L’allure prog del progetto è evidente sin dalle prime avvisaglie (“Little Roadie Tootie”), estenuante e psichedelico excursus, in cui ravvisare già tutte le coordinate. Ci si trova catapultati nell’universo lisergico dei King Crimson, così come non è difficile scorgere l’antesignana pulsione dei Primus in “Land Mine”, e tutta una cesura che s’estende per un quarantennio di musica “libera” e caotica. Diremmo, dei Soul Caughin sotto morfina per “Daghe”, con tutto il suo portato funky e free-jazz. Facile quindi uscire per incontrarli tra Can e Pink Floyd (“Deep Pig”), psichedelia macinata, metabolizzata, iconica (e un po’ trita).
E’ un lavoro “serio”, ben suonato e informato tanto da essere un distillato di quella cultura. Eppure, qualcosa non torna, e di certo non si tratta del fatidico “già-sentito”, ma piuttosto di un insidioso germe del conservatorismo, a cui forse è preferibile un (altrettanto opinabile) personalismo.
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