Sakee sed
Alle basi della roncola 2010 - Folk

Alle basi della roncola

Ho letto molte critiche intorno a questo disco, tutte positive, ma che per lo più concludevano con un applauso compiaciuto eppure modesto. Complimenti timidi e sorrisi freddi. E immagino sia dovuto al fatto che "Alle basi della Roncola" non è per nulla un disco esplicito, pur essendo di fortissimo impatto. Quello che, innanzitutto, sembra chiaro è il gran numero di riferimenti illustri. Ed è forse questo il carattere che più spiazza dell'album, e che sembra più difficile da gestire. L'abbondanza di citazioni presenti in queste tredici tracce è un mosaico di elementi vintage che pescano dal blues al bluegrass al country più sghembo. Canzoni come "Vermouth And Baby" o "Cenami il Cefalo" hanno un forte sapore afroamericano, rurale, fatto di tipiche ballate popolari da locali dopolavoro improvvisati. Dalle atmosfere da western saloon di "Mrs. Tennessee" ai versi stanchi di "Whisky & Coke", le canzoni si alternano tra blues da cabaret e tasti di pianoforte picchiati duro, da dita giovani ed incazzate, sporche e inesperte e per questo espressive. E se il rimando alla cultura afroamericana sembra il più immediato, meno diretto è invece il confronto con autori italiani: le ballate da pianobar del primo Capossela, passando vagamente per gli ascolti di Paolo Conte, fino ad arrivare all'amaro realismo del Celentano meno molleggiato.

Canzoni fatte di parole, talvolta più ciniche ("Caffè degli artistici") talvolta più romantiche ("Risvegliati dolcemente"). Testi scanzonati ("Happy Thomas") e versi disillusi ("I'm drunk"), che parlano di vite semplici e distaccate, dense di storie che sanno di amori di droga di alcool di quotidianità prese a sberle nella nebbia di provincia. Belle capacità di scrittura, per un cantanto ruvido, e a volte difficile anche da percepire. Diverse le frasi da appuntare, se "neanche con le droghe si tira avanti" o com'è vero che "qui ci vogliono morti diossine alle notti poi un pò di Valium". Ma soprattutto tematiche, quelle più profonde e personali, rese con sincera capacità, per una atmosfera che si riempie di grigie paranoie e slanci inaspettati di leggerezza inattesa ("Honky Thonky Honk"). Tanti gli strumenti, vecchi ed usurati (come in "Walzer" e "Uncachaca", tra Yann Tiersen e Beirut), e bassa la qualità di registrazione, che rende il disco tanto caratteristico quanto penalizzato.

Nel complesso un lavoro strano. "Alle basi della Roncola" è un caso singolare. Sicuramente pieno di spunti, troppi, da affinare, da rivedere bene (perchè la sensazione è che in queste tredici tracce sembrerebbero essercene almeno il doppio per la capacità che ha ognuna di rimandare ad aspetti diversi). Tredici canzoni di cui la metà ad altissimo livello. Per inventiva e per personalità. Molte le imperfezioni, ma che per ora passino anche quelle. Perchè questo è un disco che, nonostante i bassi mezzi a disposizione, si regge benissimo in piedi e ne esce come un prodotto d'esordio in cui noti tante potenzialità. Che se fossi un manager pieno di soldi mi bagnerei pensando al modo di sfruttarle.

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