Verily So
S/t 2011 -

S/t

La formula musicale dei Verily So é tutt'altro che originale: una vocalist donna in compagnia di 2 musicisti. Tutti e 3 polistrumentisti, a ricoprire anche ruoli diversi in base alle canzoni. Niente di nuovo, penserete voi, al punto che detta così, la curiosità di ascoltare un combo del genere sarebbe già ai minimi storici, vista l'innumerevole serie di esperimenti simili che negli anni abbiamo/avete già avuto modo di apprezzare, tanto in Italia quanto all'estero. Ma per fortuna il giudizio non é su come sia composto l'organico, bensì su ciò che la band sa far arrivare alle nostre orecchie; e ce n'é da godere, soprattutto se siete appassionati di certe sonorità che fanno dell'indolenza la principale ragione d'essere. A ciò aggiungete la voce incantevole di Maria Laura Specchia, un ipotetico incrocio tra la Patti Smith degli esordi e la Pj Harvey meno nervosa (per intenderci, quella del periodo successivo a "To bring you my love"). Paragoni forti, é vero, che generano di conseguenza un alto livello di aspettative; poco male, perché avrete modo di constatare che siamo di fronte ad una band pienamente consapevole dei propri mezzi.

Ma veniamo alle canzoni, ovvero a ciò che rende speciale questo disco. Canzoni, come abbiamo già scritto, che rievocano quasi sempre atmosfere già sentite e risentite in passato, ma come succede in questi casi il risultato dell'equazione non é mai scontato. Il terzetto di Cecina ha infatti dalla sua il vantaggio di affrontare la materia senza il timore di dover reinventare il genere, regalandoci così 10 perle di grande valore. Dove ognuno di voi potrà scegliere le preferite, ma siamo certi che di fronte ad "Ordinary minds" (brano che la Patti Smith di cui sopra non scrive da anni), "Guns on fire", "When I end and you start" e l'intensissima "Summer 89" (un'ipotetica b-side del singolo "This mess we're in", intestato a Pj Harvey e Thom Yorke), non potrete opporre alcuna resistenza. Loro parlano di "folk brutale", ma quest'album é invece un'altra di quelle (belle) conferme che le classificazioni spesso non bastano a rendere appieno la complessa sfera emozionale generata dall'ascolto di un'opera d'arte.

Se solo la 4AD avesse orecchie anche sul suolo italico, il trio oggi avrebbe già un contratto discografico "di peso", senza fare alcun torto a band ben più blasonate e sulla scena da molti anni. Da queste colonne facciamo il tifo per loro e ci auguriamo succeda presto qualcosa di grosso. Per quanto sentito finora, se lo meritano ampiamente.

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