Zen Circus - Voglia di sangue

Con "La terza guerra mondiale" gli Zen Circus provano a immaginarsi cosa succederebbe se la guerra arrivasse davvero: non sapremmo a chi sparare, ma in compenso potremmo fare delle belle foto alle macerie

Zen Circus
Zen Circus - tutte le foto sono di Cosimo Nesca

Arrivano in redazione con una torta Sacher vegana, e la nostra intervista prende subito i contorni di un pic nic. Ci raccontano di come percepiscano la violenza sui social e di come la guerra sia già qui, anche se non si sa bene a chi sparare. Lo sguardo è preoccupato sugli italiani violenti e razzisti, sulla difficoltà di essere un adolescente oggi, perennemente bombardato dalle cose del mondo. Ovviamente c'è spazio anche per i leitmotiv, come la provincia, o per i racconti divertenti. Karim, Ufo e Appino raccontano le loro previsioni per "La terza guerra mondiale". Intanto stasera gli Zen Circus suoneranno in uno speciale live all'interno del programma Rock'n'roll Circus di Radio2. Potete ascoltarli qui.

Partiamo da una domanda semplice: di che cosa parla il nuovo disco?
(Silenzio)

Ve lo chiedo perché la volta scorsa vi avevamo chiesto “Per due dischi avete raccontato quanto la vita sia una merda e come l'uomo sia solo capace di piangersi addosso. Adesso ci aggiungete che gli animali si uniscono per annientarci e che Dio si fa vivo per dirci che la vita non ha senso. Nel prossimo descrivete una guerra nucleare?”. Avevamo indovinato?
Ufo: Profeti in patria! Quell'intervista fa morire dalle risate, l'ho riletta l'altro giorno.
Appino: Non era previsto, ma forse siamo diventati prevedibili.
U: Boia che brutta cosa. Ci avevate indovinato in quel senso, forse ci conosciamo da un po' troppo (ride). C'è una certa escalation nei termini, poi in “La terza guerra mondiale” bisognava andare per forza a livello globale. Ma d'altro canto il disco ha anche una traccia e una sottotraccia. La guerra mondiale è evocata dalla copertina, quindi l'interpretazione più didascalica è immediata. Poi c'è anche un fatto di guerra mondiale intima.
Karim: C'è da dire che dal 2014 al 2016 nonostante siano passati solamente due anni le cose sono cambiate dal punto di vista sociale e collettivo in modo esponenziale.
U: Sono peggiorate.



Cosa intendete esattamente con "peggiorate"?
K: Innanzitutto il progresso tecnologico è entrato nella collettività, nei rapporti interpersonali e nel modo in cui viviamo le nostre vite in maniera invasiva. È innegabile come sia cambiata la percezione di noi stessi a livello non più soggettivo ma oggettivo, perché i social come Facebook e Twitter ti portano ad oggettivare la tua persona. Chiunque può accedere alle tue sensazioni, al tuo modo di essere empatico con gli altri.
U: Anche la disponibilità sempre maggiore di tecnologie. Dicevamo della sottotraccia intima, della guerra anche di identità. L'andamento puntiforme che ha preso la coscienza delle persone, a causa della progressiva integrazione nostra con le macchine e con certe piattaforme sociali, ha creato una guerra anche personale. A volte sei in guerra col tuo avatar, con la rappresentazione che hai di te. Siamo tormentati da un doppelganger di noi.
A: Comunque la terza guerra mondiale è anche una provocazione perché si percepisce così tanto la voglia di sangue, di calci in culo, di violenza, spesso virtuale, perché i luoghi dove rimane la violenza fisica in Italia sono la famiglia e lo stadio. Mentre nel virtuale c'è una voglia di sangue incredibile, di mandare via, non parlo solo di immigrazione, parlo in generale di processi di piazza: "ci vorrebbe la guerra, ci vorrebbe il duce". Noi ci siamo immaginati un disco che non parla solo di guerra naturalmente, però abbiamo pensato: allora se viene la guerra domani che succede? A chi devo sparare?

“Una guerra mondiale ancora, una vera e non su una tastiera”.
A: Da tante generazioni ci siamo dimenticati cosa voglia dire avere la guerra in casa, un cadavere accanto o non avere da mangiare, c'è chi lo sta sperimentando oggi e non per fare discorsi del cazzo, ma...
U: ...ma c'è una delega della catastrofe, il terzo mondo tra le varie materie prime che produce ha anche la catastrofe, che è anche quella una materia prima che viene elaborata da noi e poi utilizzata come materia di scambio.
K: Sì, poi i due pezzi che rappresentano meglio questi concetti sono proprio la title track e “Zingara”.

A proposito di “Zingara”: è un ritratto abbastanza fedele e spietato di una fetta di Italia che guarda con cinismo e spavento al diverso.
A: Più che fedele! Venerdì uscirà il video e si capirà, perché la prima parte non l'ho scritta io, ma sono commenti di Youtube. Dovremo dare almeno il 50% dei dritti al popolo italiano.
K: È il primo testo scritto dagli italiani!



Di primo acchitto veder spiattellato così il peggio del peggio di quello che succede in Italia, ci è sembrato un modo di trattare l'argomento un po' cheap, fin troppo cafone. Il rischio non è che sembriate voi quelli populisti?
U: È lì che voglio vedere il cortocircuito. Esplicitandolo col video la gente la faremo guardare allo specchio.
A: "Zingara" ha un ruolo, che è quello di far schifo. Serve a spiegare la violenza, un concetto integrante del disco. Probabilmente non servirà a niente, ma è una cartolina fedele.
K: Se noi avessimo fatto un testo con le nostre mani, con lo spiegone, il merdone pestato sarebbe stato enorme. Poteva essere moooolto più grezza, considerando il livello dei commenti che abbiamo trovato in giro. Secondo me certe persone quando fanno così non se ne rendono neanche conto, bisogna che si rileggano. È un discorso di probabilità, non è che sono tutti di estrema destra, anche gente come noi che a un certo punto gli si chiude la vena.
A: Il razzismo poi in Italia è fantastico perché nessuno parla più dei cinesi.

Forse perché piano piano ci stiamo abituando? 
A: Esatto. Come funziona la nostra mentalità? Funziona che dei soldi dei cinesi non ne parliamo mai, anche se evadono talmente tanto le tasse che potresti costruirci centinaia di campi rom. Mentre per noi o sei razzista fino in fondo o niente. Via anche i cinesi (ride).
K: O l'Italia agli italiani davvero o nulla. Non è che siccome hanno comprato il Milan...
A: In realtà stanno comprando ¾ di questo paese, e non gliene è mai fregato un cazzo di integrarsi.
K: C'è classismo anche nel razzismo, e il 90% delle persone non ha idea della differenza che c'è tra sinti, rom e camminanti.
A: Comunque a me stanno simpatici i cinesi e anche gli zingari.
U: Dai, gli zingari sai benissimo che stanno sul cazzo a tutti.
A: l'idea era di fare un pezzo su qualcuno che sta sul cazzo a tutti. Ci spiace che abbiamo dovuto tagliare un campione tratto da "Zingara" della Zanicchi all'inizio del pezzo per una questione di diritti, perché l'idea era di accostare come si parlava della zingara in quella canzone.



"Volevo fare una comune / con le mie amiche ed i miei amici / in un grande casolare / qualche anno dopo ci ho provato / ma non è andata un granché bene". Questa storia è vera? Ci racconti com'è andata?
A: Sì assolutamente, volevo fare una comune con amici e amiche e anche che fosse comune l'amore. Ci ho provato, ero l'unico coglione che ci credeva. Questa cosa è proseguita negli anni, ma ho capito che ci voleva un background psicologico diverso. I miei mi hanno cresciuto permettendomi di fare un po' quello che cazzo volevo, ma questo non vale per tutti. Io continuo a crederci, infatti sono solo a 38 anni. Felicemente eh. 

Qual è il ricordo più bello della vostra adolescenza?
A: Io suonare, prime prove, primi concerti, la prima versione degli Zen nel '94. Non eravamo noi tre ma c'erano altri ragazzi, ma è il mio ricordo più bello, insieme agli amici, una banda di disadattati che mi ha veramente salvato la vita.
U: La mia adolescenza l'ho passata in un paesino sul mare in una situazione un po' alla Stand By Me, è un ricordo stupendo. Eravamo tutelati, quasi protetti dall'essere appartati sul mare. Ci siamo sviluppati insieme, ragazzi e ragazze, in una maniera veramente aurea. Si andava a comprare il cocomero e mangiarlo sui fossi, sul lungomare a parlare con l'amico. Bello, veramente bello, una bolla che quando ha iniziato a rompersi...

Adesso è più difficile, per quei discorsi che facevamo, stare in un posto protetto. Siamo sempre raggiunti dall'informazione, dalle cose del mondo, anche chi sta nella provincia più nera.
(Annuiscono)
U: Non esiste più quella tregua che ti da la vita diciamo, noi non avevamo neanche il motorino, niente status simbol, ora è difficile immaginarselo. Chissà com'è difficile adesso essere adolescenti.
A: Io sono interessatissimo agli adolescenti di oggi. Dev'essere dura, non parlo da vecchio che dice che ai suoi tempi si stava meglio, dev'essere proprio dura essere adolescente oggi, anche essere una ragazzina, farsi le foto, postarle, confrontarsi....

E per te Karim?
K
: L'adolescenza è stato il periodo più brutto della mia vita, non ho un grande ricordo. 

Di chi è il testo di "Ilenia"?
A: È di Ilenia che non è Ilenia, il testo l'ha scritto lei, non vuole apparire con il suo nome vero. Quando ho letto quello che ha scritto mi sono reso conto che io non avrei mai potuto descrivere com'è essere adolescente o post adolescente nel 2016, l'ho letto e ho fatto un passo indietro. Il finale è la nostra risposta.

“Ogni movimento rivoluzionario è romantico, per definizione”, diceva Gramsci. Cosa c’è di romantico nelle piazze di “Ilenia”?
A: Assolutamente niente, la rivoluzione è un concetto che prevede una comunione e una disposizione a perdere delle cose. Devi essere disposto a stare con gli altri, a fare lunghe assemblee, organizzare, stare in piazza, stare con la gente, fare casino. Non è una cosa personale, è globale. La rivoluzione oggi è controllare i propri consumi, non mangio questo, non compro questo, faccio qualcosa nel mio piccolo per far stare meglio il mondo. Non c'è la coscienza di classe, cerchi il tuo spazio per vivere una vita che ti sembri migliore. Da Genova in poi le piazze servono solo per dare appoggio a qualcosa, commemorare o solidarizzare, è raro che arrivi una proposta dalla piazza.
U: Con la parcellizzazione della coscienza di sé si arriva a un certo punto che uno si ferma in quel perimetro lì. Senti cosa scrivevano nel pamphlet "Della misericordia dell'ambiente studentesco": "La critica radicale e la libera ricostruzione di tutti i comportamenti e i valori imposti dalla società alienata sono il suo programma massimo e la creatività liberata nella costruzione di tutti i momenti e gli avvenimenti della vita é la sola poesia che potrà riconoscere, la poesia fatta da tutti, l’inizio della festa rivoluzionaria. Le rivoluzioni proletarie saranno delle feste o non saranno affatto, perché la vita che esse annunciano sarà essa stessa creata all’insegna della festa. Il gioco è la ratio profonda di questa festa. Le sue uniche regole saranno: vivere senza tempo morto e godere senza ostacoli." Ti rendi conto che compromesso al ribasso che è diventata questa faccenda? Gli studenti volevano una specie di infanzia permanente, la liberazione della fantasia. Si richiedeva la liberazione dal lavoro, adesso siamo qui ad accattonarlo il lavoro.

video frame placeholder

Nel disco tornano spesso l’errore e lo sbaglio. “Sono io che ho sbagliato tutto”, “Siamo figli un po’ sbagliati”, “Sarà che dormo poco e ascolto musica sbagliata”, solo per citarne alcune. Cosa c’è di così affascinante negli errori?
A: Lo sai come funziona l'evoluzione del dna? Darwin ci insegna che l'evoluzione è partita da degli errori nella replica del dna. L'albinismo per esempio ha salvato certi animali, mentre altri stanno lì ad aspettare la morte come il gorilla di Barcellona. Gli orsi che abitavano nelle zone fredde quando sono diventati albini hanno vinto. Questo discorso è valido per un sacco di cose, quindi in realtà per evolversi è necessario l'errore utile. Nella musica anche, perché può succedere che salti una prova, non ti ricordi più gli accordi, fai un'altra nota e ti accorgi che è meglio. Poi c'è l'errore anche nelle relazioni umane, magari fai una cazzata e ti accorgi che la relazione in cui sei è a un vicolo cieco o invece è il tuo futuro. Quindi credo che gli errori siano importantissimi e facciano parte di un'altra questione importante che è la curiosità, se sei curioso fai un po' di cazzate.

"San Salvario" è la nuova “Vecchi senza esperienza”?
A: Potrebbe. È stata scritta lì, dopo una giornata particolare, è un luogo che nella nostra vita è tornato spessissimo, io ci ho anche abitato quando non era un quartiere ganzo. Ci fa ridere perché c'è Orace Kebab, che è un kebabbaro che è lì da una vita e quando entri ti fa “Ehi negro”.
U: Sì lui maltratta i clienti italiani, ti chiede cose tipo “Lo mangi qui o lo porti al tu' paese?”. Questo pezzo l'abbiamo infilato all'ultimo nel disco, di volata, mi ha chiamato lui e mi ha detto che l'aveva scritta e io l'ho sottoscritta ancora prima di leggere il testo.
A: Era il periodo in cui ci avevano detto di aggiornare la nostra biografia, che ora noi siamo anziani, ci vorrebbe un biografo come facevano nel west. Lo sapevi che i più grandi fuorilegge avevano al seguito il biografo ufficiale? Perché non sapevano scrivere e dovevano lasciare la leggenda. A un certo punto l'ufficio stampa voleva la biografia aggiornata, la nostra era ferma al 2006, quindi mi sono detto: porca puttana, sono passati 10 anni e sto qui a fare mela+c, mela+v e quindi mi è partito “L'esperienza accumulata è un copia-incolla ed invia”.



Da “Emilia Paranoica” a “Pisa merda”. Cosa c’è in mezzo?
A: Il titolo è nato a San Salvario da Orace Kebab (ridono). Eravamo con Molteni (Enrico de La Tempesta, Ndr), e si stavano tirando fuori vari titoli del disco, quando lui ubriaco ha detto “Chiamatelo Pisa merda”. E giù risate, ma poi se l'è ritrovato davvero nella tracklist.
U: Il fatto è che se sei di Pisa lo sai già che la gente pensa “Merda”.
A: Ci hanno urlato Pisa Merda addirittura in Tasmania.
U: È una cosa precipua che non puoi fartela sfuggire. A parte che è registrato alla SIAE, che è una cosa bellissima.
A: Noi abbiamo registrato alla SIAE “Andate tutti affanculo”, “Pisa Merda”, “Figlio di puttana”... (ridono)
U: E insomma tanto ai concerti ce lo gridano sempre, quindi tanto vale, almeno così sembra che chiamino un pezzo.
A: Comunque è ovviamente una canzone sulla provincia, che è uno dei nostri leitmotiv. Ognuno ha i suoi, c'è chi si occupa di amore, quello che si occupano del demonio, noi ci occupiamo di questo. Non è esattamente il luogo più bello del mondo. Io sono stato fermo, senza far concerti, per 5 mesi a Livorno, che è una città che adoro, l'ho scelta e non la lascerò mai, è molto più provinciale di Pisa perché non c'è l'università e il porto è prevalentemente commerciale. Stando questi mesi a casa a un certo punto non ne potevo più. Il primo periodo ero contento, andavo al mare, però posso dire che vivo lì e sono provinciale solo perché faccio il mestiere che faccio, se non facessi quello probabilmente abiterei a Milano.
U: In realtà è una delle nostre ossessioni perché noi siamo sempre in giro e una cosa che ci diciamo sempre è che più si gira meno si capisce la provincia. Io abito a Forlì da 5 anni, e la visione della provincia è completamente diversa dalla Toscana o dalla Sardegna, lì è glorificata, è rassicurante.
A: In alcune zone, come in Emilia, la provincia viene idealizzata come un valore, racchiude la bellezza. Però Ufo una volta ebbe a dire una cosa molto intelligente: “La provincia ci ha donato Cesare Pavese ma anche i sassi dal cavalcavia”.
U: insomma sono 15 anni che ne parliamo ma non è che la capiamo più di prima, anzi.

Quindi la provincia crea dipendenza se non ci sei nato non puoi capire. Mi dite una cosa bellissima e una bruttissima di stare in provincia?
A: Bellissimo il luogo. Ci sono meno esseri umani, più tempo per pensare e il vento che ti passa nel cervello. Una cosa bruttissima è che ci sono sempre le stesse persone, che per me è orrendo.
K: La dimensione umana cambia in provincia. Quando ci sono sempre le stesse persone da un punto di vista sociale si creano delle dinamiche ripetitive.
A: È come quando si scopa tra cugini, nascono figli malati. Ci vogliono idee nuove, qualcuno che crei freschezza.

Chi è il protagonista di "Non voglio ballare"?
(indicano Appino)
K: Anche se è riuscito a oggettivare bene.

Quindi sei tu che non credi più alla socialità e alla collettività?
A: Lo spunto viene da una relazione personale, quella parte del testo viene dal fatto che ragionavamo tantissimo di politica, di socialità, e non so se ci credo più tanto. Una delle caratteristiche degli Zen è che quando scriviamo vengono fuori anche delle cose che neanche sappiamo di provare, che confideremmo solo a un amico. Per esempio quando parlo di riprendere a drogarsi a 38 anni, non lo farò, però è come parlerei con un amico.

Come si inserisce nel pezzo il riferimento al conte Mascetti e allo scrutinio del 2013?
(ridono)
A: Ero con qualcuno e stavamo guardando lo scrutinio, e quando venne fuori il nome del Conte dissi che avrei voluto votare Mascetti per l'eternità, a ogni elezione.
U: È uno dei nostri guru.

Esiste davvero il parroco di "L'anima non conta?"
A: Io l'ho visto un prete con un tatuaggio, ma non so cosa ci fosse scritto.

Quanto c'è di vero dunque?
A: Molto, è un collage di cose che sono realmente accadute come in tutte le nostre canzoni.



E i commenti sul fatto che sembri una canzone di Ligabue come li avete presi?
K: Vuol dire non conoscere la musica. Puoi dire che ti fa cagare, ma non sai riconoscere il soul bianco dal pop.
A: Siamo in un momento in cui la musica italiana è il metro di paragone per tutto. Noi non abbiamo alcun tipo di influenze italiane nel nostro modo di fare musica, non perché ci faccia schifo, ma non è il nostro lavoro. È uscito fuori anche Nek, poi il pezzo sta piacendo tantissimo quindi siamo contenti. Ma a prescindere, è soul bianco. In Italia c'è questa tendenza che una ballata di quel tipo o è Vasco Rossi o è Ligabue, ma non è una bella cosa, perché c'è un mondo di ballate. Secondo me ricorda molto anche gli Alabama Shakes. Poi è un brano fatto con chitarre marcissime, fuzz, con la voce tutta puntellata, che sta abbastanza dentro rispetto a come potrebbe essere.
U: Se dovessimo fare un paragone con un gruppo italiano, secondo me è vicino a "La velocità" del Pan del Diavolo.

Visto che stiamo parlando di musica italiana, siete in grado di farci una previsione di dove stia andando?
A: De', si sa una sega noi. Mi sono fermato 5 mesi ed è uscito Calcutta (ridono tutti). Scherzi a parte, ci sarà sempre più hip hop, che muterà e diventerà qualcosa di bello. Lo è stato, ora è in una fase un po' altalenante.
U: Quest'anno l'hip hop in Italia ha tirato fuori dei contenuti molto più innovativi del rock, quello è fuori discussione. Per dire che un'esperienza come quella del Truce Klan nel rock non s'è mai vista.
A: Il rock è deceduto.
K: Il rock, esclusi i Foo Fighters, i Muse, i RHCP, non c'è più. Anche gruppi enormi come i Jane's Addiction nel 2016 fanno fatica, li ascolta solo chi ha più di 30 anni.
A: In ogni caso il rock tornerà perché torna sempre, andare in cantina con gli amici è come il modellismo. Comunque ci rendiamo conto che in Italia il futuro della musica è l'hip hop che continuerà a mutare.

Siete una delle poche band che sta lasciando un'eredità ancora prima di concludere la carriera, penso per esempio al recente successo di Motta, con tanto di vittoria del Tenco, che è partito facendo il vostro tuttofare.
A: un'altra band che sento vicina anche per tematiche è Lo Stato Sociale.
U: anche i Fast Animals, è un grosso privilegio che abbiamo.

Qual è stato il primo gruppo che vi ha fulminati da ragazzini?
K: I Melvins.
A: Per me i Queen. Avevo 11 anni quando è morto Freddie Mercury e ho pianto. A Wembley '86 suonavano con 6 spie davanti e stop. Qualsiasi band di oggi non ce la farebbe mai, compresi noi. I Muse sono bravissimi ma se gli levi il fonico...
U: I Ramones.

Vi siete resi conto che chi vuole sentirsi dire che va tutto bene non ascolterà questo disco?
U: Infatti esiste tutta l'altra musica del mondo per questo.

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L'articolo Zen Circus - Voglia di sangue di Chiara Longo è apparso su Rockit.it il 2016-09-28 16:14:00

COMMENTI (1)

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  • alessandro.perrone95 7 anni fa Rispondi

    Prima di tutto ci tengo a fare i complimenti al gruppo di rockit. Vi seguo da poco ma ho letto diverse vostre interviste e mi piace moltissimo come ponete le vostre domande. Parlando degli Zen, sono dei grandi sia in singolo che in gruppo. Li ho visti poco tempo fa in concerto e la mia stima verso di loro é salita di molto. L'ultimo album é spettacolare e canzoni tipo Zingara fanno a pieno capire di che geni si sta parlando. Ottima intervista.