Diego Rivera Gran Riserva 2020 - Cantautoriale

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L'esordio di Carmine Tundo senza La Municipàl è una raccolta di brani che stanno a metà tra il Salento e il Messico. Un piccolo romanzo popolare ricco di sensazioni autentiche, citazionismo sincero e qualche -bellissimo- difetto.

Negli anni ’30 e ’40 Diego Rivera, nei suoi murales stracolmi di figure, raccontava il popolo. Il popolo messicano, il sogno dell’unione panamericana, gli operai della Ford. Ogni centimetro quadrato trasudava di affollamento umano, di amore e spavento. Il motivo per il quale Carmine Tundo –co-fondatore, insieme alla sorella Isabella, de La Municipàl- ha deciso di chiamare il suo nuovo progetto come il pittore messicano potrebbe non essere uno solo.

Gran Riserva è una raccolta di brani che è debitrice fino al midollo delle influenze sudamericane, che siano ritmiche, melodiche, o che si spingano fino alla citazione. Questo nuovo Diego Rivera non prende ispirazione dal mostro innamorato e molto idealizzato di Brunori, ma proprio dagli affreschi popolari. Non sappiamo se anche lui sia comunista e filo-rivoluzionario. Il suo Messico è il Salento, e la sua gente la racconta con piccole storie.

Il rischio del romanzo popolare è l’astrazione dei personaggi. Nei peggiori bar della provincia –il pezzo meno latino, ma più emblematico dell’intero album- riesce a sfuggire da questo pericolo, restituendo l’affresco solo a sprazzi, come visto col monocolo; attraverso mezzi aforismi, situazioni accennate, fa emergere esseri umani consumati e reali, veri Re Magi di paese. C’è tanto amore dentro Gran Riserva; un amore fatto di momenti separati e precisi. Da un mucchio di pensieri si passa alla carne, poi agli scontri, infine al vino, dove tutto finisce per galleggiare. Si vede chiaramente ogni sentimento che si esaurisce, dopo aver fatto il suo corso.

Ma l’efficacia del romanzo popolare è tale perché non nasconde la cultura da cui deriva, anzi esalta ogni derivazione, affinché tutti possano riconoscervisi dentro. Non ci sono non detti, e per questo ogni rimando è sincero e dichiarato: il Capossela più spensierato dell’inizio degli anni ’90, Mannarino, il primo De Andrè, ma anche cavalcate morriconiane da spaghetti western. Sta tutto lì, chiaro e tondo davanti agli occhi di tutti, sotto il sole e l’odore di Santa Maria al Bagno, quando i turisti sono troppi, e la spiaggia un inferno.

Gran Riserva è un disco strano. Senz’altro folk, e radicato in una terra conosciuta e amata. Senz’altro breve, ma con tempi pensati; pieno di intermezzi che voltano pagina da un capitolo all’altro. Senz’altro con più di un –bellissimo?- difetto, ma con una circolarità rassicurante; si chiude con un titolo che fa rima col primo. È un disco che sa di tanto.

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La recensione Gran Riserva di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2020-12-18 00:46:00

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