Caparezza Habemus Capa 2006 - Hip-Hop

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Parliamo di un disco in cui si parla.

Del più e soprattutto del meno, come quando si incontra una persona che non si vede da tempo e per superare l'imbarazzo si parla del tempo, poi della politica, delle mezze stagioni e della tivù, dei luoghi comuni che se sono luoghi e sono comuni un loro perchè ce l'avranno.

Parliamo della gente, analizzandola al microscopio: quello che non ha mai votato chè tanto non cambia un cazzo e poi, orgoglioso, vota Mascia al Grande Fratello; o lei che l'ha sposato perchè ha i soldi e lui ha l'amante e del resto è così che va il mondo.

Così va il mondo, tutti lo sanno, tutti lo fanno, qualcuno si prende la briga di dirlo, di provare a raccontarlo. C'è modo e modo e Michele Salvemini da Molfetta, nel mezzo del cammin di sua seconda vita, sceglie una via di mezzo tra il j'accuse e l'allegoria, un calderone grasso e grosso in cui ci si perde di continuo tra rime incredibili, giochi di parole degni di un Bartezzaghi e citazioni che proprio non te lo saresti aspettato.

Caparezza non sa nulla più del suo ascoltatore, non ha (più) verità supposte, ma riesce, come direbbe Luttazzi, a unire una buona memoria a un punto di vista e come lui ha una mitraglia al posto della lingua: non ne possiede la sottigliezza, questo è sicuro, ma quella è appannaggio degli intellettuali, la lascia volentieri a Frankie, lui si occupa della grana grossa, della materia grezza, delle macchie oleose che stanno in superficie e si mostrano in tutto il loro schifo untuoso. Potere alla parola anche quando l'uno e l'altra passano nelle mani sbagliate e ci si trova come tori possenti ma impotenti di fronte alla furbizia di matador senza scrupoli o potenziali merci nelle mire di astuti commercianti.

Parla con il senno di chi è già stato fregato, Caparezza, e con il narcisismo di chi ha capito che risorgere è possibile e che per togliere i sassi tanto vale cavarsi anche le scarpe.

Non sempre va a segno e forse la carne al fuoco è un po' troppa, ma stupisce, travolge e coinvolge con un impasto musicale sodo e assai piacevole all'ascolto: i suoni sono quelli dell'album precedente (la produzione è la stessa), ma qui si osa di più in atmosfere da Carmina Burana, rock cattivello, basi fantasiose e cori impertinenti.

Un disco che non fa sconti, che si guarda bene dalla ricerca del tormentone e che, sicuramente, piacerà a molti. Ma non a troppi.

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La recensione Habemus Capa di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2006-05-06 00:00:00

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