“Povera, stupida demo” non partirebbe neppure troppo male, se non fosse che pensi che ha un bel tiro solo per la prima manciata di secondi. Dopo di che è tutto uno storcere il naso. Le sonorità banali, con quei chitarroni grezzi e ruvidi, i testi scialbi (da “Ogni cellula”), l’atmosfera polverosa e vecchia. La produzione lo-fi (ok, è una demo va bene, ma si poteva fare di meglio) non aiuta di certo, mi sembra di essere catapultata negli anni ’90 quando i cd venivano passati agli amici con un “oh ascolta questo, l’ho trovato in casa!” e la durata dei brani, che sfiorano –e spesso oltrepassano– i cinque minuti, rende il tutto più faticoso da seguire. Così tanto che la testa si trova ben presto a viaggiare altrove. Sento anche un tentativo di voler ricalcare accordi simil The Who (quelli di "Behind Blue Eyes", per intendersi) in “L’alcova di Morfeo”, e mi si rizzano i peli sulle braccia.
Ovviamente ai componenti della band non manca la tecnica, che si percepisce soprattutto negli assoli sparsi in qua e in là, ma questo non basta e non soddisfa. Gli ascoltatori pretendono di più, vogliono una scossa, esser colpiti alla pancia, quantomeno se ci si definisce un gruppo hard rock, o sbaglio? C'è ancora tanto lavoro da fare.
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