lo scopo è discuterne e il confronto può essere causa di malessere, di scontri, di odio, di invidia. Questo esce fuori nel lungo viaggio intrapreso dai Bundren ed esce fuori anche in "Suicidol".
Nitro riflette su tutto ciò a cui tiene di più. Si sfoga per le critiche ricevute dopo il primo disco ("Dead Body"), analizza il valore dato dalla rarità e non dalla bellezza ("Sassi e diamanti"), parla di amore, un amore cupo e sofferto, un amore arrivato dopo i pianti ("Pleasantville"), denuncia alcune cattive abitudini dei nostri tempi dove non riusciamo più a immaginare nulla perché ormai circondati solo da immagini e dove assottigliamo i nostri tratti pur di assomigliare agli altri ("L'oracolo di selfie"). E poi parla della sua vita, e qui si scende davvero negli inferi.
Nitro è totalmente sincero, ed è anche uno specchio in cui ognuno può riflettersi: "qui dicono che sono un montato e pure un coglione quando sono sempre stato un complessato in depressione che odia ogni sua canzone, la prossima anche peggiore perché il frutto del malessere è il malessere maggiore". "Storia di un defunto artista" è la scalata finale verso la totale onestà con se stessi, un'onestà che toglie le energie e si esaurisce quando non abbiamo più risposte da dare e non resta che lasciare irrisolti i punti di domanda rimasti: "l'unica donna che ho amato non vuole stare con me, mi ha definito un pervertito che è impazzito col rap e ha preferito un fallito di una cover rock band, perché? Stronza mi devi dire perché? Non c'entrano le rime, voglio capire perché? Non uccidi chi si è ucciso da sé, che vuoi decidere se hanno sempre deciso per te?"

L'artista è nudo direbbe qualcuno, ma dopotutto il confronto con la morte è un confronto che non lascia scampo e quando ne parli e condividi i tuoi pensieri a voce alta è inevitabile esternare anche l'inconfessabile. La società è attratta dalla morte, sostiene Nitro spiegando il titolo del disco (nome nato dalla contrazione di suicide e idol), dove l'artista è apprezzato più da morto che da vivo perché la morte (magari prematura) incuriosisce più della stessa vita, rende tutto un po' più intrigante. Dunque la scrittura di Nitro è davvero intima e profonda, strutturata seguendo forme nuove, più vicine al racconto che alla classica struttura della canzone contemporanea e perfezionando quell'incrocio con il suo lato rocker già emerso nel suo primo lavoro: la prova migliore di ciò è sicuramente l'approccio al cantato, più sicuro e incisivo rispetto a "Danger". Allo stesso modo i producer che hanno lavorato all'album sono stati in grado di confezionare strumentali che rendono alla perfezione il mood legato al concept del disco: beat sinistri, cupi, aggressivi ("Stronzo" e "Dead Body" sono un pugno allo stomaco), fino ad arrivare alla perfezione di "Pleasentville" realizzata da Low Kidd, dove il campione di "Love In The City" di Lissie conferisce al pezzo quella vena di sofferenza e decadenza già percepibile dal testo.

Parlare di morte fortifica gli animi, ed ecco che come succede per i Bundren raccontati dallo scrittore americano, dove la morte e il confronto con essa porta ad un riavvicinamento di tutta la famiglia e a una pace interna mai provata prima, anche per Nitro succede lo stesso. L'ultima traccia di "Suicidol" si intitola "Rivivere", un colpo di scena che non può che diventare un nuovo punto di partenza.

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La recensione Suicidol di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2015-06-29 00:00:00

COMMENTI (1)

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  • brigu017 9 anni fa Rispondi

    Recensione che rispecchia a pieno Suicidol, disco di rara bellezza e profondità