Niagara Hyperocean 2016 - Sperimentale, Pop, Elettronica

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Un po’ di sana elettronica subacquea per ritrovare l’armonia placentare dei primordi.

Già ebbi modo di dire la mia sui Niagara nel 2014 in occasione dell’uscita di quel gran bel disco che fu “Don’t take it personally”, vero e proprio generatore di “musica frigida per emozioni calde”, giusto per autocitarmi al volo.
A distanza di un paio di anni me li ritrovo nel mio lettore con un progetto (il terzo per il duo torinese) che trasforma la musica frigida di cui sopra in un tripudio di pura liquidità atmosferica - sintetica nella forma ma naturale nella sostanza - in virtù di un recupero emotivo delle proprie origini “acquatiche” che si fanno, a questo giro, anche concettuali e sonore. Dunque l’acqua e l’acquaticità come componenti fondanti di questo concept che attingendo alla sorgente di vita per eccellenza costruisce una sorta di colonna sonora su misura per un mondo immaginario, pluridimensionale e cangiante, dove a farla da padrone è un assortimento di campionamenti subacquei registrati tramite idrofoni.

Insomma, un vero e proprio ritorno all’armonia placentare dei primordi cadenzato da uno spiedino di undici brani sperimentalmente sfiziosi e al contempo mediamente fruibili anche dai meno avvezzi all’elettronica, nonostante la riduzione ai minimi termini di quegli umori pop che caratterizzavano le precedenti produzioni di Gabriele Ottino e Davide Tomat (con la piacevole eccezione della semi-danzereccia “Escher Surfer”). Grazie anche al fattivo contributo di Paolo Scappazzoni alle percussioni il sound dei Niagara, rispetto al passato, massimizza la sua resa volumetrica, palesandosi concavo e convesso a seconda dei casi – esattamente come l’acqua – nel delineare un ambient mutevole e inafferrabile, a tratti allucinogeno, che procede per gemmazioni da un fertilissimo humus tardo-radioheadiano (“Fogdrops” e “Twin Horizon”): dentro ci troverete tanto il vecchio krautrock dei grandi padri squisitamente rivisitato (le derive cosmiche di “Firefly” e “Alfa 11”) quanto la (post)moderna e raffinata umbratilità di Lapalux e Nosaj Thing (“Mizu”, “Blackpool”) oltre a tutta una serie di ben più tormentati registri noisedelici (“Roger Water” in primis).

Un album di dinamico spessore, dunque, che incrementa ulteriormente il coefficiente di credibilità e autorevolezza internazionale della band, come del resto sta a testimoniare la prestigiosa benedizione di Deakin degli Animal Collective che ha realizzato per loro un super remix della già di per sé impattante title track.

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La recensione Hyperocean di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2016-07-08 10:00:00

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