The Basquiats Blinding Lights 2017 - Stoner, Rock, Hard Rock

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Un bel disco di rock, come se ne sentono pochi recentemente

“Quando metto un disco nel lettore, è sempre un disco che puzza di elettricità, è più forte di me”

Quanti si ritrovano in questa affermazione di Giorgio Canali, non faranno certamente fatica ad immergersi nel primo, energico lavoro dei The Basquiats. La band siciliana, capitanata da Mario Ferrera (voce e chitarra), mostra un vigore e una determinazione che, tante volte, manca alle band di oggi. Animati dal fuoco sacro del rock, come il Mjöllnir di Thor, colpiscono e abbattono tutto ciò che gli si para davanti. E l’incudine non poteva che essere la mediocre e scialba vita della provincia, la realtà contro cui combatti dal giorno in cui nasci, per allontanarti quanto più possibile dal grigiore, dallo sconforto insito nelle azioni abitudinarie e nelle macerie interiori che solo l’amore lascia. Nasce, quindi, da qui questo progetto, dalla voglia di distruggere questa gabbia e per farlo non potevano che affidarsi all’arma più potente della musica: il rock. Quello verace, suonato, quello dal sound poderoso e mastodontico.

A partire dall’”Intro” si intuisce già che saranno venti di guerra ad imperversare e a sferzare l’ascoltatore. Il sound diventa sempre più impetuoso. Dall’inizio, calmo e arpeggiato, si passa alle chitarre distorte, alla batteria sempre più scalpitante. Il campo di battaglia è pronto, possono iniziare le ostilità. E di fatto con il secondo pezzo, “Jackals in Disguise”, il combattimento è già avviato (“just mercenaries assaulting nations in the name of freedom”, “my brain against your gun”). Il drumming è quanto mai sostenuto, il suono si fa sempre più belligerante e le chitarre, molto Queens of The Stone Age nei fraseggi, sputano fiamme a ripetizione. È bellissimo, poi, poco prima dell’assolo, il dialogo chitarre – batteria, che sembra riprodurre il suono di un elicottero (Pink Floyd docent). Nel secondo brano i The Basquiats si trasformano in Guns and Roses, ma con alla batteria John Bohnam. Questa volta il bersaglio sono le intelligenze artificiali, quelle di cui ci circondiamo tutti i giorni e che ci inghiottono (“televisions mesmerize”, “our screens are big black holes”) e ci hanno trasformato inesorabilmente, senza che ce ne accorgessimo in robot (“we have turned somehow into cyborgs how could this happen?”). Si sa, quando sei in mezzo ad un conflitto non puoi indietreggiare, e così il cupo suono del basso ci introduce in “Control”, altro pezzo energico, dove il tema principale è il rapporto tra un uomo e una donna, con il primo che esprime tutto il suo distacco, in alcuni casi disprezzo e disperazione, verso la donna un tempo amata. E questo odi et amo trova risposte convincenti nella struttura del brano, il quale, trasmette bene questo senso di inquietudine. Si passa dal coretto quasi parrocchiale della strofa al breve finale screamo. Seguendo questo sentiero polveroso si giunge ad un altro brano dove, ancora una volta, ci troviamo di fronte ad una battaglia nella battaglia. Ovviamente stiamo parlando dell’amore, che non miete meno vittime, in maniera del tutto metaforica, delle guerre. Ed è curioso come il ritornello del brano, “Alive Again”, abbia quel quid di “Alive” dei Pearl Jam. Il pezzo che da il nome al lavoro della band siciliana, “Sparks and Blinding Lights”, è ancora un racconto di una storia, probabilmente burrascosa ma allo stesso tempo eccitante (“you spin me round you throw me down down on my knees”, “i'm crawling on the warmth of your wet skin,we fill ourselves with joy and adrenaline”), che sotto il profilo musicale si allinea ai pezzi precedenti. È palese, d’altronde, seppur in minima dose, la presenza di tratti stilistici tipici dei Foo Fighters. Stilemi che sembrano ben assimilati in “Won't Fade Away”, il pezzo che vuole essere senza ombra di dubbio, l’inno della band, la dichiarazione d’intenti (o di guerra) di cinque ragazzi, che non hanno nessuna intenzione di arrendersi e che, se dovessero morire, come l’araba fenice, risorgeranno dalle loro ceneri (“but if i will fall i'll rise and i’ll surrender when i'll die”). Questa vita, in fondo, è solo una e non c’è altro tempo da perdere e loro lo sanno. Lo sanno bene e lo urlano, se lo ripetono tante volte quante sono state le delusioni. E se il destino è crudele, non c’è altra soluzione che iniziare a combattere e loro lo stanno già facendo.

Diciamoci la verità, siamo davanti ad un bel disco, ben suonato e altrettanto ben missato. Jean-Micheal Basquiat, tra i massimi esponenti del Graffitismo, definiva il suo stile, così semplice e diretto, come “analfabetismo artistico”. “Blinding Lights” nella sua genuina ruvidezza, nella sua così semplice ma innegabile compatezza, può rientrare in questa forma di “analfabetismo” (… sia chiaro, analfabetismo qui è tutt’altro che un accezione negativa). Sicuramente è un disco che non cambierà le sorti della musica, né del rock. Chi non ama l’hard rock, preferendo sinuose melodie e ritornelli singalong, certamente non potrà apprezzarlo, eppure, basta avere le orecchie sgombre da idee preconcette per capire quanto di buono c’è qui dentro. In un’epoca in cui fare musica è sinonimo di campionatori e Mac, chi, con audacia, preferisce “suonarla” (la musica) ha già vinto. Ed è proprio quello che stanno tentando di fare i The Basquiats: vincere.

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La recensione Blinding Lights di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2017-11-02 00:00:00

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