Pixel [Campania] Fiori 2005 - Rock, Industrial, Elettronica

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Si, lo so. Il concept-album è morto e sepolto. Forse non è mai esistito, ad eccezione di sporadici esperimenti. Poi oggi, col digitale, non ha più senso nemmeno parlarne. Ogni pezzo ha una storia a sé stante. Allora dirò – più diplomaticamente - che "Fiori" ha una linea portante talmente corpulenta da non poter essere elusa in alcun modo. Più che dare un concetto, è un lavoro che fornisce un'interpretazione del mondo. È un disco che parla di disillusione, di amarezza, di condanna, di ricordi che scuotono la lingua e il cervello, di "luridi sorrisi". È un disco giustamente arrabbiato, a tratti devastante, nervoso, che sintetizza momenti di vita consumati e logoranti. I sedici pezzi – tanti -, legati non a caso l'un l'altro, disegnano un'interpretazione disincantata, cinica, fumosa e metallica del reale.

"Traccia zero" è un'elegia messa in musica: cadente, incalzante, ben architettata. "L'infezione" si rifà al Bluvertigo-style, anche nel cantato, per poi decollare verso un rockeggiante sempre ben alternato alla strofa pseudo-electro. Bello il bridge: un fitto affastellarsi di brusii che sfociano nell'inciso. "Non ci sei più" è programmatica: c'è dentro tutta la pop-wave degli eighties, e però non è riproposizione sterile e morta: rapisce, balli, canti. Synth a tutto spiano, chitarrone taglienti che però sono, come dire, estratte da ben altro periodo (cronologicamente un po' più vicino a noi), outro mefistofelici.

Com'è chiaro l'intero disco – forse un po' troppo lungo – continua sulla stessa linea di rivisitazione possente, magari ridondante per chi quegli anni li ha vissuti a fondo, di una certa indole new wave ormai decotta ma sempre efficace. Anche se con qualche episodio scadente ("Disconnettimi"). Però – qui sta la cifra del lavoro - ottimamente confezionata e sempre efficace, oltre che resa compatta da quell'intento di fondo accennato in esordio. Un approccio che, nella sintesi elettrica ottenuta dalla commistione di chitarre stile Nine inch nails e Live, trova un'onesta e pulita strada di far capire cosa siano stati gli anni '80 nei loro due sentieri principali ed assolutamente antitetici: quello plastificato e stucchevole – ma efficacissimo romantic – dei Duran Duran e quello fuligginoso, cinico e disincantato dei Cure, dei più synth-pop Depeche mode (da "Some great reward" in poi) e via elencando, non devo certo fare la lezione.

D'altronde ci sono stati diversi anni '80. Anche gli eighties della musica house, per dire. Ecco: nei Pixel si ritrovano – senza sfiorare, magicamente e nemmeno di un millimetro, il ridicolo – quasi tutti. Però proiettati, anche se non di molto, in avanti. Mica male. Una rivisitazione, infatti, che non può rimanere incolume dal quarto di secolo (musicalmente) trascorso. "Violet coma" – la linea melodica principale, soprattutto – è come ingoiare un disco della band di Robert Smith, per dire, unito ai più fighettoidi suoni elettro del momento. Anche "L'equilibrio" respira – col suo basso pulsante – l'atmosfera fuligginosa che tanti ha ammaliato nella tarda "nuova onda". Così fino al termine. La voce di Sabetti, però, è spesso troppo secca, inadatta, esile, fastidiosamente fuori tono. Tuttavia un dignitoso bignami – aggiornato via satellite – del decennio 1979-1989.

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La recensione Fiori di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2005-07-23 00:00:00

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