Provate ad ascoltarvi “Epsilon” a volume lobotomico, con le vostre cuffiette ben posizionate sulle orecchie, e come per magia vi ritroverete catapultati nel bel mezzo delle distopiche scenografie di “Strange Days” di K. Bigelow senza neanche dover staccare il culo dal vostro soffice divano a fiori. Una ben assestata raffica di schiaffi sonori, nascosta tra i decibel, rimetterà in discussione il vostro personalissimo concetto di tranquillità, per nulla scontata nella società orwelliana (neanche troppo futuristica) disegnata dai Drunken Butterfly, dove “La libertà è schiavitù / La Guerra è pace e l’ignoranza è forza”.
La band marchigiana dà libero sfogo a tutta la cattiveria accumulata nelle precedenti produzioni per portarvi fin dentro casa, a prezzi di saldo, il profumo dell’apocalisse, incanalando la sua nerissima anima industrial tra i bombardamenti elettronici di scuola nordeuropea, il sonico filo spinato dei Nine Inch Nails e l’arrogante frontalità dei Linea 77, affidando a liriche in italiano l’onere di tratteggiare scenari per nulla concilianti.
Se “Risacca” rappresenta il suono metallico della destabilizzazione, “Alice” incarna quello dell’angoscia, se “Istanbul” anestetizza per un minuto e mezzo il pandemonio, sulle note di un immaginario Sakamoto, “Asfalto” sembra invece teletrasportare i Subsonica sopra un allucinato dancefloor post-atomico. La chiusura affidata alla panoramica drammaticità di “Cinematic” - che predispone un vero e proprio piano sequenza sulle ceneri fumanti di una megalopoli, come se attraversata da un autobus notturno privo di conducente - sintetizza l’essenza di un album in tutto e per tutto europeo, tranne che nella registrazione.
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