Drink To Me
S 2012 - Elettronica

S

La maturitĂ  finalmente raggiunta. Per un album cosmico e dal suono unico. Space is the place

Una dimensione a sé. Come i bachi che prima o poi diventano farfalle, o la luce che a guardarla appena sveglio ti rimane fissa in testa. Oppure, c’è un momento nel salto triplo dove l’atleta, con una mossa, si gioca tutta la gara. Quando prima chiede la carica al pubblico con l’handclapping e poi si posiziona in pedana. Ciccio mi ha sempre detto che quello è il momento più importante, devi stare lì a pensare che ad esistere è solo la tua testa e le tue gambe. Hop, step e jump. Quando vai in jump ti senti un gabbiano, mi dice, ed è lì che senti i muscoli vibrare, e così l’attimo prima, quello dove eri solo e concentrato, trova la sua chiusura del cerchio, tu sei in finalmente in aria, tonico ed eterno, a pensare che quello sia stato il tuo salto migliore e di cadere a terra, in fondo, non te ne fotte un cazzo.
Tutto questo per dire che “S” è, finora, il jump perfetto dei Drink To Me. La carica esplosa dai due lavori precedenti qui diventa deflagrazione limpida e violenta. Un po’ il raggiungimento finale di una meta a lungo cercata e, adesso, dopo aver messo la testa giusta nelle cose ed essersi caricati a dovere, centrata in pieno. Perché i Drink To Me rischiavano di rimanere una band ferma in un eterno limbo, tra hop e step azzeccati in cui però lasciavano troppi centimetri in pedana. “S” invece riequilibra il tutto, e li porta a salire un gradino più in alto. Basterebbe pensare a questo disco come a un bilancino, sui cui piatti stanno fianco a fianco le sperimentazioni e il gusto per le melodie, il pop. Un chilo di chimica dosato con la giusta etica.
Così, c’è che anche un pezzo come “Henry Miller”, colmo di synth e incastri noisy, senza neanche un ritornello vero e proprio, finisca per appiccicarsi in testa. Una dimensione perenne di caos controllato su cui si innestano immagini di una natura fiammante e selvaggia. Se c’è una cosa bella è proprio la capacità di riempire il paesaggio di colori diversi e poi, alla fine di ogni curva, presentartene un altro. Qui sta la ricchezza, il talento, quella cosa che li porta a poter competere a testa alta contro gente come Animal Collective e Of Montreal, giusto per citarne due (e ascoltando tutto il disco v’assicuro ve ne verranno in mente tanti altri di nomi, dagli Xiu Xiu ai Crystal Fighters).
Dieci pezzi. Il primo poker tutto, essenzialmente, giocato sui synth. Che perdono l’aura cervellotica che avevano finora avuto, e diventano motori da trip caleidoscopico (“The Elevator”), a tratti dilatando l’atmosfera e riempiendosi di echi dreamy (“Picture Of The Sun”), a tratti lasciando emergere il lato volutamente dance (“Future Days”). Quello invece a essere stato retrocesso, a essere relegato in secondo piano è il lato post-punk, quello alla Liars per intenderci. Rimane una sezione ritmica forte (nella stessa “Future Days”, in “Space”, lo scheletro sta lì) ma non ha più lo stesso peso specifico di prima. Altre cose nuove: una certa atmosfera 80s che si respira in pezzi come “L.A. 13” e “Disaster Area” o la melanconia che prepara il tappeto all’esplosione cosmica di “Airport Song”.
Tirando le somme quindi, “S” è il primo vero disco importante e interamente riuscito dei Drink To Me. C’è voluto un po’, hanno finalmente capito dove limare e cosa aggiustare, discostandosi da quella parvenza di band sperimentale e arroccata sulle sue posizioni che, alla lunga, li avrebbe limitati e relegati nel dimenticatoio. Ora come ora, somigliano tanto (più che per suono per attitudine raggiunta) ai Disco Drive post–Andrea Pomini. E spero vivamente inizino ad ottenere qui ma anche oltreconfine i meritati appoggi, così da darci ancora roba nuova alla velocità della luce, senza far passare troppo tempo tra un disco e l’altro. Ma c’è soprattutto che “S” è un album bellissimo. E se il nome del tuo Dio inizia per S, e lo spazio è la tua location preferita, fidati, sarà il tuo disco dell’anno.

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