Dopo essersi tolti la voglia di remix e variazioni sul tema con l’ottimo “This isolation” - recensito tempo addietro dal sottoscritto proprio su queste pagine - gli Artcore Machine si rifanno vivi, dopo appena un anno, con la loro consueta elettronica estrema e allucinante. “Lamina” riprende in mano il futuro proprio dall’esatto punto in cui Moreno Padoan e Roberto Beltrame lo avevano lasciato col precedente progetto ma (sovra)caricandolo, a questo giro, di una geometrica brutalità del tutto nuova e seducente: le 14 tracce (troppe?) di “Lamina” scatenano un vero e proprio flagello sonico a base di industrial seriale, techno-hardcore, dancefloor autodistruttiva e oscillazioni IDM, dove le poche, quanto provvidenziali, fasi refrattarie sono affidate a punteggiature cosmiche di vecchia scuola tedesca.
Tutto il resto è caos, sì, ma razionalizzato con estrema cura: un turbinio di pulsazioni sequenziali e disturbate ribollirà dentro i vostri diffusori come fosse il sangue artificiale di una mostruosa entità pensante fatta di acciaio e neuroni. Il corrosivo tribalismo post-atomico di “Exon” spacca letteralmente la terra in milioni di zolle, l’IDM ricercata di “Alfa elica” sembra riprodurre il respiro di un acceleratore di particelle in fase di collasso, “Retina dentata” anticipa il fragore di un’ipotetica quarta guerra mondiale mentre “Genes” concentra in poco meno di 3 minuti tutte le claustrofobie dell’universo. Se, infine, collasserete in debito d’ossigeno per mano del terrorismo danzereccio di “Croma” e “Killer T”, “Molecula” ed “Heliquod” vi allenteranno, invece, un po’ i nervi con i loro slow-motion amniotico-ambientali.
Dunque, tanto di cappello al duo rovigotto che, assecondando sia la radioattività elettronica di The Outside Agency e Phosgore sia le deliranti visioni di Aphex Twin, stipa dentro un cd la parte meno rassicurante del futuro, forse, chissà, la più verosimile.
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