Il freddo delle macchine va trattato in un certo modo, perché ne esca un suono che vada oltre la pura sequenza, il mero prodotto tecnologico, l’asettica conquista: lo sanno bene i Redrum Alone che confezionano questo brano per un cortometraggio di Luciano Parravicini (“Il Riparatore di Santi”) riuscendo come è loro solito a far sembrare ogni cosa semplice, trasparente, fluida, a intrecciare il respiro e il tocco e la presenza con alchimie sintetiche, a unire leggerezza e riflessione, l’ossigeno e il metallo. Ovvio protagonista il synth, che disegna tra la drum machine e il vocoder un percorso che rimane in equilibrio tra ambient e dance senza cedere né all’una né all’altra, dunque un’ ipnosi incompiuta e al tempo un ballo che resta fermo nei suoi primi passi, e un soffio lunare di paesaggi distopici che mi proietta tra “Blade Runner” e “1997: Fuga da New York”, cosa che mi capita spesso ascoltando il duo pugliese.
Accompagnato dal remix di A Copy for Collapse (decisamente più incline alla dancefloor), questo pezzo si inserisce perfettamente nella produzione dei Redrum Alone restando fedele ai principi che ne sono alla base: l’uso esclusivo dell’elettronica e, soprattutto, saper trattare il freddo delle macchine per tirarne fuori un respiro. L’ossigeno e il metallo. E i ragazzi lo sanno bene.
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