Chaos Physique
1975 2011 - Strumentale, Sperimentale

1975

Un delitto kraut-rock eseguito con stile. Camicie rosse e cravatte nere a parte, i Chaos Physique ci trascinano nei loro abissi sonori con pezzi killer.

È un massacro sonoro. Amaury Cambuzat (Ulan Bator), Pier Mecca (F.iu.b.) e Diego Vinciarelli (Sexy Rexy) i killer freddi e sperimentatori ricercati sotto il nome di Chaos Physique. Seguaci della setta Kraftwerk e recidivi (questo è il loro secondo album), operano, anzi, compiono i loro empirici omicidi “in presa diretta” e vengono masterizzati dal complice Alberto Ferrari (Verdena) nel suo “Henhouse Studio”.

Nove tracce (ematiche) che alternano kraut e psichedelia a rumori, ritmiche assillanti e atmosfere malate. Le strutture sono martellanti, angoscianti. Dei vortici analogici e sintetici, ossessivi e tribali. A scandirli, una voce algida e inferma. Uno spietato narratore seriale che descrive i propri efferati crimini proprio mentre li sta portando a termine. Da “Non aprite quella porta”, passando per “American Psycho” di Bret Easton Ellis, fino ad arrivare agli screenshot di un videogame come “Manhunt”, in caso foste più giovani.

“1975”, tutto è ben calibrato. Una sorta di delitto art-kraut-rock perfetto. Elegante. Eseguito con stile e, con tutta probabilità, con camicie rosse e cravatte nere. Non c’è niente di eccessivo. Perfino la motosega di Jean Herve Peron dei Faust in “Chainsaw Beauty”, per quanto squisitamente sgradevole, è “misurata”. Nulla di concettualmente innovativo o rivoluzionario, ma la grande forza dell’album risiede proprio nelle soluzioni sonore, frutto di una ricerca mai fine a se stessa. Qui la sperimentazione è indiscutibilmente funzionale alla forma canzone e, di conseguenza, allo “spazio” album. Pezzo assassino: “Intuition”.

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