Morgan Marco Castoldi
Italian Songbook Vol. 2 2012 - Cantautoriale

Italian Songbook Vol. 2

Una volta avevamo una rockstar emergente. Oggi ci resta una vedette di successo, in piena decadenza umana e artistica. Il che non ci fa piacere per nulla.

Rubo questa riflessione dal Facebook della collega Giulia Cavaliere: “Una volta tanti anni fa su GQ è uscito un bellissimo servizio fotografico di Morgan e Asia Argento, intervallato da meravigliosi scambi di poesie, sms, e amore che, almeno a noi da fuori, sembrò proprio vero. A distanza di 12 anni Morgan posa vestito, con la sua nuova fiammella... per «Chi». Il declino si è definitivamente compiuto”. Dodici anni fa, aggiungo io, era uscito da un anno “Zero” dei Bluvertigo, che conteneva classici come “La crisi” e “Sono=Sono”.

Classici, certo: tutti di pugno di Morgan, però. Dopo, sappiamo com’è andata: l’iniziazione alla coca proprio da parte di A.A., così si dice e chissà se è vero, il divorzio, l’affidamento negato della figlia, lo scioglimento dei Bluvertigo, un primo album solista gioiellino, “Canzoni dell'appartamento”, un inutile rifacimento filologico di “Non al denaro, non all'amore né al cielo” di Fabrizio De André, un secondo album solista, “Da A ad A”, metà aspirante gioiellino e metà fuffa ricoperta da sontuosi arrangiamenti, opera dello stesso Morgan e dell’ottimo Carlo Carcano, ma sempre fuffa, la notorietà televisiva grazie a X-Factor, un primo tributo alla tradizione italiana, “Italian Songbook Volume 1”, davvero inutile  e povero (quattro canzoni in doppia versione, italiana e inglese), ma come al solito arrangiato da Dio, lo scandalo del crack, no Sanremo, il ritorno in tv, prima con Sgarbi che lo cazzia e umilia in diretta e poi di nuovo a X-Factor ma su Sky, e adesso questo “Italian Songbook Volume 2”.

Che da un lato sarebbe anche apprezzabile rispetto al primo, perché offre 12 classici più o meno dimenticati della canzone italiana, di cui solo uno in doppia versione, come al solito ottimamente arrangiati, e perfino due canzoni autografe del principino di Monza, il che è un evento in sé. In realtà anche questo disco mostra che il declino di Morgan si è definitivamente compiuto, come il servizio su «Chi» con la nuova fiammella, sicuramente disinteressata secondo il modello Olgettina.

I due inediti sono imbarazzanti: “Desolazione” (i latini dicevano “nomen omen”…) sguazza tra lounge, Thelonius Monk e Stravinsky senza combinare nulla di buono, perlomeno nel senso di originale, in quanto l’esito è “un già sentito in qualche colonna sonora anni 60-70” (non escludo qualche plagio occultato, ma non ho certezze); “Una nuova canzone” è anche peggio, dato il metatesto che gioca proprio sul non avere più ispirazione e la musica che si muove tra neworleanismi jazz beffardi, solite svisate dodecafoniche, atmosfere blues da versione televisiva di un bar malfamato, che, come al solito, non produce niente di buono. La classica montagna (di cultura) che non riesce a partorire neppure il proverbiale topolino.

In più c’è il senso dell’operazione complessiva di “Italian Songbook”: apparentemente una celebrazione del grande patrimonio perduto della canzone italiana; in realtà la necessaria compensazione all’immagine di trasgressivo maledetto (diciamocelo, la versione colta di Fabrizio Corona), in modo che il pubblico televisivo, sotto tonnellate di cerone buongustaio, trovi pane per i suoi denti, e cioè musica comunque digerita e digeribilissima, senza nessun guizzo di novità. Insomma, una Retromania ad uso dei rotocalchi, delle comparsate tv, dei servizi su «Chi», che paga, eccome se paga, e magari di qualche critico “serio”, capace di abboccare all’amo e di invitarlo (pagato) al premio Tenco o Ciampi o Fra’ Cazzo da Velletri di turno.

Chiude l’album la cover di “Parla più piano” di Nino Rota (che sarà anche stato Nino Rota, ma le sue boiate le ha scritte anche lui, e questa è una di esse, degna del peggior Fausto Papetti. Vorrei graziosamente ricordare che le puzzette di Beethoven sono sempre puzzette), in cui spicca un crescendo finale di voci che si inseguono, sempre più dissonanti, ma in grado di creare alla fine una nuova armonia.

Provocatoriamente, l’ultima cosa che si ode di Morgan è lui che tira su col naso: tanto per far parlare, tanto per fare un po’ di sarcasmo verso chi gli ha voluto tanto male perché drogato (e qui sarei anche con lui, contro il bacchettonismo ipocrita dei dirigenti Rai), tanto per vedere chi abbocca all’amo, nuovamente. Peccato che quella sniffata diventi invece una fotografia impietosa: dello stato in cui versa Morgan (ci sono ottime cliniche per la disintossicazione e ottimi psicanalisti: basta saperli cercare) e della lacrima che scende sulla guancia del ex-fan deluso di fronte a tanta pochezza e tanto spreco di talento. Una volta, dodici anni fa, avevamo una rockstar emergente. Oggi ci resta una vedette di successo, in piena decadenza umana e artistica. Il che non mi fa piacere per nulla, sia chiaro. 

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