Lineaviola Maledetto Copernico 2004 - Crossover, Nu-Metal

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Quando nella seconda metà degli anni ’80 e inizio ‘90 (grazie a bands storiche come RunDMC, Fear, Faith No More, Rage Against The Machine) prese corpo per la prima volta quello che poi sarebbe stato etichettato dai più come “Crossover” già ne avremmo potuto profetizzare la drammatica implosione qualora avesse finito per amoreggiare – come prevedibilmente è accaduto negli anni a venire – con le frange estreme del metal; ne avremmo potuto addirittura profetizzare un inevitabile “punto di non ritorno”, poi raggiunto effettivamente a colpi di cannibalesche destrutturazioni da gente comeKorn, Sistem Of A Down e tutta la compagnia bella del cosiddetto Nu-Metal.

Così è stato, e le cronache musicali sembrano darcene atto. Per quanto possano essere molteplici le anime che confluiscono all’interno di questa formula sonora – black metal, funky, punk-core, psichedelia, rock, rap ecc. – rimane pur sempre l’immodificabilità genetica della sua matrice melodica portante, archetipo ossessivo e dannatamente pervasivo per tutti coloro che vogliano suonare, appunto, Nu-Metal (chiamatelo pure “Crossover post-moderno” se più vi aggrada)
Ad oggi non ci sono più vie di fuga sonore laddove si voglia piegare gli strumenti, voce compresa, all’oltranzismo preconfezionato di uno schema musicale che vuol vestire di musica la rabbia; venticinque anni or sono il punk riuscì a rinnovarsi nella cupezza melodica del dark mentre adesso, purtroppo, il Nu-Metal si ciba drammaticamente di se stesso! I Lineaviola non fanno eccezione: il loro “Maledetto Copernico” – uscito per la neonata Zeta Promotion – è un giocattolino esteticamente perfetto che al suo interno nasconde però vecchi meccanismi arrugginiti. Quattordici tracce che viaggiano – chi più chi meno – sulla stessa frequenza d’onda, salvo estemporanee incursioni nei territori dell’elettronica (come accade in Portavoce, nella strumentale Quando la terra non girava e nella quasi-dance Urlo digitale), in quelli dell’etno-rock (si ascolti Residui, tra dimenar di voci e intrecci strumentali) o in quelli appena percepibili del reggae, seppur sfigurato e annichilito da sismiche chitarre (come nella schizofrenica Asylum).

Tanto di cappello all’infaticabile gioco di squadra della band Emiliana, precisa e virtuosa quanto basta per tener testa alle difficoltà stilistiche di un siffatto percorso musicale, ma con la drammatica consapevolezza che – per quanto siano potenti i grooves della sezione ritmica, per quanto devastanti le esplosioni di chitarra e suggestivi gli armonici a contrasto, per quanto velenose le voci nel gridare parole di rabbia e inquietudine – tutto profuma di già sentito (e di già suonato!), ben inteso, nonostante il crescente favore del pubblico verso forme di rock sempre più abrasivo e destrutturato.

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La recensione Maledetto Copernico di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2004-11-24 00:00:00

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