Betularia La stanza di ardesia 2007 - Rock, New-Wave, Dark

La stanza di ardesia precedente precedente

Per dirla con Jackie Treehorn di "The Big Lebowski", il cervello è la più vasta zona erogena dell'uomo. Quindi per me ben venga una certa tipologia di testi che ecciti i neuroni, costringendoli a piacevoli iperboli stilistiche in lingua madre. Il full-lenght “La stanza di ardesia”, registrato presso il Modulo Studio di Cuneo e prodotto artisticamente da Riccardo Parravicini col supporto esterno di Gianni Maroccolo, arriva dopo quattro autoproduzioni ed è la fioritura di quei primi semi, presi dritti dritti dalla balla di juta della new wave anni '80 e dal songwriting alla Cristiano Godano, con spolveratine di Giovanni Lindo Ferretti e Paolo Benvegnù su metriche e scelte semantiche. Sicché mi piace. Ma qual è il raccolto vero di Simone Turchi e dei suoi Betularia nel loro esordio ufficiale, al di là dell'immediata e formidabile suggestione d'ascolto, al di là della potenza evocativa cui mira quando trascina nella sua cavalcata onirica, scura ed elegante? Dopo cioè, quando conta, quando gli schiaffi sono finiti e resta il rossore sulla guancia e vedi davvero quanto male le mani avevano fatto. Quando il disco decanta nel lettore e deve dimostrare che anche dopo ascolti di giorni, ad orari diversi, in mezzo a quotidiano e menate, c'è e convince compatto.

Undici atti unici più una dodicesima breve riflessione che mi convincono ad intermittenza. Dodici camere oscure. Cerco la foto che ne uscirà. Affiatati, raffinati, belli tecnicamente, maturi per architetture, gusto compositivo ed arrangiamenti, con linee di chitarra che danzano insieme a synth e tastiere, solide partiture di batteria (specie nel mio pezzo preferito, "Ferro vecchio", il miglior esempio in tutto l'album di declinazione personale delle lezioni imparate insieme a "La calma e l'immenso"), basso presente e corposo per la gioia di un Maroccolo sornione. In questo i Betularia cercano e a tratti trovano una propria identità. Ma ancora non rischiano davvero. Meno convincenti e più artigiani infatti quando la scuola dei precursori italici (e non solo, si strizza l'occhio anche ai Cure e ad una certa darkwave in stile Projekt records di Brooklyn) torna imperante e non personalmente interpretata ("Un certo sentore", molto bella, sì e pure "fedele alla linea"). La voce poi, di timbro morbido ed alto, perde però se dilatata, correndo il rischio di stancare, meglio quindi se usata come nell'intro di "La quiete di ora", più graffiante e sicuramente personale.

Mi fido della scienza quando dice che la Betularia, la "geometra delle betulle", è un caso assoluto di mutante in atto. Gioia di farfalla che s'evolve sotto gli occhi del fu Darwin e negli anni muta colore da chiaro a scuro, per meglio mimetizzarsi in un mondo di betulle annerite da fuliggine e inquinamento. Mi fido. E aspetto la nuova farfalla livornese. Mimetica sì ma pure distinta dal tronco.

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La recensione La stanza di ardesia di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2008-02-11 00:00:00

COMMENTI (2)

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  • utente0 16 anni fa Rispondi

    .....il disco suona e suona bene...benissimo! secondo me La stanza di Ardesia ti lascia lbero...libero di ascoltare,immaginare,sentire tutto cio' che ti passa per la mente per il corpo. E'cosi' ARDESIA.....come scrivere liberi..scrivere e cancellare proprio come su di una lavagna!! grandi BETULARIA!|

  • utente0 16 anni fa Rispondi

    Uhmm... non sono daccordo che un disco debba per forza superare la prova degli ascolti a orari diversi per convincere. Ci sono dischi che amo totalmente, che ad esempio non ascolterei mai alla mattina prima di andare a lavorare.