andrea van cleef Sundog 2012 - Psichedelia, Folk

Disco in evidenza Sundog precedente precedente

Un lp che ricorda molto da vicino le atmosfere di "Into the wild", film e colonna sonora. Ma molto molto più folk, quasi in maniera ortodossa.

Era il 2006 quando Andrea Bellicini si presentava da solista sulle scene, optando però per un moniker che rimandava all'idea di un combo in cui il suo compito era quello di tirare le fila. 6 anni dopo, e con in mezzo 3 titoli sotto la ragione sociale di Van Cleef Continental, Andrea "debutta" da solista a tutti gli effetti.

Questioni di lana caprina, potreste ribattere, ma questo esordio unipersonale, rispetto alle esperienze di gruppo, suona effettivamente come un'opera che della dimensione solitaria ne fa in qualche modo il suo vessillo. Al punto che - e non chiedetemene il motivo - le atmosfere rimandano a quel capolavoro (tanto di film quanto di colonna sonora) che è "Into the wild", pur essendo sostanzialmente diversi i background dei due musicisti tirati in ballo. E, sia chiaro, la svolta folk non è certo quella di Andrea, il quale ha sempre dichiarato e dimostrato di essere affascinato dal genere; finora, però, l'approccio era stato molto più vicino al rock, dove gli arrangiamenti erano pensati appunto per una dimensione meno raccolta.

"Sundog", esattamente come avviene nel processo di metamorfosi dei conterranei DAS (band dell'ex compagno di viaggio Ronnie Amighetti nell'avventura firmata Bogartz), è invece l'ennesima dimostrazione di come, col passare degli anni e delle esperienze, si tenda, magari inconsapevolmente, a seguire i dettami del "less is more". Ci vuole però del talento a concepire canzoni pensando di "togliere" anziché aggiungere, affinché possa risaltare ogni singolo aspetto (il sospiro prima di intonare un verso, l'arpeggio di chitarra, etc.) e far apprezzare quelle sfumature che spesso sfuggono quando si cerca a tutti i costi il suono perfetto e iperlevigato. In più, metteteci che Andrea può vantare una voce che, di per sè, riempie metà dell'opera: una voce tanto profonda quanto versatile, perché se in "Town without shade" e "What do I know" sembra un Evan Dando in slow-motion, in "A house by the river" e "Pesadilla motel" l'inevitabile riferimento è Mark Lanegan. "Shine" sembra invece un'out-take di "Get miles" dei Gomez, anche se nel finale l'uso massiccio (e quasi inaspettato) delle tastiere la trasforma nella traccia più movimentata del lotto, avvicinandosi per certi versi a quel modello mai abbandonato che corrisponde ai Thin White Rope di "Sack full of silver"palesemente chiamati in causa nella conclusiva "Andromeda" (anche se la loro influenza aleggia ugualmente in tutto il disco).

In definitiva "Sundog" è il classico lp (non a caso disponibile solo in vinile) da ascoltare rigorosamente in cuffia e in una dimensione intima per assaporare a pieno ogni singola nota. Non solo: sarà necessario essere pazienti e lasciarlo "lievitare", ascolto dopo ascolto. 

---
La recensione Sundog di Scritto da Giulio Pons è apparsa su Rockit.it il 2012-12-08 00:00:00

COMMENTI

Aggiungi un commento Cita l'autore avvisami se ci sono nuovi messaggi in questa discussione Invia