Brunori S.A.S
Vol 2: Poveri cristi 2011 - Cantautoriale, Pop

Vol 2: Poveri cristi

Dopo aver conquistato un po' tutti con il primo disco, sarebbe stato facile tornare a distanza di due anni con qualcosa di molto simile, per allargare ancora il pubblico senza eccessiva fatica. In fondo, se hai scritto un pezzo riuscito come "Guardia '82", se ti metti un po' d'impegno riuscirai a scrivere il suo fratello gemello. Di certo, se ti sei fatto conoscere come cantore di una malinconia leggera, stemperata da più di un sorriso, l'ultima cosa che ti deve venire in mente è di iniziare il secondo album con un pezzo di solo piano che parla di un padre di famiglia che si gioca tutto lo stipendio e decide di uccidersi. Perché se per caso inizi il secondo disco in quel modo, le opzioni sono due: o sei masochista, oppure hai un'urgenza di raccontare determinate storie, in un determinato tempo, in un determinato modo. In sostanza, vuol dire che sei un autore con la a maiuscola, capace di rinunciare a un'autostrada per costruire testardamente il tuo percorso personale. Ecco, Dario Brunori è un autore con la a maiuscola e "Poveri Cristi" è il modo meno scontato e più forte con cui avrebbe potuto dare un seguito al disco d'esordio.

Lo dice il titolo: il "Vol. 2" di Brunori SAS racconta le vite di un pugno di disperati, personaggi che si vedono costretti a rinunciare sempre a qualcosa. Che sia il lavoro, la donna, gli amici, l'amore della vita o la speranza di un miglioramento, "Poveri Cristi" è una rassegna di figure che devono fare i conti con qualcosa che non c'è o non c'è più. Figure, quindi, del tutto reali. C'è l'inizio programmatico de "Il giovane Mario", talmente in balia della propria vita da non avere neanche la forza e la capacità di porvi fine. C'è il delirio d'amore e di lavoro del personaggio di "Rosa", raccontato su una musica che dal vivo infiammerà e che rimanda diritti al Rino Gaetano di "Capofortuna". C'è l'incredulità del protagonista de "Il suo sorriso", che scopre il tradimento della fidanzata con il migliore amico (interpretato da un beffardo Dente), in un tripudio battistiano che potrebbe essere il secondo tempo di "Non è Francesca". E ancora: il fascino della canzone perfetta di "Lei, lui e Firenze", il groppo in gola istantaneo di "Bruno mio dove sei", fino allo sfogo di "Animal Colletti" – in cui urla anche Dimartino – e alla disillusione di "Tre capelli sul comò".

Non c'è un momento di pace, né l'idea di una via di fuga. Traccia dopo traccia, si assiste a esistenze che procedono per inerzia, perché è così che si deve fare. Un piccolo passo alla volta, unico obiettivo la sopravvivenza (fisica e soprattutto mentale) quotidiana. Non ci sono verità svelate al mondo, né chiamate a raccolta o alla rivolta. Piuttosto, c'è una descrizione del tempo presente attraverso squarci di vite, raccontate con bravura letteraria e immaginario cinematografico. Non è certo il disco di Brunori che ci saremmo aspettati e per questo è forse ancora più bello.

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