Manu PHL
Aria Precaria 2012 - Rap, Funk, Electro

Aria Precaria

Un disco a metà, che fa arrabbiare per quanto è incompiuto

Manu PHL è un bel rebus da risolvere, più intricato di quelli risolti nella Settimana Enigmistica, tra un'orzata e l'ennesimo bambino rompicoglioni che butta la sabbia addosso. Di quelli che istigano rabbia, insomma, un po' addolcita dalla tenerezza verso chi non ha ancora trovato un'identità distintiva, sulla quale puntare. Ma che mostrano sprazzi di talento.

Il perché appare intuibile immediatamente: è sconforto che nasce dal confronto tra i pezzi iniziali e quelli finali, tra quelli su cui il nostro punta per un successo personale - meglio se virale - e quelli dai quali esce l'intimità e il talento malcelato del rapper toscano. Talento che nasce dalla sincerità.

Partiamo dai primi, parlando di rabbia.
Nasce da formule del tipo“Dammi una spinta / con gli occhiali / con questa mia stempiatura”, espressioni troppo scontate, sicuramente non degne di un lavoro che vuole assumere uno spessore, sebbene sfumato dalla poca seriosità del contesto, un insieme in cui la giocosità vuole essere paravento, strumento per arrivare ad una complessità delle cose.

In sostanza Caparezza, talvolta miscelato a suggestioni reggaeton. Di per sé riferimento ambizioso, ma davvero rischioso senza la necessaria esperienza. Risultato di un tentativo apprezzabile, ma acerbo e inconsistente negli esiti. Materia delicata insomma, non manipolata con la necessaria cura.

Passiamo ai secondi, ai pochi spiragli di talento espressi delle undici tracce di questo album.
Su tutte emerge “Pazienza”, composta da rime assolutamente ipnotiche come nello stile di Clementino, sciorinate con la naturalezza da mc di spessore, impreziosite dal featuring di un talento notevole come quello di The Agronomist degli Smania UagliunsL'inadeguatezza, i sogni. In “Pazienza” tutto è essenziale, pregnante per raccontare la provincia e il rapporto con la metropoli, ironia e consapevolezza, tra uno sguardo basso e la confusione per il presente. Ricordi ed anedottica immersi in una salsa newyorkese che non guasta, né stona, ma valorizza.

I minuti passano, ma lo sconforto rimane, e con esso la sensazione di capacità sprecate in cazzatone evitabili ed episodi assolutamente inadeguati come “Abbronzato mesto” o “La mia Lista”. Aspetti assolutamente improponibili, che danneggiano la visione complessiva dell'album.

Una nuova chance a chi non sa canalizzare le proprie capacità è cosa quantomeno dovuta.
Aspettiamo un'evoluzione “Mikimix-Caparezza”, un'ennesima volta. Magari rimuovendo le facili maschere stucchevoli e superficiali di un funkynerd, mostrando un'anima. Ammesso che esista.

Vedi la tracklist e ascolta le tracce sul player nella versione completa.