Non Voglio che Clara
Dei Cani 2010 - Pop

Dei Cani



"Mi consola che in questo secolo nessuno ami qualcuno"

Così finalmente arriva uno dei dischi forse più attesi degli ultimi tre anni e non solo non delude, au contrair, riposiziona l'asticella del "Bello" un paio di tacchette più in alto.
Già.
Ho la fortuna di ascoltare da mesi queste canzoni e la responsabilità di doverne parlare come si deve, ovvero provare a far capire a più gente possibile che i Non Voglio Che Clara sono un gruppo fondamentale per la musica italiana, che si meritano molto di più da quanto "raccolto" finora. Troppo? Non credo, e poi d'altronde "da qualche parte si doveva cominciare", anche se "scrivere due righe non sarà, bello come averti qua".

Una storia decennale: un paio di ep autoprodotti, 2 dischi come 2 perle con Aiuola Dischi, recensioni entusiastiche, l'(inutile) interesse di più di una major che non si concretizza in nulla, molte aspettative, qualche delusione di troppo. Restano le cose più importanti: una ventina di canzoni e uno zoccolo durissimo di estimatori, in religiosa attesa di sviluppi. Così, 4 anni di silenzio, un cambio di formazione (restano Fabio De Min a scrivere canzoni+arrangiamenti e il fido Matteo Visigalli al basso), un cambio di etichetta (la romana Sleeping Star), ed è finalmente il tempo per questo "Dei Cani", prodotto da Fabio de Min e Giulio Ragno Favero, il disco che rinnova la sorgente, amplifica la portata del flusso, fa definitivamente straripare il fiume di emozioni.

La classe e l'eleganza sono rimasti intatti. Sempre lontani da ogni moda, da ogni scena o scenetta, da ogni classificazione di genere (e chi li "accusa" di baustellismo vuol dire che non conosce la loro storia e soprattutto non ha mai ascoltato sul serio né gli uni né gli altri). I Non Voglio Che Clara sono uno di quei (pochi) gruppi che tracciano la rotta, ma sul serio, caparbi folli romantici, con delicatezza&determinazione.
Fottendosene di ogni "purismo" o paura nel citare i "mostri sacri" dentro queste 11 canzoni ci sono i Sophia che reinterpretano Sergio Endrigo, Tenco che canta coi Wilco, i Flaming Lips con Gino Paoli, Sparklehorse che duetta nell'aldilà con il Battisti più intimista. Ne "L'estate" ci sono pure i Cure di "In between days".
Queste canzoni sanno essere, allo stesso modo, stelle alpine contemplate e non raccolte su un crinale magnifico o banali fiori di campo dimenticati ai bordi della più sperduta delle provinciali (la quotidianità di "Tra il tuo carattere e il mio" è disarmante, nemmeno in un racconto di Carver sonorizzato dai Divine Commedy...).
Sanno trasmettere quella esatta poesia del vivere con quel tocco e quella facilità che solo i grandi Artisti hanno. Ascoltate "Le Guerre", riarrangiata dai Port-royal, o quel capolavoro che è "La mareggiata del '66", e poi ditemi se non vi è venuto in mente una persona importante a cui dedicarle.

"ognuno parli per se, di quello che rimane, dell'amore"

"Dei cani" non è un mieloso disco d'amore di smancerie di languori o frasette da baci perugina (al contrario è un concept album drammatico sull'arco che fa una storia d'amore che diventa ossessione follia e tragedia). A voler semplificare all'estremo non è un disco né pesante né leggero, ma denso. E' un disco fatto di canzoni che ti entrano dentro, che lo puoi anche ascoltare facendo altro, certo, non è prepotente, non sono insegne luminose che attirano gli allocchi, non è nemmeno facile (forse), ma lui si insinua sottopelle, ha la grazia della melodia e degli arrangiamenti, te lo trovi in circolo tra i ventricoli quando meno te lo aspetti, quando sei su un bus che attraversa confini e ti trovi sovrapensiero a rievocarne immagini, sapori, situazioni. Come in un film girato e scritto bene, come dopo un viaggio. Esatto: il viaggio è il viaggio in quell'Italia che non c'è più e che vorremmo, senza retoriche o, peggio, conservatorismi. Senza dannosi inutili ridicoli "era meglio quando si stava peggio" o "una volta sì che si scrivevano canzoni". E' la speranza e la bellezza del 'qui e ora' senza che sia strappo o vuoto e sterile esibizionismo. E' quel benedetto fil rouge che sono le eliche del nostro DNA musicale nazionale, che non si spezza ma diventa stoffa per (ri)costruire il presente. E' per questo che un disco così, oltre a essere bello, bellissimo (condizione sine qua non) è un disco Importante. Perchè ci da speranza, che non tutto è perduto, che da qualche parte sui monti c'è qualcuno che se ne fotte delle stronzate e continua imperterrito a scrivere le canzoni come vanno scritte. Punto.

I NVCC sono uno dei gioielli più nascosti e preziosi della musica italiana contemporanea. La scommessa è regalare questa bellezza a quanta più gente possibile. Passaparola, contagio a catena.

"E non saranno le guerre quest'anno a farci paura
e non saranno gli scontri a tenerci distanti
e non saranno le sigarette ad ammalarci"

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