Cosa è successo nell'elettronica italiana nel 2015

Un gran numero di dischi ben fatti e soprattutto buoni da ascoltare: se fossimo davanti un vigneto dorato al tramonto potremmo definire il 2015 un'ottima annata per la musica elettronica italiana.

28/12/2015 - 08:00 Scritto da Mirko Carera

Un gran numero di dischi ben fatti e soprattutto buoni da ascoltare: se fossimo davanti un vigneto dorato al tramonto potremmo definire il 2015 un'ottima annata per la musica elettronica italiana.  

Ma parlare di scena quando ci si riferisce al numero di produttori e produttrici che nell’ultimo anno si sono distinti in questo genere forse è prematuro: sui siti di oltre manica si è parlato piuttosto di un’attitudine italiana, e se tutti trattano questa parola con i guanti bianchi un motivo ci sarà. A mente fredda e tirando le somme dell'anno in dirittura d’arrivo possiamo dire che se una scena c’è, si tratta ancora di una forma embrionale, qualcosa di piccolo ma con enormi prospettive. Qualcosa che, ad esempio, ha iniziato ad aggolmerarsi alla fine del 2014 nella compilation Italian New Wave e che durante tutto il 2015 ha fatto decisamente molta strada.

Quest'anno ci ha regalato un gruppo di artisti con idee chiare e orientate a 360 gradi verso i tanti sotto generi della musica elettronica. Il livello di produzione si è alzato notevolmente, e ha marciato di pari passo con un hype che finalmente ha acceso i riflettori su questi artisti. 

Il lato beat dell'affare cresce bello rigoglioso: i lavori di Populous, Capibara, Go Dugong, Montoya, Clap Clap e Godblesscomputers godono di alta longevità, resistono al passare dei mesi conservando inalterata la propria freschezza, e in alcuni casi poi (ma qui comincia il regno arbitrario dei gusti personali) vanno ad occupare posti importanti nelle classifiche di fine anno. Pezzi come "Closer", "Ghetto Mala" o "Umza" si sono impressi nella memoria di molti, diventando veri e propri refrain per diversi mesi.  

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È una musica aperta mentalmente, che è andata a posarsi leggera su altri generi creando contaminazione e sperimentazione come raramente era successo in precedenza. Il cantautorato, da sempre orgoglio e pena nazionale, si è lasciato accarezzare da suoni e battiti essenziali in quello che sicuramente è stato il disco più bello e completo dell'anno: "Die" di Iosonouncane vanta un vestito elettronico ridotto al minimo e perfettamente complementare a testi e chitarra; "Stormi", la canzone italiana più bella degli ultimi vent'anni secondo chi scrive, è una magia che raccoglie la sperimentazione dell'ultimo Battisti mantenendo uno stile proprio e un’architettura autoctona.  

Basterebbero queste indicazioni per parlare già di exploit tricolore, invece l'analisi è appena iniziata: anche il lato più intellettuale e sperimentale della faccenda è puntellato di nomi importanti. Vaghe Stelle ha trattato sapientemente futurismo e oscurità per conto di Other People mentre i droni di Furtherset, le oscurità di Bienoise e la trance sinaptica di Lorenzo Senni hanno alzato ancora di più un'asticella qualitativa che finalmente può fregiarsi della definizione di intellighenzia elettronica italiana: impossibile non nominare in questo filone uno come Donato Dozzy, che di questa intellighenzia 2.0 è per lo meno il padre putativo. 

Meritano poi di menzione a parte Aucan e Broke One. I primi, partiti fondamentalmente da un'esperienza rock, hanno raggiunto con "Stelle Fisse" una solida maturità artistica, per cui si può parlare di scontata conferma, mentre per il secondo non si contiene un piacevolissimo stupore per un album dal forte respiro internazionale, geniale nel saper riprendere i suoni e le suggestioni idm degli anni ’90, ormai definitivamente riconsacrati.

In tutto questo non va dimenticato il lavoro fondamentale fatto nelle retrovie dalle label indipendenti che, supportate da idee finalmente chiare e intenti manifesti, hanno conquistato una parte interessante del pubblico e del mercato: quando si parla di un artista l’associazione con l’etichetta coinvolta sta diventando quasi automatica, a conferma di stili delineati e suoni propri. 

Parliamo di "parte interessante" perché ovviamente nessuno di questi dischi si è avvicinato lontanamente alla classifica dei dischi più venduti in Italia. Di fatto, però, non si può non notare come ci sia un interesse crescente (seppur vago) verso la musica elettronica italiana anche nella galassia mainstream: basti pensare alla stagione appena conclusa di X Factor, che ha visto gli Osc2x arrivare ai bootcamp (dove avrebbero meritato di più), e Sara Loreni trafficare con le sue loopstation davanti tutta Italia prima di auto-eliminarsi (e ancora ci si chiede quale assurda motivazione ci sia dietro ad una scelta che ancor oggi per molti risulta incomprensibile).

La cartina tornasole di tutta l’analisi è ovviamente rappresentata dai festival, che sono stati tanti, belli e tutti ben riusciti; su tutti Spring Attitude, roBot (anche se ha purtroppo chiuso in negativo) e soprattutto Club To Club hanno raccolto consensi, qualche sold out e anche una discreta eco internazionale sia riguardo le manifestazioni in sé che sugli artisti italiani coinvolti.

Infine, una cosa importante da dire è che continuano a spuntare nuovi producer: quest'anno ad esempio ci siamo occupati di tanti esordienti, una cosa che ci fa pensare che finalmente è in atto quel processo che auspicavamo l'anno scorso per cui "faccio il producer" è il nuovo "facciamo una band" nell'immaginario dei ragazzi che sentono appartenere a un'élite di ascoltatori di musica "altra" rispetto ai loro coetanei.

Resta soltanto il tempo per delineare l’oroscopo di questa maniera di intendere la musica, e il 2016 sembra nascere sotto i migliori auspici: presto arriverà un Machweo completamente rinnovato a dire la sua e finalmente Jolly Mare, ormai attesissimo, all’esordio.

 

 

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L'articolo Cosa è successo nell'elettronica italiana nel 2015 di Mirko Carera è apparso su Rockit.it il 2015-12-28 08:00:00

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