Valentina Dorme
La Carne 2009 - Cantautoriale, Rock, Alternativo

La Carne

Di certe canzoni non si dovrebbero conoscere i testi a memoria, parola per parola, intendo. Certe volte tra le frasi e le parole un po' smangiucchiate per l'incastro preciso con un accordo, si celano dei significati volontari o inconsci, difficili da gestire. Difficili da schivare come un pugno nello stomaco che non t'aspetteresti mai, sorpresa dolorosa e soffocante.

Sembra che Mario Pigozzo Favero ci metta della cattiveria in più. Un bel po' di tempo è passato da "Il coraggio dei piuma", quattro anni, a cui da solo è sopravvissuto rientrando spavaldo e lucido su quel palco dove in molti lo aspettavamo, accompagnandosi con nuovi e affiatati musicisti, intuendo nuove prolifiche collaborazioni in altri momenti inusitate, come con Fabio De Min (Non voglio che Clara) per gli arrangiamenti degli archi e delle tastiere e con Nick Manzan (Bologna Violenta), nei ranghi più classici di violinista. E non solo loro.

Ascolto questo disco già da un po'. Ma solo oggi lo ascolto leggendo i testi, per cogliere quelle poche parole dissolte nelle note. Ogni due canzoni devo fare una pausa. Forse per un livello tale di intensità di vissuti e vicissitudini che si adagiano sulla mia esperienza, che di certo poco ha in comune con quella di Pigozzo Favero, ma che riguarda una generalità di esistenze forse mature, di certo ben lontane dall'essere propriamente adulte, ma quasi già troppo disilluse.

Il titolo è programmatico in questo senso. La Carne. Anticipo sintetico dell'intrinseca visceralità (ispirazione cara allo stesso regista Marco Ferreri, cui viene dedicata anche una canzone oltre al riferimento al titolo) di un disco che viaggia tra parole e musica indissolubili.

Una musica che è pacata, quando realizza sbandamenti ed entusiasmi sbiaditi e aggressiva, stratificata e complessa come l'incazzatura di quando sai di essere impotente, di quando ti rendi conto di non essere unico e solo e insostituibile nella vita di chi avevi immaginato fosse insostituibile per te. In bilico tra il romanticismo degli Smiths, la decadenza cupa dei primi Cure ("Un nome di fantasma", "Benedetto davvero"), il finto distacco di certe soluzioni stilistiche del Dalla degli anni 70 ("Olimpiadi salesiane", "Marco Ferreri") e ancora quel rumore bianco internazionalizzato dai Sonic Youth ("Giulia Bentley in estate", "Trieste Centrale").

Con parole che suggeriscono un atto fisico, confondendolo con atti invece emotivamente intangibili, come per esempio in "Siracusa e le stelle": "…santo quel tuo darti da fare per farmi stare bene, la gioia che mi dai quando ti sento dalle scale…" o che gridano della tensione continua ad un sentimento come l'amore, che dentro di te sai essere impossibile nella definizione pratica dell'esistere, ma senza il quale comunque non c'è vita.

Parliamo allora di illusione? Ma l'illusione in quanto atto mentale fa male in un dato momento, in genere poi passa. Ciò che c'è in questo disco graffia e squarcia insindacabili punti di vista molto soggettivi sul rapporto di ognuno di noi con l'amore, con quello che si desidererebbe, con ciò che non si ottiene mai, con la presa visione di dinamiche effettivamente idealizzate.

Si vive di ricordi avvelenati, in questo lavoro, e di situazioni prese non nel momento preciso in cui iniziano, né tantomeno nel momento in cui finiscono. Come un film che mostra uno dei tanti istanti minimi inosservati anche da noi attori di una vita di cui spesso non capiamo il testo, o il senso.

Allora Valentina ogni tanto si sveglia, prende atto che non è invincibile, che forse ogni tanto è bene arrendersi alla vita che ti vive un po' prepotente, quindi si riaddormenta con almeno questa consapevolezza in più.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.