Portal Way s/t 2005 - Strumentale, Progressive, Metal

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Aromi jazz (pochi in verità), medievali, progressive e hard rock. È un bel pastrocchio il demo dei Portal way. Che, più che riferirsi a qualche band ed ergerla a propria guida musicale, copiaincollano allegramente attingendo a destra e a manca, rimontando – a volte ottimamente, a volte senza criterio alcuno – le più disparate tessere sonore tratte qua e là. Dunque partiamo. Jethro Tull per il gusto medievale (così come i King Crimson), Emerson, Lake & Palmer per i passi pseudo-ampollosi e classicheggianti. A ciò sono da aggiungere le tastiere e i synth rubati a Claudio Simonetti e ai suoi Goblin, gli scatenati solo di chitarra – oltre ai cambi ritmici - pari pari a quelli di San John Petrucci (o ai Liquid tension, che è la stessa cosa). Oltre ad un impianto che è quello delle colonne sonore o comunque delle suite musicali più che della forma canzone popolare. Senza voler considerare alcuni passi che sfiorano il kitch tipicamente stile-Europe (ascoltare “Portal way” per credere), ed altri innumerevoli trapianti musicali (Pink Floyd, Black Sabbath, Iron Maiden: c’è di tutto, troppo) c’è da dire che il quartetto riesce, a tratti, a rapirti. Ma non lo fa in profondità: le melodie ti rapiscono come ti prenderebbe la colonna sonora del mitico videogame Lotus. Ricordate le irripetibili corse in autostrada con l’Amiga 500 e sotto, a far da sfondo, quelle colonne sonore straordinarie (per l’epoca)? Beh, il senso è quello. Perché un montaggio simile, oggi, nel 2005, può aver senso solo se letto – fuor di riferimento e tornando ai Portal way – in una prospettiva decisamente nostalgico-celebrativa. Per il resto, se si propone di dire qualcosa di nuovo o anche solo di divertire, sbaglia strada. Di nuovo c’è lo zero assoluto e se devo divertirmi metto in play “In the court of the Crimson king” o “Tarkus”. Intendiamoci: presi singolarmente, i componenti sanno il fatto loro. Il problema sta nel senso della proposta, che fuori dai festival celebrativi o di tributo a questa o quella band risulta davvero oscuro. Il giudizio quindi sta a metà strada: un impasto (a tratti impiastro sfacciato, visto che poi, alla fine, i riferimenti dei Portal way spaziano anche al di fuori del prog-rock) sonoro che non sfigura – sebbene a tratti pecchi di onnipotenza -, sebbene abbia poco da dire in quanto a novità, originalità, freschezza. Sembra di tornar indietro – e magari lo si fa anche con piacere – di trent’anni anni e anche più. Rimane appunto il dubbio sull’utilità di una produzione di questo tipo: il prog-rock era l’avanguardia fino alla metà degli anni ’70. Il “Canterbury sound”, che fondeva classica e jazz, folk e rock, primissimi bagliori elettronici ed improvvisazione, rianimava – o reinterpretava – il rock psichedelico e melodico dandogli l’ultima spinta vitale prima dell’avvento del punk e, per altri verso, dell’hard-rock. Ora non serve, e quasi irrita ascoltarne riproposizioni così sterili, sebbene possa far piacere tuffarsi in qualche polverosa eco anglosassone. Ma se proprio dobbiamo ributtarci in quel periodo, non andiamo certo a prendere un disco dei Portal way.

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La recensione s/t di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-07-01 00:00:00

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