Vacca
Pelleossa 2011 -

Pelleossa

Devo ammetterlo: non sono mai stato propriamente un fan di Vacca, anzi. Nonostante il rispetto per la sua storia, che è la storia di uno che si è fatto davvero la vita di strada nella Milano degli anni Novanta – e la biografia scritta in collaborazione con F.T. Sandman la racconta con dovizia di particolari - non ho mai apprezzato più di tanto la sua musica, né il suo "personaggio". Tuttavia, è sempre bello quando si viene smentiti coi fatti; "Pelleossa", infatti, il quarto e ultimo album dell'ex-Armata 16, è senza dubbio una delle sue migliori produzioni di sempre, anche grazie al libro in allegato, edito da Chinaski Edizioni, molto utile per contestualizzarne il lavoro e la storia.

Non ho mai avuto l'occasione di conoscere Vacca di persona, ma di primo acchito mi sembra che tra questo e i precedenti ci sia stato uno scatto di maturità da non da poco, intendo proprio da un punto di vista personale. Non so se sia stata l'aria della Giamaica (dove Vacca ha vissuto nell'ultimo periodo) o la nascita di sua figlia; dalla sua voce però traspare una vibrazione nuova, che si intercetta anche a fronte dell'utilizzo di un flow più semplice e lineare. Come sempre, siamo di fronte alla solita sapiente mistura di rap commerciabile con intenzioni reggae, targettizzate verso un pubblico di adolescenti. Paradossalmente però, rispetto alle ultime uscite, "Pelleossa" sembra essere un album meno studiato e pretenzioso, e forse proprio per questo più personale e coinvolto.

La title-track, ad esempio, da cui è stato tratto un bel videoclip ambientato a Kingston, parte lenta ma poi ti prende pian piano, sembra non parli di nulla ma in fondo si rivela, ed è un bel ritratto della nostra generazione a perdere; "Dal fango alla gloria", la traccia migliore, ha invece un testo sentito e onesto, valorizzato da un grande ritornello. Pure "We gonna mek it", con Emis Killa, funziona bene, così come "Davvero oppure no", con Danti, anche questa con un hook irresistibile. In conclusione, una piacevolissima sorpresa. Ed è davvero bello vedere una generazione di rappers che, crescendo umanamente, trova nuove motivazioni e riesce a metterle in musica. Alla faccia di chi dice che il rap è una roba solo per ragazzini.

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