Redrum Alone
De Redrum Natura 2012 - Pop, Elettronica, Electro

De Redrum Natura

Elettronica intelligente, Lucrezio, nuovi monoliti e cover rischiose: i Redrum Alone hanno capito bene come lasciare il segno

Quante infinite declinazioni produce la musica elettronica, spingendosi tra ascisse e ordinate per individuare nuovi punti di congiunzione, miscele esplosive o trame asciutte, immergendosi in apnea tra gli ingranaggi di una tecnologia sempre più autarchica e dominante. Macchine scintillanti prendono il posto del monolite nero tra gli ominidi di “2001: Odissea nello Spazio”, a significare una nuova era di suoni artificiali che combattono e si confrontano con l’intelligenza di musicisti abili tra leve e pulsanti, e il richiamo al “De Rerum Natura” di Lucrezio diventa un invito al contatto con la realtà, una presa di posizione nell’odierno oscillare tra Natura e Progresso.

Quante innumerevoli evocazioni, tra cinema e libri, tra suggestioni teutoniche e vibes alla Space Invaders: la presa kraut di “RevolutionAir”, il mood intergalattico di “Remote” che mostra il luccichio stellare fluttuando tra galassie synthpop, la struttura minimale e avanguardista di “MidiNight” che ben s’adatterebbe come soundtrack di vecchi videogames dalle fatture spigolose con repentini cambi di scenario.

E come non considerare l’approccio coraggioso con le cover, misurandosi con brani che hanno fatto la Storia e rischiando accuse d’iconoclastia da parte dei più integralisti: “She’s Lost Control” è uno dei pezzi più nervosi dei Joy Division, è il sentirsi perso, è la strada senza uscita, e qui rinasce come frutto di sintetizzatori e chimica, con un tappeto di effetti che la rende ipnagogica e really danceable, mentre “Emilia Paranoica” mantiene la tensione che le è propria, e un’attitudine punk in versione hyper techno, con le parole che si sposano al sound in maniera sapiente.

L’essenza dei Redrum Alone è racchiusa in “No Guitars Were Used In Making These Tracks”, canzone manifesto dove si ripete ossessivamente la visione concettuale del duo, visione che si palesa chiaramente in ogni traccia, dove macchine scintillanti prendono il posto degli strumenti, dove possiamo incontrarci senza vederci, semplicemente sentendo il reciproco scorrere di molecole muoversi in un universo sintetico, celebrando l’amore su schermi multipli, portando il tempo con battimani robotici, tra ascisse e coordinate per nuovi stimolanti punti di congiunzione. La chiusura è affidata a “Enola Murder” (e qui notiamo che il nome della band al contrario produce nuovi interessanti spunti), una dose corposa di elettronica epica e degna di un finale tra l’oscuro e il fantascientifico che accompagnerebbe bene i passi di Jena Plissken e il suo perseverare in un futuro distopico.

Questo disco dimostra come le infinite declinazioni della musica elettronica siano in grado di attraversare epoche e stili non riducendosi a un puro aggettivo spesso limitante, ma saccheggiando a piene mani tra pop, new wave, (daft) punk e maestri del synthesizer per arrivare a una trama intelligente e piacevolissima, strizzando l’occhio al dancefloor ma con ambizioni intergalattiche: se aggiungi Lucrezio, nuovi monoliti e cover rischiose, i Redrum Alone hanno capito bene come lasciare il segno.

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