I grandi cantastorie e il loro lascito

I grandi cantastorie e il loro lascito

Da Enzo Del Re a Matteo Salvatore, da Li Ucci a un’icona come Domenico Modugno: grandi artisti, a volte non del tutto capiti, hanno guardato il mondo da questa terra e cantato la sua gente, il suo splendore e le sue contraddizioni. Un’eredità saldamente nelle mani delle nuove generazioni

Camminando per le strade di Apricena – borgo di 10mila abitanti o poco più all'imbocco del promontorio del Gargano e non distante da San Severo –, quasi terminata la salita che dalle zone più residenziali del paese porteranno nel centro storico, con il suo pavé e le case bianche rimaste in piedi, può capitare, soprattutto d'estate quando fa caldo e tutte le porte sono aperte, di sentire provenire dei cori da una stanzetta al piano terreno. In quell'appartamento alcuni anziani, e meno anziani, del posto si stanno "esibendo" nei canti delle tradizioni. In maniera del tutto informale, assai poco performativa. Com'è sempre stato, come sempre sarà.

Avviene cosi in moltissimi posti delle diverse province che compongono la Puglia, ciascuna con la propria specificità, i propri riti, i propri personaggi di riferimento. Quello di Apricena è un nome "di peso", uno dei cantori popolari più importanti della storia italiana: Matteo Salvatore, che qui nacque nel 1925 e che è morto a 42 chilometri da qua, a Foggia, il 27 agosto del 2005. In paese, oltre a una tomba di marmo chitarra alla mano al cimitero cittadino, lo celebra una struttura polivalente nei pressi della villa comunale – che quelli del Nord sarebbero portati a chiamare giardini pubblici –, chiamata Casa Matteo Salvatore, una struttura che fino a qualche anno fa non stava messa benissimo e che ora è stata invece ristrutturata e non sfigura affatto nello "skyline" cittadino.

Matteo Salvatore è stato un personaggio enorme, altrove si direbbe "larger than life", ma qui è veramente fuori luogo. Come Enzo Del Re, di cui parleremo a breve, ad aiutare nella sua meritoria riscopeta è stato Vinicio Capossela, che il repertorio del cantore garganico lo ha studiato a fondo, e riprodotto in numerosi concerti, tipo quel 1 Maggio 2010 in cui lo definì "il più grande cantore sullo sfruttamento". La musica di Matteo Salvatore detto Zich Zich, dal soprannome della sua famiglia, è imprescindibilmente legata alla sua terra. Per via del dialetto in cui lui, analfabeta o quasi, cantava, e dei temi trattati e dei personaggi da lui cantati: La bicicletta, Lu soprastante, Lu pescatore, Lu limone, Il lamento dei mendicanti, Facitevi li cazza vostra, Padrone mio. Riassunta nel cofanetto Le quattro stagioni del Gargano, la sua opera è stata un mix di canzone di protesta e canti delle tradizioni, splendidamente naif, potentissima e ispirante. L'eredità di Matteo Salvatore sarebbe poi stata ampiamente oscurata da una bruttissima storia di femminicidio, di cui vi raccontiamo meglio qua

La sua è una storia "estrema", di cui si fa spesso fatica a parlare, inevitabilmente. Ma succede così quasi sempre, più si scende all'altezza della terra, più le cose diventano complicate, a volte brutte e sporche, con le ombre che fanno da contraltare alle luci. Ma altrettanto di frequente queste cose sono quelle autentiche, rivoluzionarie, valide. Di storie così ce ne sono molte in Puglia. Storie di antichi retaggio, di damnatio memoriae in alcuni casi, di appassionate riscoperte, di fili lunghi secoli, di dialoghi generazionali mai interrotti oppure ripresi dopo lunghi silenzi. Musiche e personaggi senza lustrini  – anche se poi, a volte, arriva il successo, anche clamoroso, come raccontato nel capitolo precedente –, ma "con le viscere sul tavolo", come diceva Andrea Pazienza, che non a caso è nato e cresciuto ai piedi del Gargano.

Da qui vengono anche i Cantori di Carpino, uno degli ultimi borghi di questo promontorio che spezza con le sue foreste la prevedibilità dell'Adriatico. Formati attorno alle figure di Antonio Piccininno, classe 1916, e Antonio Maccarone, classe 1920, cui negli anni si sono affiancati sempre nuovi interpreti, rappresentano una delle esperienze di canto popolare più significativa. Accompagnato dai suoni unici di tamburelli, castagnole e chitarra battente, mettono in scena sonetti dialetti e tengono viva la tradizione della tarantella del Gargano nelle sue tre forme principali (Viestesana, Montanara, Rodiana) e le loro varianti espressive (Rodianella e Cagnanese). Oltre alla sua "band", per anni questa lavoro è stato portato avanti da un evento partecipatissimo e unico nel suo genere, il Carpino Folk Festival – ora in stand by e con alcuni problemi interni – che ha portato in questo paese il meglio della cultura popolare internazionale, dando a tutti la possibilità di ascoltare in un contesto decisamente sui generis artisti clamorosi.

Proprio quel genere di cose per cui impazzì, nel corso del suo leggendario viaggio del 1954, lo studioso americano Alan Lomax che girò la penisola alla ricerca di tradizioni locali e dei repertori a esse collegati, con lo scopo di realizzare un atlante sonoro del folk e della world music italiane (e specialmente del Sud).

Li Ucci
Li Ucci

In cui un ruolo imprescindibile non può che spettare a Li Ucci, già protagonisti della prima storica Notte della Taranta del 1998. “Li Ucci", si legge sul portale a loro dedicato "erano lo storico gruppo salentino con base a Cutrofiano custode della tradizione popolare degli 'stornelli', canti di lavoro e di amore spesso improvvisati al ritmo del tamburello nel quale oltre ai fantastici musicisti come Pippi Luceri, Ugo Gorgoni, Giovanni Avantaggiato, Roberto Angelelli, Uccio Casarano, Uccio Melissano, spiccavano le voci di Uccio Aloisi e Uccio Bandello accompagnate dalla voce di Narduccio Vergaro. Uomini della Terra, contadini, gente che all’alba iniziava una lunga giornata per la sopravvivenza; una vita fatta di duro lavoro e spesso sofferenza che però è stata sempre legata a quell’allegria e quell’onestà che si riusciva a manifestare nelle serate con gli amici, nel lavoro dei campi e durante le feste di paese. In un’epoca dove non esisteva la Tv e i giradischi non erano molto diffusi, il canto rappresentava per loro un’occasione per manifestare coraggio, dolore, amore, in maniera immediata".

Anche in questo caso un festival, Li Ucci Festival, ha un ruolo fondamentale per tenere vivo il ricordo e il retaggio, e fare conoscere questa storia sempre a nuove generazioni. Così come un altro evento, Meraviglioso Modugno, sempre più grande e popolare, sta contribuendo a dare ancora più lustro a un grande artista pugliese: Domenico Modugno, nato a Polignano, a pochi passi da Bari, nel 1928 (anche se molti lo identificano con la Sicilia). Modugno è uno degli artisti italiani più famosi nel mondo, con una hit intramontabile come Volare (e non solo), ma è dai canti popolari che anche lui è partito, da un rapporto ancora una volta viscerale con la terra e il popolo. Sono tantissimi i suoi brani che vanno in questa direzione, dai primissimi degli anni '50 fino al capolavoro Malarazza del 1976. 

Infine, c'è un altro personaggio, già citato, che in questa breve rassegna non può proprio mancare. Enzo Del Re, nato a Mola di Bari nel 1944 e morto nella stessa città, sul lungomare fuori dal capoluogo, 12 anni fa. Anche per lui c'è una rassegna molto preziosa, "MAUL - molese anarchico uomo libero" omaggio ad Enzo Del Re, che si tiene nella sua città e che ha già vissuto quattro edizioni in crescendo. La direzione artistica è di Timisoara Pinto, giornalista Rai, autrice per la casa editrice Squi[libri] del libro Lavorare con lentezza, Enzo Del Re il corpofonista. È a lei che chiediamo di raccontarci meglio chi è stato Enzo Del Re, e, più in generale, quali sono le figure fondamentali di questo "movimento artistico" popolare.

Un momento di MAUL
Un momento di MAUL

Da dove nasce la tua passione per Enzo Del Re?

Ho cominciato ad appassionarmi ad Enzo Del Re in epoca pre-social e pre-youtube, uno spartiacque sicuramente di un modo di fare ricerca. Nei primi anni 2000 il mio archivio era quello della Rai e lì navigavo, ma di Enzo Del Re nessuna traccia. Chi era allora questa voce misteriosa che cantava “Lavorare con lentezza”? “La salute non ha prezzo, quindi rallentare il ritmo. Pausa pausa ritmo lento, pausa pausa ritmo lento, sempre fuori dal motore…”. Un inno ribelle, provocatorio comandamento, una canzone di denuncia contro la nocività del lavoro, una worksong in un mondo ideale, il manifesto del suo innato controritmo.

Cosa ti aveva colpito così tanto?

Da un parte c’erano i Cantori di Carpino, dall’altra Buena vista social club di Wim Wenders, in mezzo Enzo Del Re che aveva esordito nel “Ci ragiono e canto” di Dario Fo, aveva pubblicato due LP e poi, dalla metà degli anni Settanta, si era rintanato nella sua casa di Mola Di Bari. I suoi album non avevano nessuna distribuzione. Li vendeva direttamente lui in vinile e musicassetta. Decisi che sarei andata a Mola, avrei chiesto al bar o all’edicola “Sapete dirmi dove abita Del Re?” e gli avrei citofonato. E così è andata.

Dove lo collochi nel panorama nazionale dei grandi cantautori e cantastorie?

L’unico cantautore corpofonista italiano. È stato soprattutto l’interprete più radicale di una stagione di impegno civile nella quale le canzoni di lotta e di protesta animavano il sogno di una società diversa. E metto accanto a lui solo Paolo Ciarchi e Antonio infantino, altri due grandissimi talenti che non hanno avuto il riconoscimento che avrebbero meritato. Numeri uno, che credono parola per parola in quello che scrivono e che cantano, e numeri unici, non derivativi da nulla, nel senso che hanno fatto delle cose che hanno proprio inventato loro. Difficilmente “collocabili” perché non c’era nessuna struttura che li potesse contenere, da molti punti di vista. Pensiamo a un ipotetico tour di Del Re, con le sue esibizioni imprevedibili e dalla durata imprecisata. Il musicista è l’operaio, diceva e il pubblico è il padrone. L’operaio deve resistere un minuto in più del padrone. Questa forma di resistenza, applicata alla musica, si traduceva in una vera e propria occupazione del palco difficile da gestire. In pratica, una volta salito sul palco era difficile farlo scendere. Era il terrore degli organizzatori. Prendo in prestito una definizione dello storico Alessandro Portelli, tratta dal libro che ho dedicato a Del Re “Lavorare con lentezza”, pubblicato da Squilibri editore. Alessandro Portelli mi ha detto “Ho frequentato poco Enzo Del Re, ma non è possibile dimenticarlo. Mi ha sempre fatto pensare a Woody Guthrie, non tanto per riferimenti diretti o somiglianze quanto per l’irriducibilità di entrambi agli schemi non solo della cultura dominante, ma anche della cultura alternativa. Come Woody Guthrie, Enzo Del Re era unico: per entrambi si può dire “come lui c’era solo lui”.

Cosa aveva di così magico?

Oltre a quanto già detto, Enzo Del Re era dotato di una notevole estensione vocale e di un senso del ritmo impressionante. Sul palco, un one man band che si riduceva al minimo per ottenere il massimo. I suoi arrangiamenti erano per sedia e corpo. Utilizzava la sedia come una percussione, le mani, gli schiocchi della lingua. Aveva cominciato percuotendo una valigia, a rappresentare la condizione dei migranti, poi la sedia per riscattare il martirio di Sacco e Vanzetti. In questo sua fusione di racconto e ritmo era serio, ma anche allegro. Un connubio trascinante e contagioso, sul palco una forza della natura. Lo descrive benissimo Vinicio Capossela in un altro passaggio del libro “Se ne stava lì come una tartaruga, corazzato e sfrontato, a fare adeguare le migliaia a lui solo. La sua musica era di propaganda, adatta a parlare alle grandi masse. La sua ostinazione, la cocciutaggine dura come un guscio, la corazza della sua coerenza, incantavano e incatenavano la piazza”.

Com'è avvenuta la sua riscoperta?

La riscoperta è partita dal titolo di un film. Guido Chiesa aveva girato “Lavorare con lentezza”, la storia di Radio Alice, la storica emittente movimentista bolognese che come sigla del mattino aveva scelto proprio il brano di Del Re, senza sapere chi fosse. Lo stesso Franco “Bifo” Beradi, nell’intervista per il mio libro, mi disse che non avevano mai visto dal vivo Enzo Del Re ed erano convinti che fosse napoletano, per via della strofa “Teng ‘na vogli ‘e fa niend”. Una specie di Sugarman (Sixto Rodriguez) per la sua irreperibilità già allora. Da quel titolo e da quella colonna sonora sono partita per la mia ricerca, era apparso in un documentario sui cantastorie di Puglia di Daniele Trevisi e Nicola Morisco, ma solo quando sono andata a conoscerlo e a intervistarlo abbiamo deciso insieme che avremmo raccolto tutto in un libro, anche i suoi brani introvabili (per la prima volta in cd!). Brani che poi sono arrivati su YouTube solo dopo la pubblicazione del mio lavoro. Ma la cosa prioritaria era riportarlo in concerto dopo tanti anni, per questo l’ho seguito da vicino, sostenendo e creando le occasioni del suo ritorno, come il supporto che ho dato alla realizzazione del documentario, “Io e la mia sedia”, di Angelo Amoroso D’Aragona prodotto dalla Teca del Mediterraneo nel 2011 per volontà dell’allora direttore Waldemaro Morgese.

Dove e come è avvenuto?

All’inizio in un festival di famiglia, Stradarolo e in una tappa del tour Avanti Pop di Andrea Satta e i Tetes de Bois, poi la grande visibilità con i concerti di Vinicio Capossela che ha condiviso con lui il Primo Maggio in piazza San Giovanni, la Festa della Liberazione a Parma e tanti altri palchi prestigiosi. Poi, purtroppo, proprio quando tutto stava per ripartire, quando finalmente stava per recuperare quello che l'oblio determinato dal sistema spietato della macchina del “mercato” gli aveva negato, a giugno del 2011 Enzo è morto. È morto all’età di 67 anni per alcune complicazioni dovute al suo stato di salute già compromesso da tre, quattro turni settimanali di dialisi. La riscoperta prosegue con gli artisti che ogni anno vengono a “MAUL. Omaggio ad Enzo Del Re” a interpretare un suo brano. Una serata tributo e da quest’anno anche un premio che organizzo da molti anni con Etra di Luciano Perrone, la libreria Culture Club Café di Mimmo Sparno, con Annamaria Minunno e Michele Campanella. MAUL è la pronuncia molese di “Mola” ed è il titolo del suo LP bianco, album che è stato interamente reinterpretato dal musicista molese Forthyto e pubblicato da Squilibri.Per noi MAUL è anche l’acronimo di molese, anarchico, uomo, libero. Tanti sono i grandi nomi che hanno omaggiato Del Re con una cover, da Brunori Sas a Elena Ledda, da Paolo Benvegnù a Giovanni Truppi, dai Radicanto a Erica Mou.

Non è l'unico caso di riscoperta sul territorio di personaggi e tradizioni ch erano finite sommerse. Come si instaurano queste dinamiche virtuose?

Le dinamiche virtuose possono innescarle gli artisti nei confronti di altri artisti che hanno minori possibilità, come è accaduto per la riscoperta di Del Re. Io credo che lo spazio condiviso generi più spazio per tutti. Da musica nasce musica, cultura genera cultura, un processo che può generare solo cose positive. La musica popolare pugliese per fortuna è un esempio di lungimiranza degli amministratori, investimenti nella cultura immateriale, musicale e antropologica, saper puntare sulla bellezza, sui contenuti e sulla specificità di una terra. Ma fare attenzione ai modelli televisivi, al dover rincorrere a tutti i costi “il nome”,  l’ospite “sanremese” o quella che chiamano “musica attuale”.

Ancora da MAUL, dedicato a Enzo Del Re
Ancora da MAUL, dedicato a Enzo Del Re

Chi è stato invece Matteo Salvatore?

In principio fu Matteo Salvatore, potrei dire. Proprio all’inizio della mia ricerca rivolta verso un certo tipo di musica. Io sono lucana, le mie origini vanno da un versante all’altro della regione. La Basilicata è piccola, ma confina con Calabria, Campania e Puglia. A seconda dei nonni, le mie sponde sono quella calabra, quella irpina e quella garganica. Dalla masseria del papà del mio papà vedevo la murgia di Minervino e chi si affacciava al “balcone delle Puglie” poteva vedere me. Matteo Salvatore era l’anima musicale di quel mondo, il bluesman pugliese, come Rosa Balistreri per la Sicilia. Molti hanno fa ho anche realizzato un cd con le sue esibizioni a Radio Rai, si intitolava “La passione secondo Matteo”. Purtroppo non posso fare a meno di pensare alle sue vicende private e giudiziarie e non riesco a separare l’uomo dall’artista.

Più noto è Domenico Modugno. Tu come lo definisci?

Meraviglioso, come il titolo di una delle sue canzoni più epiche. “Dio, come ti amo”, la più potente di tutte. Il padre di tante tipologie diverse di cantautori. Persino di uno come Enzo Del Re, un padre “per rivolta”, però. Pensa che Del Re decise che sarebbe diventato un “cantastorie” e non un cantante, come diceva lui, quando nel ’61 ascoltò “Micio nero” di Modugno. “Non mi danno da mangiare, chi mi vede scappa via, ma cosa ci posso fare se sono nero?”, dice il gatto. E Modugno: “devi andare da un pittore che ti cambia di colore come la neve e vedrai che in un momento è finito il tuo tormento”. Non è concepibile usare la canzone per trasmettere un messaggio così arretrato, basato sulla superstizione e il razzismo. Amavo il Modugno di “Lu pisci spada”, non certo quello di “Musciu niuru””. Enzo Del Re s’infuria alla sua maniera e in risposta scrive “Scitterà”, una delle sue migliori composizioni, sperando che sia la gente un giorno a cambiare mentalità e non i gatti o gli emarginati a cambiare pelle.

In Puglia questi recuperi, seconde vite, passaggi generazionali paiono più frequenti che altrove. Come mai? 

Per la politica culturale che è stata fatta in Puglia e non altrove. Certo poi ci sono tante associazioni in molte parti d’Italia che, malgrado le difficoltà e la mancanza di fondi, riescono a mettere in piedi rassegne musicali e culturali, hanno preparazione e amore per le idee. L’amarezza è che prima o poi, lasciate sole, non sostenendole, queste piccole importanti realtà sfioriscono. Pensiamo agli eventi, ai festival. Ci sono due modi per organizzarli: far partire le iniziative dal basso, dalle realtà locali o imporle attraverso i management e società che necessariamente lavorano in una logica di mercato e profitto. Si sta orientando il gusto dei ragazzi verso questa seconda scelta, di tipo industriale super strutturata, perfino bandi degli enti comunali e regionali sono costruiti per penalizzare le realtà associative di base anche se molto qualificate e prestigiose. È una scelta politica che a me sembra impoverisca sempre di più l’originalità delle proposte. Ad Enzo questa strada non piacerebbe. In Puglia ci sono stati molto attenti. Dobbiamo riconoscerlo.

fascetta credits puglia
A cura di Dario Falcini Testi: Dario Falcini, Vittorio Comand Grafiche: Giulia Cortinovis Sviluppo: Giulio Pons, Alex Carsetti